C’è una data che ogni tifoso azzurro porta nel cuore: 22 aprile 1990. Quel giorno, al Dall’Ara di Bologna, il Napoli vinse 4-2 e si mise ago e filo alla mano per iniziare a cucirsi il secondo scudetto della sua storia. Il sarto, come ama ricordare lui stesso con un pizzico di ironia, si chiamava Albertino Bigon. Un allenatore che aveva l’anima dei vincenti e la pazienza di chi sa ricamare una squadra con equilibrio e sacrificio, mettendo insieme l’estro di Maradona e la forza operaia di uomini come Ferrara, Carnevale, Careca, Crippa e Alemao.
Quel Bologna-Napoli fu più che una partita
«Una domenica straordinaria», racconta oggi Bigon, che vive tra i colli Euganei ma non ha mai smesso di seguire il calcio. «Il Milan perdeva a Verona, e noi davamo spettacolo a Bologna, in uno stadio pieno di napoletani in festa». Fu l’anticamera di una settimana epica, conclusa col gol di Baroni contro la Lazio che consegnò matematicamente lo scudetto al Napoli.
“Quel punto della monetina? Una fesseria insopportabile”
Bigon è netto anche nel commentare, ancora oggi, le polemiche legate alla famigerata monetina da 100 lire che colpì Alemao in Atalanta-Napoli: «Quel punto non cambiò nulla nella classifica. Quelle erano le regole e chi oggi ancora ne parla dice una idiozia». Punto.
Il dolore per la fine di Maradona
Ma il ricordo più amaro è legato alla fine di Diego. «Non riesco ad accettare che sia morto da solo», dice con voce che tradisce ancora rabbia e tristezza. «Un uomo che ha fatto felici milioni di tifosi non meritava un epilogo del genere. Mi fa male solo pensarci».
L’ammirazione per Conte e l’aneddoto con Trapattoni
Bigon ha un legame diretto anche con il presente del Napoli: Antonio Conte è stato un suo calciatore ai tempi del Lecce. «Era un predestinato. Trapattoni mi chiese se fosse pronto per la Juventus. Risposi sì, e lui mi promise che l’avrebbe preso in estate. Invece a novembre era già a Torino…». Ma niente rancore: «Il Trap lo perdonai subito».
“Vincere da giocatore è meglio, da allenatore non si dorme”
Parola di uno che ha fatto entrambe le cose: «Nel ‘78 vinsi lo scudetto da veterano col Milan, ed era tutta un’altra felicità. Con il Napoli, invece, passavo notti insonni a confrontarmi con una squadra di campioni veri. Ma che capivano il significato della parola sacrificio».
“Il mio 10 era Massimo Mauro”
In assenza di Maradona, Bigon aveva scelto Mauro come regista. «Un simbolo del gruppo. Ho imparato dai grandi maestri che il sacrificio è più importante dell’ego. Rocco, per esempio, mi fece marcare Causio pur dicendomi che ero il miglior attaccante. Ma si vince così, mettendosi al servizio della squadra».
Un Napoli essenziale come quello di oggi
Bigon vede molte affinità tra il suo Napoli e quello che Conte sta costruendo: «Essenziale, concreto, vincente. Non c’è nulla di più bello che vincere così. E lui sa come spremere il massimo dai suoi uomini».