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Economia

Regole pensionamento penalizzano operai, vivono meno

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Circa 16,1 milioni di pensionati e quasi 322 miliardi di spesa per 20,8 milioni di prestazioni con un divario marcato negli importi pensionistici tra uomini e donne: l’Inps fotografa la situazione della previdenza nel 2022 e avverte: le regole attuali sull’accesso al pensionamento con il calcolo della pensione uguale per tutti penalizzano le classi meno abbienti perché hanno una speranza di vita più bassa e favoriscono quelle con i redditi più alti. Nel 22mo Rapporto annuale presentato dalla Commissaria, Micaela Gelera, prima donna a guidare l’Istituto, si sottolinea che la speranza di vita a 67 anni per gli operai è di quasi cinque anni inferiore a quella dei dirigenti (16 contro 20,9) e che il coefficiente di trasformazione uguale per tutti consegna una pensione ai meno abbienti più bassa di quella che avrebbero avuto considerando la loro reale aspettativa di vita.

“Viceversa, si legge nel Rapporto, i più abbienti ottengono pensioni più elevate di quelle che risulterebbero da tassi che tengono conto della effettiva durata media della loro vita”. Il Rapporto segnala che gli uomini pur essendo circa il 48% dei pensionati concentrano il 56% della spesa, ovvero 180,4 miliardi contro i 141,5 erogati alle donne. Per gli uomini l’importo annuale medio del reddito da pensione è di circa 23.182 euro, per il 36% circa superiore a quello delle donne (16.994). Le donne riscuotono circa 515 euro al mese in meno degli uomini (considerando l’importo diviso per 12 mesi), ovvero circa il 26,67% in meno. Il dato è legato al fatto che le donne hanno carriere contributive più corte e spesso assenti. Anche per questo le donne vanno ormai in pensione a un’età media più alta di quella degli uomini che utilizzano invece largamente il canale dell’uscita anticipata. L’Inps fa i conti anche sulle uscite con le Quote rilevando che con Quota 100 sono già andate in pensione 433mila persone, circa 380mila tra il 2019 e il 2021, gli altri dopo avendo raggiunto però i requisiti in quella finestra temporale. Molto meno consistenti sono le uscite con Quota 102 con 5.700 uscite nel 2022 e altre 4.874 nei primi cinque mesi del 2023 e Quota 103 (5.125 domande tra gennaio e maggio).

Nel 2022 il ricorso a Opzione donna ha raggiunto 26mila unità. L’Inps fa i conti anche sui risultati del cuneo contributivo: con il taglio previsto da luglio 2023 del 7% per i lavoratori con un imponibile pensionistico fino a 25.000 euro su base annua e del 6% per i lavoratori con un imponibile pensionistico fino 35.000 euro la retribuzione media stimata a ottobre 2023 dovrebbe aumentare di 98 euro lordi. Circa il 57% dei lavoratori beneficerebbe di importi superiori ai 100 euro mensili mentre solo il 2% dei beneficiari riceverebbe meno di 80 euro. L’Inps affronta anche la questione inflazione e quella dei working poor. Secondo l’Istituto le famiglie nel quinto di reddito più basso hanno sperimentato tra il 2018 e il 2022 un aumento dei prezzi nel loro paniere di riferimento del 15%, circa cinque punti in più di quanto sperimentato dall’ultimo quinto, quello con il reddito più alto. Ma sono riuscite ad aumentare il loro reddito reale aumentando l’offerta di lavoro. L’inflazione invece ha falcidiato i redditi dei pensionati non potendo questi agire sull’offerta di lavoro.

I primi due quintili di reddito delle famiglie di pensionati hanno perso tra il 2018 e il 2022 il 10,6% del reddito reale. E l’aumento dell’intensità di lavoro sembra la risposta al lavoro povero. I lavoratori poveri, scrive l’Istituto, “risultano particolarmente addensati tra i dipendenti a part time (oltre mezzo milione su 871,800)”. I working poor a full time per ragioni salariali – scrive l’Inps – sono 20.300 (0,2% sul totale della platea dipendenti). “Il mercato del lavoro – ha detto la ministra del Lavoro, Marina Calderone intervenendo alla presentazione del Rapporto – è in generale ripresa, ci sono più rapporti di lavoro subordinati, ci sono più ore lavorate, meno ammortizzatori sociali, più retribuzione e più contributi”. L’aumento delle dimissioni “restituisce una sensazione di dinamicità del mercato del lavoro. Si può smettere di lavorare in un’azienda perché c’è la possibilità di lavorare per un’altra. Questo parla di crescita della qualità del nostro mercato del lavoro”.

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Generali, vince la lista Mediobanca: Donnet e Sironi confermati alla guida

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Con il 52,38% dei voti, l’assemblea dei soci di Generali ha scelto la lista di Mediobanca, confermando per il prossimo triennio Philippe Donnet (foto Imagoeconomica in evidenza) nel ruolo di amministratore delegato e Andrea Sironi come presidente. Una decisione che riafferma la linea della continuità e della stabilità nella governance della storica compagnia assicurativa triestina.

Affluenza e composizione del voto

L’assemblea, che ha registrato un’affluenza del 68,7%, è tornata in presenza per la prima volta dal 2019, riunendo oltre 450 azionisti presso il Generali Convention Center. A pesare sul risultato finale sono stati in particolare i voti degli istituzionali (circa il 17,5%) e un sorprendente apporto del retail (5%), mai così attivo. Anche la Cassa forense, con il suo 1,2%, ha votato a favore della lista Mediobanca.

Risultato del gruppo Caltagirone e confronto con il 2022

La lista Caltagirone ha ottenuto il 36,8% del capitale votante, confermando il ruolo di minoranza forte, ma non sufficiente a ribaltare gli equilibri. I fondi Assogestioni, con il 3,67%, non superano la soglia del 5% e quindi restano fuori dal consiglio. Il confronto con il 2022 mostra un equilibrio sostanzialmente stabile: allora Mediobanca aveva ottenuto il 56%, Caltagirone il 41%.

Il nuovo consiglio d’amministrazione

Il nuovo board sarà composto da 13 membri, con una struttura molto simile a quella uscente. Oltre a Donnet e Sironi, confermati nomi come Clemente Rebecchini, Luisa Torchia, Lorenzo Pellicioli, Antonella Mei-Pochtler, Alessia Falsarone. Tra le novità, Patricia Estany Puig e Fabrizio Palermo, ex ceo di Cdp e attuale ad di Acea.

Il ruolo di Unicredit, Delfin e gli altri azionisti

A sostenere Caltagirone si è aggiunta Unicredit, con il 6,5% su un portafoglio totale del 6,7%. Al suo fianco anche Delfin(9,9%) e probabilmente la Fondazione Crt (quasi 2%). Assente invece dai voti sulle liste Edizione della famiglia Benetton (4,83%), che ha scelto di astenersi, pur votando su altri punti all’ordine del giorno.

Donnet: «Ha vinto Generali»

«Oggi ha vinto Generali», ha dichiarato Donnet. «Il mercato si è espresso chiaramente: questa era la scelta per il futuro della compagnia come public company indipendente». Il presidente Sironi ha parlato di un consiglio «che ha lavorato con rispetto e responsabilità» e che continuerà a farlo anche nel prossimo mandato.

 

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Google oltre le attese con cloud, sale a Wall Street

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Alphabet archivia il primo trimestre sopra le attese degli analisti e avanza a Wall Street dove, nelle contrattazioni after hours, arriva a guadagnare oltre il 5%. L’utile netto è balzato del 46% a 34,5 miliardi di dollari rispetto ai 23,7 miliardi dello stesso periodo dello scorso anno. I ricavi sono saliti del 12% a 90,23 miliardi.

A spingere le attività core di ricerca e pubblicità di Google, i cui ricavi sono saliti del 10% a 50,7 miliardi, sopra le previsioni del mercato che scommetteva su un aumento più contento dell’8%. La divisione di cloud computing ha sperimentato un aumento dei ricavi del 28% a 12,3 miliardi, confermando la sostenuta domanda per i suoi data center e i servizi di network per il boom dell’IA. “La ricerca ha proseguito una crescita forte”, ha detto l’amministratore delegato Sundar Pichai, mettendo in evidenza la “rapida” crescita del cloud.

Le spese di capitale nei primi tre mesi sono balzate a 17,2 miliardi, leggermente sopra le previsioni di 17,1 miliardi. I risultati trimestrali sono stati accompagnati dall’annuncio di un piano di buyback da 70 miliardi di dollari e un aumento del dividendo trimestrale del 5% a 21 centesimi per azione. Google è il secondo colosso di Big Tech ad annunciare la trimestrale da quando è iniziata la guerra commerciale avviata da Donald Trump. Tesla nei giorni scorsi ha messo in guardia sull’impatto dei dazi sulle sue attività di batterie, che dipendono dai componenti dalla Cina.

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Banco Bpm boccia ancora l’Ops di Unicredit, ‘inadeguata’

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Ovviamente è ancora un no. E motivato con nuovi argomenti. Banco Bpm boccia una volta di più l’Offerta pubblica di scambio volontaria annunciata da Unicredit e lo fa citando anche “modalità di implementazione” della normativa sulla Golden Power che “da parte di Unicredit non risultano chiare”. Strategia ovviamente, ma intanto l’amministratore delegato di Banco Bpm consiglia chiaramente agli azionisti di non aderire all’Ops. I nuovi passaggi dello scontro sono contenuti nell’approvazione all’unanimità da parte del Consiglio di amministrazione di Banco Bpm del ‘comunicato dell’emittente’ sull’offerta promossa dal gruppo guidato da Andrea Orcel.

Il Cda “a seguito di un’attenta valutazione dei termini e delle condizioni descritti nel documento di offerta pubblicato da Unicredit il 2 aprile scorso e delle altre informazioni disponibili ha ritenuto l’Ops non conveniente e il corrispettivo non congruo”, afferma Banco Bpm in un comunicato. “L’offerta è completamente inadeguata e quindi noi consigliamo ai nostri azionisti di non aderire”, ribadisce l’amministratore delegato Giuseppe Castagna nella conference call con gli analisti finanziari, aggiungendo che tra le altre cose “loro sono molto più esposti alla volatilità dei mercati”. Nella nota dopo la riunione del Cda, la banca sostiene anche che il valore generato dall’acquisizione di Anima “potrebbe diluirsi all’interno di Unicredit” e che dove “a seguito dell’acquisizione dell’emittente e fermo restando quanto previsto dal provvedimento Golden Power le cui modalità di implementazione da parte di Unicredit non risultano chiare, un’eventuale riduzione delle attività di rischio ponderate dovesse interessare anche la clientela di Banco Bpm, sussisterebbero significative incertezze circa la capacità di confermare gli obiettivi di crescita e di generazione di valore su basi stand-alone”.

La strategia perseguita da Banco Bpm “incentrata sulla generazione di valore per l’azionista attraverso la piena valorizzazione delle opportunità di sviluppo del business presso la clientela di riferimento, con specifico riguardo alle famiglie e alle Pmi, appare diversa da quella implementata da Unicredit”, spiega inoltre la banca guidata da Castagna. Che ricorda come “dopo aver perfezionato un aumento di capitale da 13 miliardi nel 2017 e aver ceduto nel periodo 2017-2019 una parte dei propri asset (tra cui Pioneer Investments, FinecoBank e Bank Pekao), Unicredit ha promosso negli ultimi anni una strategia che ha comportato una riduzione delle attività ponderate per il rischio che tra il 2020 e il 2024 sono passate da 326 miliardi a 277 miliardi”. Per l’Italia “tale orientamento si è tradotto in una riduzione delle attività di rischio ponderate da 131 miliardi a 101 miliardi negli anni dal 2020 al 2024 a cui appare riconducibile una riduzione dei volumi di impieghi da 168 miliardi a 145 miliardi nello stesso periodo”, aggiunge Banco Bpm. ll consiglio di amministrazione “riconosce che l’offerta di Unicredit sottovaluta la nostra banca”, spiega da parte sua il presidente di Banco Bpm, Massimo Tononi, secondo il quale “l’offerta è inadeguata dal punto di vista finanziario e non è giusta per i nostri azionisti”. Il Cda di Banco Bpm ha infatti deciso “che il corrispettivo non è congruo da un punto di vista finanziario. Tale conclusione è supportata, tra i vari fattori considerati, dalle rispettive analisi finanziarie condotte da Citi e Lazard, in qualità di advisor finanziari, e dalle rispettive opinion”, spiega l’istituto di piazza Meda, evidenziando in particolare il “mancato riconoscimento di un premio” per l’eventuale controllo di Banco Bpm.

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