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Corona Virus

Ricostruito il percorso del virus, il “paziente zero” è tedesco e rientrò il 25 gennaio dalla Germania

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Era il 20 febbraio. All’ospedale civico di Codogno, nel Lodigiano, arriva un ragazzo di 38 anni sposato. Diciassette giorni dopo quella sera l’équipe di ricercatori dell’Università Statale di Milano guidata dal professor Massimo Galli, direttore del reparto malattie infettive dell’ospedale Sacco, invia a una rivista scientifica internazionale il primo studio su come, quando e perché il virus Sars2Cov è arrivato in Italia.
Questa analisi scientifica del Sacco di Milano, una eccellenza delle nostre istituzioni scientifiche, ci presenta un nuovo paziente zero. Secondo lo studio della equipe del professor Galli, per fissare con certezza l’ingresso di Sars2Cov nel nostro paese bisogna tornare indietro di almeno un mese. La data è quella del 25 gennaio. Quel giorno in Italia, spiega lo studio, il virus inizia a circolare e inizia a farlo in modo silente proprio nell’area del Basso Lodigiano. Tre giorni prima, lasso temporale decisivo, in Germania viene isolato il virus da un manager tedesco che lo ha contratto da una collega cinese di Shanghai.
Il professor Galli  è sicuro della parentela tra il ceppo virale della Baviera e quello di Codogno.
Ora, la nuova mappa aggiunge altro: il virus circolato in Germania ha contagiato una persona italiana che arrivava dalla zona del Basso lodigiano. La stessa persona, rientrata in Italia, ha fatto partire con buona probabilità l’epidemia nei confronti di migliaia di persone. Ecco allora l’identikit inedito del paziente zero che ancora non è stato trovato.
Un ritratto del primo caso di Covid-19 “inconsapevole” supportato anche dalle analisi epidemiologiche. Subito dopo il 20 febbraio si era puntato su un amico del 38enne di Codogno rientrato da Shanghai il 21 gennaio e che con lui aveva cenato due volte. L’analisi sugli anticorpi lo aveva poi escluso. I ricercatori dell’università Statale di Milano hanno analizzato tre ceppi tra loro differenti per minime mutazioni. Oltre a questi in Italia ne sono stati isolati altri due.
Cinque ceppi, cinque sequenze genomiche. Tutte riconducibili per data di anzianità a quella fine di gennaio, e tutte sovrapponibili come sequenze di nucleotidi al primo ceppo della Baviera.
Lavorando a ritroso su tali sequenze, l’equipe del professor Galli ha datato tutte le mutazioni. È stato cioè studiato “l’orologio biologico”. Concetto non semplice da ricostruire. Nella sostanza i virus ogni volta che si replicano mostrano delle differenze.
Ovvero tra la coppia madre e la coppia figlia esistono sempre delle piccole modificazioni dette anche “sinonime”.
Ecco allora il punto: lo studio a ritroso di queste caratteristiche ha fornito ai ricercatori la dimensione temporale di come e quando il virus ha mutato. Le divergenze tra il primo e il dopo si inseriscono in un andamento rappresentato come una sorta di albero. Tutto parte dalla Germania. Naturalmente qui si tratta di scienza, non si attribuiscono colpe. Di certo ora sappiamo con chiarezza messa nero su bianco come il virus tedesco è arrivato nel Lodigiano il 25 gennaio. E come poi è ripartito ad esempio verso la Germania in un continuo e fulmineo scambio.
Stando alla mappa pubblicata sul sito Netxstrain gestito dal professor Trevor Bedford del Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle e secondo le analisi italiane, il Sars2Cov lodigiano ha proseguito la sua corsa in Italia e all’estero andando a colpire diverse nazioni. Tra queste la Finlandia, il Brasile, la Scozia e la Svizzera. Oltre che la stessa Germania. Qui il secondo ceppo tedesco è stato isolato successivamente al primo italiano. Lo studio dei ricercatori è fondamentale per capire le mutazioni di Sars2Cov. E dunque anche la sua evoluzione, che dal punto di vista clinico, secondo l’analisi di Raffaele Bruno, direttore dell’unità operativa complessa Malattie infettive del Policlinico San Matteo di Pavia, oggi si sdoppia in un momento iniziale meno invasivo e in un altro molto più acuto.
Spiega il professor Bruno: “La malattia ha due fasi: una iniziale che si presenta con una polmonite interstiziale con medio-basso fabbisogno di ossigeno e una fase secondaria rapidamente progressiva, in cui interviene una sindrome infiammatoria che fa peggiorare completamente la situazione”. Il che fa pensare anche a uno sdoppiamento genetico di Sars2Cov come anticipato nei giorni scorsi da uno studio americano. Sicuramente la data d’ingresso agevola e non poco il lavoro. Confermando i legami tra i ceppi del Lodigiano e i successivi di Bergamo, Cremona e Piacenza. Certo non si può gridare vittoria. La situazione, spiega Galli, resta critica.
Anche perché, a fronte di una diminuzione di casi nella ex zona rossa resta “una pessima idea, per non dire di peggio, riaprire quelle zone del Basso Lodigiano”.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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