L’imprenditore Giuseppe Maddaluno rompe il silenzio dopo il sequestro del figlio 15enne. Indagini ancora in corso. Arrestato un 24enne. La procura: aggravante mafiosa. «Abbiamo vissuto un trauma che ci ha lasciato un segno per sempre». È con queste parole, cariche di dolore ma anche di gratitudine per il lieto fine, che l’imprenditore Giuseppe Maddaluno, originario di Barra, ha raccontato pubblicamente per la prima volta il dramma vissuto con la scomparsa e il sequestro del figlio Mattia, 15 anni, avvenuto martedì mattina mentre si recava a scuola a San Giorgio a Cremano.
Il rapimento e il messaggio dei sequestratori
Erano le 8.10 quando sul cellulare dell’imprenditore è arrivato un messaggio da un numero sconosciuto: un intimidatorio «non avvisare la polizia, altrimenti non rivedrai tuo figlio». Maddaluno ha immediatamente contattato le scuole frequentate dai figli e ha appreso che Mattia non era entrato in aula. Un controllo all’autolavaggio di famiglia – dove il ragazzo lasciava ogni mattina la sua minicar – ha confermato che qualcosa non andava.
La richiesta di riscatto è arrivata subito dopo: un milione e mezzo di euro, una cifra spropositata che ha aumentato l’angoscia della famiglia. Da quel momento sono iniziate le indagini coordinate dalla Procura di Napoli, che ha affidato il caso alla Squadra Mobile.
La prigionia del ragazzo e il rilascio
Mattia è stato bendato e incappucciato, trascinato dentro un furgone bianco e poi trasferito in un appartamento, dove ha trascorso diverse ore con le mani legate. Racconta il padre: «È stato coraggioso, non ha pianto, ha cercato di restare lucido». Il giovane è stato rilasciato a Licola, alle porte di Napoli, con le mani ancora legate. A soccorrerlo un rider – probabilmente un lavoratore di Glovo – che lo ha aiutato a contattare il padre. «Lo ringrazio pubblicamente, è stato fondamentale», ha dichiarato Maddaluno.
Le indagini e il primo arresto
È stato fermato Antonio Pacheco Amaral de Oliveira, 24 anni, originario di Amburgo e residente a San Giorgio a Cremano. È accusato di sequestro di persona a scopo di estorsione aggravato dal metodo mafioso, in concorso con soggetti ancora da identificare.
Il ragazzo rapito ha riconosciuto la sagoma dell’aggressore: «Era troppo grosso, spingeva tutto il sedile in avanti». Amaral in passato aveva lavorato presso l’autolavaggio della famiglia Maddaluno, dettaglio che potrebbe avergli fornito conoscenze utili per pianificare il rapimento.
La dinamica lascia intendere l’esistenza di una banda organizzata, con ruoli precisi: almeno due uomini hanno partecipato al sequestro, altri alla staffetta e al trasporto in un luogo sicuro, probabilmente nella zona tra Barra e San Giorgio.
Il commento del padre e l’appello alla giustizia
Giuseppe Maddaluno ha voluto ringraziare le forze dell’ordine e l’avvocato Michele Rullo per il supporto ricevuto: «Abbiamo superato la paura più crudele che possa esistere, quella di perdere un figlio». L’imprenditore ha anche parlato della sua notorietà locale per spiegare la possibile motivazione del gesto: «Sono molto conosciuto per il centro sportivo e altre attività, ma la percezione della mia disponibilità economica è stata decisamente sovrastimata».
Infine, un appello: «Chiedo giustizia. Questi crimini devastano le famiglie. Chi sequestra un ragazzo di 15 anni deve ricevere pene esemplari. Mattia è mio figlio, ma potrebbe essere il figlio di chiunque».
Le indagini continuano. Gli inquirenti non escludono ulteriori sviluppi e stanno ascoltando altre persone informate sui fatti, anche tra soggetti noti nel quartiere Barra.