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Economia

Samsung, la famiglia Lee pagherà 11 miliardi per tasse di successione alla Corea

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La famiglia di Lee Kun-hee, l’ex presidente di Samsung Electronics morto il 25 ottobre, versera’ oltre 12.000 miliardi di won, quasi 11 miliardi di dollari, al fisco sudcoreano come tassa di successione. La cifra monstre, tra le piu’ grandi pagate nella storia del Paese e al mondo, “e’ 3 o 4 volte il gettito incassato nel settore dal governo sudcoreano lo scorso anno”, ha affermato la famiglia Lee in una nota. Secondo gli ultimi dati dell’Ocse, quella applicata da Seul e’ la piu’ alta aliquota al mondo e falcidia il 60% circa dell’asse ereditario. Circa 23.000 beni della collezione d’arte saranno donati e opere di Picasso, Chagall e Gauguin finiranno al National Museum of Modern and Contemporary Art. Tra i pezzi, ce ne sono 14 classificati come ‘tesori nazionali’ e saranno esposti al National Museum of Korea nell’ambito della “passione di Lee per la collezione e della sua fede nell’importanza di trasmettere il nostro patrimonio culturale alle nuove generazioni”. Per altro verso, il gesto nobile aiutera’ a versare meno tasse. “Come previsto dalla legge, la famiglia prevede di pagare l’intero importo dell’imposta di successione in un periodo di cinque anni, a partire dall’aprile 2021”, ha precisato la famiglia Lee nella sua dichiarazione. Lee, morto il 25 ottobre dopo una lunga malattia all’eta’ di 78 anni, aveva trasformato Samsung Group nella piu’ grande conglomerata della Corea del Sud, di cui vale ora un quinto del Pil e il 20% dell’export, conquistando la leadership mondiale negli smartphone e nei semiconduttori. Lee prese il timone nel 1987 in seguito alla morte di suo padre Lee Byung-chul, il fondatore del gruppo I media di Seul hanno riferito che e’ probabile come la famiglia Lee, che ha pure deciso di donare 1.000 miliardi di won in assistenza sanitaria e cause mediche, opti per finanzarei le tasse di successione con i dividendi azionari, ma potrebbe anche ottenere corposi prestiti bancari. Nessun dettaglio, invece, e’ stato rivelato sulla divisioni del pacchetto azionario posseduto dal patriarca, l’uomo piu’ ricco della Corea del Sud con asset totali per circa 23,4 miliardi di dollari. Le azioni di Lee includono il 4,18% di azioni ordinarie e lo 0,08% di privilegiate Samsung Electronics (-0,97% alla Borsa di Seul), il 20,76% di Samsung Life Insurance, il 2,88% di Samsung C&T e una quota dello 0,01% in Samsung SDS. Samsung e’ il piu’ grande ‘chaebol’ della Corea del Sud, i grandi conglomerati a conduzione familiare che hanno svolto storicamente un ruolo importante nello sviluppo economico del Paese. Tali gruppi, che includono Hyundai Motor e SK, controllano vaste reti di societa’ attraverso una struttura di holding circolare su cui le famiglie spesso esercitano un’influenza indebita sulle societa’ partecipate. Tuttavia, da piu’ parti e’ partita la richiesta di riforme per limitare il potere dei chaebol sui timori di capitalismo clientelare e corruzione, agendo quasi come uno Stato nello Stato. A gennaio, l’erede di Samsung Jay Y. Lee, 52 anni, e’ stato condannato a due anni e mezzo di carcere da un tribunale sudcoreano per corruzione di alti funzionari dello Stato nell’ambito di un ardito riassetto del gruppo, in uno scandalo che ha coinvolto anche l’ex presidente della Repubblica Park Geun-hye, finita sotto impeachment. Il gruppo, che ha appena riconquistato la leadership in Europa negli smartphone nel primo trimestre 2021, si trova ad affrontare varie sfide, a partire dalla visione di lungo termine, secondo gli analisti.

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Economia

Generali, vince la lista Mediobanca: Donnet e Sironi confermati alla guida

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Con il 52,38% dei voti, l’assemblea dei soci di Generali ha scelto la lista di Mediobanca, confermando per il prossimo triennio Philippe Donnet (foto Imagoeconomica in evidenza) nel ruolo di amministratore delegato e Andrea Sironi come presidente. Una decisione che riafferma la linea della continuità e della stabilità nella governance della storica compagnia assicurativa triestina.

Affluenza e composizione del voto

L’assemblea, che ha registrato un’affluenza del 68,7%, è tornata in presenza per la prima volta dal 2019, riunendo oltre 450 azionisti presso il Generali Convention Center. A pesare sul risultato finale sono stati in particolare i voti degli istituzionali (circa il 17,5%) e un sorprendente apporto del retail (5%), mai così attivo. Anche la Cassa forense, con il suo 1,2%, ha votato a favore della lista Mediobanca.

Risultato del gruppo Caltagirone e confronto con il 2022

La lista Caltagirone ha ottenuto il 36,8% del capitale votante, confermando il ruolo di minoranza forte, ma non sufficiente a ribaltare gli equilibri. I fondi Assogestioni, con il 3,67%, non superano la soglia del 5% e quindi restano fuori dal consiglio. Il confronto con il 2022 mostra un equilibrio sostanzialmente stabile: allora Mediobanca aveva ottenuto il 56%, Caltagirone il 41%.

Il nuovo consiglio d’amministrazione

Il nuovo board sarà composto da 13 membri, con una struttura molto simile a quella uscente. Oltre a Donnet e Sironi, confermati nomi come Clemente Rebecchini, Luisa Torchia, Lorenzo Pellicioli, Antonella Mei-Pochtler, Alessia Falsarone. Tra le novità, Patricia Estany Puig e Fabrizio Palermo, ex ceo di Cdp e attuale ad di Acea.

Il ruolo di Unicredit, Delfin e gli altri azionisti

A sostenere Caltagirone si è aggiunta Unicredit, con il 6,5% su un portafoglio totale del 6,7%. Al suo fianco anche Delfin(9,9%) e probabilmente la Fondazione Crt (quasi 2%). Assente invece dai voti sulle liste Edizione della famiglia Benetton (4,83%), che ha scelto di astenersi, pur votando su altri punti all’ordine del giorno.

Donnet: «Ha vinto Generali»

«Oggi ha vinto Generali», ha dichiarato Donnet. «Il mercato si è espresso chiaramente: questa era la scelta per il futuro della compagnia come public company indipendente». Il presidente Sironi ha parlato di un consiglio «che ha lavorato con rispetto e responsabilità» e che continuerà a farlo anche nel prossimo mandato.

 

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Economia

Google oltre le attese con cloud, sale a Wall Street

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Alphabet archivia il primo trimestre sopra le attese degli analisti e avanza a Wall Street dove, nelle contrattazioni after hours, arriva a guadagnare oltre il 5%. L’utile netto è balzato del 46% a 34,5 miliardi di dollari rispetto ai 23,7 miliardi dello stesso periodo dello scorso anno. I ricavi sono saliti del 12% a 90,23 miliardi.

A spingere le attività core di ricerca e pubblicità di Google, i cui ricavi sono saliti del 10% a 50,7 miliardi, sopra le previsioni del mercato che scommetteva su un aumento più contento dell’8%. La divisione di cloud computing ha sperimentato un aumento dei ricavi del 28% a 12,3 miliardi, confermando la sostenuta domanda per i suoi data center e i servizi di network per il boom dell’IA. “La ricerca ha proseguito una crescita forte”, ha detto l’amministratore delegato Sundar Pichai, mettendo in evidenza la “rapida” crescita del cloud.

Le spese di capitale nei primi tre mesi sono balzate a 17,2 miliardi, leggermente sopra le previsioni di 17,1 miliardi. I risultati trimestrali sono stati accompagnati dall’annuncio di un piano di buyback da 70 miliardi di dollari e un aumento del dividendo trimestrale del 5% a 21 centesimi per azione. Google è il secondo colosso di Big Tech ad annunciare la trimestrale da quando è iniziata la guerra commerciale avviata da Donald Trump. Tesla nei giorni scorsi ha messo in guardia sull’impatto dei dazi sulle sue attività di batterie, che dipendono dai componenti dalla Cina.

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Economia

Banco Bpm boccia ancora l’Ops di Unicredit, ‘inadeguata’

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Ovviamente è ancora un no. E motivato con nuovi argomenti. Banco Bpm boccia una volta di più l’Offerta pubblica di scambio volontaria annunciata da Unicredit e lo fa citando anche “modalità di implementazione” della normativa sulla Golden Power che “da parte di Unicredit non risultano chiare”. Strategia ovviamente, ma intanto l’amministratore delegato di Banco Bpm consiglia chiaramente agli azionisti di non aderire all’Ops. I nuovi passaggi dello scontro sono contenuti nell’approvazione all’unanimità da parte del Consiglio di amministrazione di Banco Bpm del ‘comunicato dell’emittente’ sull’offerta promossa dal gruppo guidato da Andrea Orcel.

Il Cda “a seguito di un’attenta valutazione dei termini e delle condizioni descritti nel documento di offerta pubblicato da Unicredit il 2 aprile scorso e delle altre informazioni disponibili ha ritenuto l’Ops non conveniente e il corrispettivo non congruo”, afferma Banco Bpm in un comunicato. “L’offerta è completamente inadeguata e quindi noi consigliamo ai nostri azionisti di non aderire”, ribadisce l’amministratore delegato Giuseppe Castagna nella conference call con gli analisti finanziari, aggiungendo che tra le altre cose “loro sono molto più esposti alla volatilità dei mercati”. Nella nota dopo la riunione del Cda, la banca sostiene anche che il valore generato dall’acquisizione di Anima “potrebbe diluirsi all’interno di Unicredit” e che dove “a seguito dell’acquisizione dell’emittente e fermo restando quanto previsto dal provvedimento Golden Power le cui modalità di implementazione da parte di Unicredit non risultano chiare, un’eventuale riduzione delle attività di rischio ponderate dovesse interessare anche la clientela di Banco Bpm, sussisterebbero significative incertezze circa la capacità di confermare gli obiettivi di crescita e di generazione di valore su basi stand-alone”.

La strategia perseguita da Banco Bpm “incentrata sulla generazione di valore per l’azionista attraverso la piena valorizzazione delle opportunità di sviluppo del business presso la clientela di riferimento, con specifico riguardo alle famiglie e alle Pmi, appare diversa da quella implementata da Unicredit”, spiega inoltre la banca guidata da Castagna. Che ricorda come “dopo aver perfezionato un aumento di capitale da 13 miliardi nel 2017 e aver ceduto nel periodo 2017-2019 una parte dei propri asset (tra cui Pioneer Investments, FinecoBank e Bank Pekao), Unicredit ha promosso negli ultimi anni una strategia che ha comportato una riduzione delle attività ponderate per il rischio che tra il 2020 e il 2024 sono passate da 326 miliardi a 277 miliardi”. Per l’Italia “tale orientamento si è tradotto in una riduzione delle attività di rischio ponderate da 131 miliardi a 101 miliardi negli anni dal 2020 al 2024 a cui appare riconducibile una riduzione dei volumi di impieghi da 168 miliardi a 145 miliardi nello stesso periodo”, aggiunge Banco Bpm. ll consiglio di amministrazione “riconosce che l’offerta di Unicredit sottovaluta la nostra banca”, spiega da parte sua il presidente di Banco Bpm, Massimo Tononi, secondo il quale “l’offerta è inadeguata dal punto di vista finanziario e non è giusta per i nostri azionisti”. Il Cda di Banco Bpm ha infatti deciso “che il corrispettivo non è congruo da un punto di vista finanziario. Tale conclusione è supportata, tra i vari fattori considerati, dalle rispettive analisi finanziarie condotte da Citi e Lazard, in qualità di advisor finanziari, e dalle rispettive opinion”, spiega l’istituto di piazza Meda, evidenziando in particolare il “mancato riconoscimento di un premio” per l’eventuale controllo di Banco Bpm.

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