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Scade l’ultimatum al Niger, in migliaia con i golpisti

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E’ scaduto l’ultimatum di 7 giorni dell’Ecowas contro i golpisti del Niger che hanno deposto il filo-occidentale presidente Mohamed Bazoum. Ma, molto dietro le quinte, si continua a lavorare per scongiurare una guerra che sarebbe fratricida soprattutto con la Nigeria e infiammerebbe il già disastrato Sahel, coinvolgendo addirittura il Maghreb: scenario tanto temibile da risultare improbabile, almeno a breve. Alla ribalta sono invece tornate le bandiere russe che hanno sventolato in uno stadio festante di Niamey gremito di quasi 30 mila filo-golpisti, arringati da uno dei leader della giunta che li ha messi in guardia non da eventuali raid dell’aviazione nigeriana ma da fantomatici infiltrati sovversivi.

In un clima sospeso si attendeva una dichiarazione della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale alla scadenza dell’ultimatum di sette giorni lanciato ai golpisti domenica 30 luglio, quattro giorni dopo il golpe: ripristinate la democrazia o non si esclude un “atto di forza”, era stato il messaggio del blocco. E quindi ci si prepara ad ogni evenienza: 65 militari della missione italiana di addestramento in Niger, la “Misin”, sono rientrati in Italia per “aumentare l’autonomia logistica della base italiana”, “ottimizzando anche le sue capacità ricettive qualora diventi necessario accogliere e, in caso di urgenza, evacuare” la quarantina di italiani, soprattutto esperti operatori di ong, rimasti nel Paese.

“Secondo la maggior parte degli analisti, un conflitto appare improbabile, almeno nel breve periodo”, sostiene però il New York Times dando concretezza a quello che sembra solo un auspicio del primo ministro nigerino Ouhoumoudou Mahamadou: “Una soluzione positiva è ancora possibile – ha detto da Parigi -, in ogni negoziato può succedere di tutto finché non si arriva alla scadenza. Gli ultimi minuti sono cruciali”. Del resto col Niger, “culturalmente, religiosamente, siamo quasi uguali. Sarebbe come combattere contro un fratello”, ha constatato anche il generale Christopher Gwabin Musa, capo di stato maggiore della Difesa della Nigeria, il più potente degli Stati dell’Ecowas. A mettere in guardia da un conflitto è anche Algeri, vicino settentrionale del Niger e legato militarmente alla Russia: “Rifiutiamo categoricamente qualsiasi intervento militare” che costituirebbe “una minaccia diretta per l’Algeria”, ha detto il presidente Abdelmadjid Tebboune.

Le bandiere russe hanno garrito a Niamey alimentando i timori di Bazoum: i golpisti potrebbero aprire le porte del Paese ai mercenari russi Wagner come ha fatto sicuramente il Mali che, assieme al sodale Burkina Faso, ha minacciato di entrare in guerra in caso di attacco al Niger. Nel più grande stadio della capitale la folla è stata arringata dal generale Mohamed Toumba che ha denunciato coloro che “si nascondono nell’ombra” e che “tramano la sovversione” contro “la marcia in avanti del Niger”: “Siamo al corrente del loro machiavellico piano”, ha avvertito il pezzo grosso del Cnsp, la giunta militare.

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‘Da banche Occidente in Russia 800 mln euro in tasse a Cremlino’

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Le maggiori banche occidentali che sono rimaste in Russia hanno pagato lo scorso anno più di 800 milioni di euro in tasse al Cremlino, una cifra quattro volte superiore ai livelli pre-guerra. Lo riporta il Financial Times sottolineando che le imposte pagate, pari allo 0,4% delle entrate russe non legate all’energia per il 2024, sono un esempio di come le aziende straniere che restano nel Paese aiutano il Cremlino a mantenere la stabilità finanziaria nonostante le sanzioni. Secondo quanto riportato dal quotidiano, “le maggiori sette banche europee per asset in Russia – Raiffeisen Bank International, Unicredit, Ing, Commerzbank, Deutsche Bank, OTP e Intesa Sanpaolo – hanno riportato profitti totali per oltre tre miliardi di euro nel 2023. Questi profitti sono stati tre volte maggiori rispetto al 2021 e in parte generati dai fondi che le banche non possono ritirare dal Paese”.

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Sindaco Istanbul Ekrem Imamoglu contro Erdogan: Hamas è un gruppo terroristico

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Il sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu, il principale rivale del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, definisce Hamas “un gruppo terroristico” e afferma che la Turchia è stata “profondamente rattristata” dal massacro del 7 ottobre. Intervistato dalla Cnn, il primo cittadino della metropoli turca spiega che “qualsiasi struttura organizzata che compie atti terroristici e uccide persone in massa è da noi considerata un’organizzazione terroristica”, aggiungendo però che crimini simili stanno colpendo i palestinesi e invita Israele a porre fine alla sua guerra contro Hamas.

Il governo turco di Erdogan sostiene apertamente Hamas, ha duramente criticato l’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza e ha chiesto un cessate il fuoco immediato. Il leader turco ha paragonato le tattiche del primo ministro Benyamin Netanyahu a quelle di Adolf Hitler e ha definito Israele uno “stato terrorista” a causa della sua offensiva contro Hamas a Gaza.

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Usa: sondaggio “Cnn”, Trump in vantaggio su Biden di 6 punti a livello nazionale

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A poco meno di sei mesi dalle elezioni negli Stati Uniti, l’ex presidente Donald Trump gode del sostegno del 49 per cento degli elettori, in vantaggio di sei punti percentuali sul suo successore Joe Biden, fermo al 43 per cento. Lo indica l’ultimo sondaggio pubblicato dall’emittente “Cnn” ed effettuato dall’istituto Ssrs. Rispetto alla precedente rilevazione condotta lo scorso gennaio, il candidato repubblicano e’ rimasto stabile, mentre l’attuale presidente ha perso il due per cento del proprio consenso. Soprattutto, e’ in miglioramento l’idea che gli elettori hanno degli anni della presidenza Trump. Ora il 55 per cento degli statunitensi considera “un successo” la sua amministrazione, contro il 44 per cento che la definisce “un fallimento”.

Nel gennaio del 2021, pochi giorni dopo l’insediamento di Biden, era il 55 per cento a considerare un fallimento la presidenza di Trump. Al contrario, il 61 per cento ritiene che la presidenza Biden sia stata un fallimento, mentre il 39 per cento la definisce “un successo”. Il sondaggio mostra anche come i repubblicani siano piu’ convinti dell’idea che la presidenza Trump sia stata un successo (92 per cento) rispetto a quanto gli elettori democratici abbiano la stessa opinione della presidenza Biden (solo il 73 per cento). Tra gli indipendenti, l’amministrazione Trump e’ guardata con favore dal 51 per cento, contro il 37 per cento che ha opinione positiva dell’attuale presidenza. Poi vi e’ un 14 per cento che considera un fallimento entrambe le esperienze, e un 8 per cento che invece ritiene un successo sia la presidenza di Donald Trump che quella di Joe Biden.

Il sondaggio rileva anche come il 60 per cento degli elettori disapprovi l’operato dell’attuale presidente e come il tasso di approvazione, attualmente al 40 per cento, sia al di sotto del 50 per cento anche su materie quali le politiche sanitarie (45 per cento) e la gestione del debito studentesco (44 per cento). A pesare sull’opinione che i cittadini Usa hanno di Biden e’ soprattutto la gestione della crisi a Gaza (il 71 per cento disapprova), in particolare nel caso degli under 35 (tra questi e’ l’81 per cento a esprimere valutazione negativa). Non molto meglio il giudizio degli elettori sull’operato della Casa Bianca in economia (solo il 34 per cento approva), tema che il 65 per cento degli intervistati considera “estremamente importante” per il voto di novembre.

Tra questi ultimi, il 62 per cento ha intenzione di votare Trump, il 30 per cento Biden. In generale, il 70 per cento degli elettori si lamenta delle attuali condizioni economiche del Paese, e il 53 per cento si dice insoddisfatto della propria situazione finanziaria. Tale insoddisfazione sale soprattutto tra gli elettori a basso reddito, tra le persone di colore e tra i piu’ giovani. L’impressione per entrambi i candidati resta per lo piu’ negativa (il 58 per cento ha opinione negativa di Biden, il 55 per cento di Trump) e il 53 per cento e’ insoddisfatto delle opzioni a disposizione sulla scheda elettorale il prossimo novembre.

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