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Economia

Quattro liste per 9 posti nel cda Tim, occhi a Vivendi

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L’ ‘anticamera’ del cda di Tim si è affollata: per 9 posti ci sono 35 candidati che appartengono a 4 liste diverse, tre delle quali si candidano per la maggioranza. Il cda ha presentato 15 nomi non volendo dare per scontato che l’assemblea del 23 aprile approvi il taglio che verrà proposto di 6 posti nel board. L’ad Pietro Labriola rappresenta la continuità, deve ancora portare a termine la sua missione di trasformazione del gruppo, compresa la vendita della rete; Alberta Figari, partner di Legance Avvocati Associati, indicata come presidente è la novità, in una rosa complessiva di 6 donne e 9 uomini.

Merlyn, che dichiara di possedere lo 0,53% del capitale, è lo sfidante di ‘rottura’ che non solo vuole chiudere in fretta il capitolo Netco ma propone la trasformazione del gruppo in una TechCo, vendendo il Brasile e la componente Consumer. Stefano Siragusa, fino al 2022 deputy del Direttore Generale e Chief Network Operations & Wholesale Officer, dovrebbe prendere le redini del gruppo mentre alla presidenza viene indicato Umberto Paolucci, numero uno di Microsoft in Italia per 25 anni fino al 2010. Si qualifica come lista di maggioranza e schiera con loro altri 8 candidati. Anche il fondo Bluebell conta di avere la maggioranza a suo favore, candida 3 uomini e 3 donne e vuole farli eleggere tutti.

Pola Giannotti de Ponti (già consigliera di Tim dal 2018 al 2022) è candidata come presidente mentre non esprime nessun amministratore delegato. Più che un endorsment sembra una mossa utilitaristica quella di Giuseppe Bivona (il fondatore di Bluebell), serve Labriola per chiudere su Netco, lo chiede il mercato. Nella lista anche Laurence Lafont (Vice President Strategic Industries EMEA Google Cloud), Monica Biagiotti (Executive vice president Global consumer marketing di Mastercard), Paolo Amato (nel cda di Fincantieri e Telepass), Paolo Venturoni (Chief Executive Officer of the European Organization for Security) ed Eugenio D’Amico (professore della Sapienza).

Asati infine ha rimaneggiato la sua lista per renderla adeguata allo statuto rispettando la parità di genere: presenta 4 candidati, tre uomini (Franco Lombardi, Alberto Brandolese e Maurizio Matteo Decina) e una donna, Francesca Dalla Vecchia e ha già dichiarato il suo sostegno al piano e all’ad Labriola, proponendosi come lista di minoranza. E’ in scadenza anche il collegio sindacale e per ora è stata depositata solo la lista del Comitato dei gestori (titolari dell’1,3% del capitale) ma indiscrezioni di stampa suggeriscono che Vivendi, che non intende proporre una lista per il cda, depositi invece una lista per l’organo di vigilanza.

Qualche giorno di riposo per Pasqua e poi il ‘cantiere’ della Rete si riaprirà. Il 2 aprile i vertici di Tim e quelli di Vivendi sono stati convocati a Roma dal comitato golden power per un supplemento di indagine sulla cessione di Netco a Kkr. Il via libera è già arrivato ma il governo vorrebbe capire, in vista dell’assemblea del 23 aprile, quale orientamento avranno i francesi. Intanto la società e i sindacati hanno raggiunto nella notte un accordo sui 3560 esuberi dichiarati, con l’impegno della società per tutta la durata dell’accordo a non fare azioni unilaterali. Verrà applicato un contratto di solidarietà a tutta la popolazione lavorativa di cui 8.500 persone al 5% (i tecnici) e 23.300 persone al 13,84 per cento.

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Inflazione, Codacons: con record cacao e caffè rischi rincari

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E’ boom per le quotazioni di cacao e caffè, con i prezzi delle due materie prime che sui mercati internazionali stanno raggiungendo nuovi preoccupanti record, aumenti che potrebbero portare a breve a forti rincari dei listini al dettaglio per una moltitudine di prodotti venduti in Italia. L’allarme arriva oggi dal Codacons, che ha monitorato l’andamento delle quotazioni negli ultimi mesi. A inizio gennaio il prezzo del cacao era pari a circa 4.250 dollari la tonnellata, mentre ieri, mercoledì 24 aprile, le quotazioni sui mercati avevano raggiunto quota 10.800 dollari, con un incremento del +154% da inizio anno, riporta il Codacons. Trend analogo si registra per il caffè, con il Robusta che è passato dai 2.800 dollari la tonnellata dello scorso gennaio ai 4.250 dollari del 24 aprile, segnando un +51,8%, mentre l’Arabica nello stesso periodo sale da 190 a 224 centesimi alla libbra (+18%).

Quotazioni alle stelle che interessano materie prime utilizzate per prodotti molto consumati in Italia, e che rischiano di determinare rincari a raffica per i prezzi al dettaglio di una moltitudine di alimenti, lancia l’allarme il Codacons. Basti pensare che solo per i prodotti a base di cacao e caffè gli italiani spendono oltre 10,2 miliardi di euro all’anno, circa 392 euro a famiglia: il giro d’affari del cioccolato nel nostro Paese è di circa 2 miliardi di euro, con un consumo procapite di circa 2 kg. Cialde e capsule valgono 595 milioni di euro annui, mentre il caffè per moka registra vendite per 640 milioni di euro. 7 miliardi di euro il business del caffè espresso consumato al bar. I prezzi al dettaglio hanno già risentito nell’ultimo periodo dell’andamento delle quotazioni, con i prezzi di prodotti a base di cacao e caffè che sono aumentati sensibilmente rispetto allo scorso anno – aggiunge il Codacons. Ipotizzando un rincaro medio dei listini al dettaglio del +5% come effetto dei rialzi delle materie prime, i consumatori andrebbero incontro ad una nuova stangata da 510 milioni di euro solo per i consumi di caffè e cioccolato.

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Ocse, in Italia il cuneo fiscale supera il 45% nel 2023

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Per il lavoratore ‘single’ in Italia il peso delle imposte complessive sul salario è in media del 45,1%, sostanzialmente stabile rispetto al 2022 (era del 45%). E’ quanto emerge dal rapporto Ocse per il 2023 ‘Taxing Waging. Il cuneo fiscale nell’Ocse è stato del 34,8% in media nel 2023 (34,7% nel 2022) e l’Italia figura al quinto posto per l’incidenza più alta tra i 38 Paesi Ocse, dopo Belgio (52,7%), Germania (47,9%), Austria (47,2%) e Francia (46,8%). In Italia, le imposte sul reddito e i contributi previdenziali del datore di lavoro rappresentano insieme il 90% del cuneo fiscale totale, mentre la media Ocse è del 77%. Per un lavoratore spostato con due figli il cuneo è invece inferiore e vede l’Italia all’ottavo posto con il 33,2% (era al nono posto nel 2022), rispetto a una media Ocse del 25,7%.

Tra il 2000 e il 2023 il cuneo fiscale per il lavoratore single è sceso di 2 punti percentuali (dal 47,1 al 45,1%). Nello stesso periodo nei paesi Ocse è sceso di 1,4 punti percentuali (dal 36,2 al 34,8%). Tra il 2009 e il 2023 invece il cuneo fiscale per il lavoratore medio single in Italia è sceso di 1,7 punti percentuali. Durante questo stesso periodo, il cuneo fiscale per il lavoratore single nei paesi Ocse è aumentato lentamente fino al 35,3% nel 2013 e nel 2014, scendendo al 34,8% nel 2023. L’aliquota fiscale netta del dipendente single in Italia nel 2023 è stata in media del 27,7% nel 2023, rispetto alla media Ocse del 24,9%. Tenendo conto degli assegni familiari e delle disposizioni fiscali, l’aliquota fiscale media netta del dipendente per un lavoratore sposato con due figli in Italia era del 12% nel 2023, il 26esimo valore più basso nei Paesi Ocse, e si confronta con il 14,2% della media Ocse.

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Bhp offre 36 miliardi per il rame di Anglo American

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Scossone nel mondo delle materie prime. Bhp, il primo gruppo mondiale, un gigante da 120 miliardi di sterline di capitalizzazione di Borsa, sta cercando di mettere le mani su un altro colosso del settore, Anglo American, ingolosito dalle sue miniere di rame, metallo reso sempre più ricercato e costoso dal ruolo centrale che riveste nei processi di transizione energetica e di elettrificazione. La multinazionale con sede a Melbourne, in Australia, ha inviato ad Anglo American una proposta di fusione attraverso uno scambio azionario che valuta la concorrente 31,1 miliardi di sterline (36 miliardi di euro), incluse le partecipazioni nelle controllate quotate Anglo American Platinum e Kumba (ferro), di cui è prevista la distribuzione agli azionisti di Anglo American prima della fusione.

L’offerta, che valuta le azioni 25,08 sterline l’una, ha fatto impennare il titolo alla Borsa di Londra, salito del 16,1% a 25,6 sterline, sopra il prezzo offerto da Bhp. Segno che la proposta degli australiani potrebbe non bastare: secondo gli analisti di Jefferies serviranno almeno 28 sterline ad azione per avviare “serie discussioni” e “ben più di 30” nel caso in cui si facessero sotto altri pretendenti. Il cda di Anglo American ha fatto sapere che sta analizzando l’offerta, che Bhp dovrà confermare o ritirare entro il 22 maggio. Ma non è questo l’unico ostacolo che Bhp si troverà ad affrontare. Anzitutto l’operazione passerà al setaccio delle autorità antitrust di diversi Paesi – dall’Australia, al Sudafrica, al Cile – alla luce del rafforzamento della posizione di Bhp in alcuni mercati, a partire da quello del rame, di cui diventerebbe da terzo a primo produttore mondiale, con una quota di mercato di circa il 10% e una produzione annua superiore ai due milioni di tonnellate.

In secondo luogo occorrerà convincere il governo sudafricano, dove si trovano un quinto degli asset di Anglo American e che controlla il primo azionista del gruppo, il fondo pensione Pic. Il ministro delle Risorse minerarie, Gwede Mantashe, ha già chiarito all’Ft di non vedere di buon occhio l’operazione avendo avuto un’esperienza “non positiva” con Bhp in occasione dell’acquisizione di Billiton nel 2001, tradottasi in un impoverimento per l’industria mineraria del Paese. Pic ha dichiarato che valuterà l’offerta ma ha precisato che le nuove opportunità dovranno tener conto del ruolo “fondamentale” che il settore minerario riveste per l’economia sudafricana e i suoi stakeholder e della “sostenibilità a lungo termine”. Oltre ad “aumentare l’esposizione alle materie prime del futuro” integrando “gli asset di livello mondiale nel rame di Anglo American”, Bhp ha detto di essere interessata alle attività nei metalli ferrosi e nel carbone metallurgico australiano mentre gli altri asset, inclusa la quota nel produttore di diamanti De Beers, saranno sottoposti a “revisione strategica” e dunque potrebbero essere messi sul mercato a valle dell’acquisizione.

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