Metti il procuratore nazionale antimafia, Giovanni Melillo, ai piedi dell’altare accanto a don Maurizio Patriciello, parroco anticamorra di quel famigerato parco Verde di Caivano tornato di recente nell’occhio del ciclone per le violenze su due bambine e le stese di camorra. E davanti a loro un uditorio composto da fedeli e cittadini che hanno risposto al tam tam e sono accorsi nella chiesa di San Paolo Apostolo per il confronto collocato tra un battesimo e la messa di mezzogiorno. Ne esce un faccia a faccia di circa due ore, con il magistrato che risponde alle sollecitazioni dei presenti accomunate da un unico filo conduttore: una grande richiesta di aiuto da parte dello Stato. C’è chi fa ammissione di colpevolezza per aver ceduto al ricatto del cosiddetto ‘cavallo di ritorno’ e chi se la prende con i giornalisti colpevoli di aver ghettizzato il parco Verde.
Ma anche chi ammette le colpe della connivenza, il girarsi dall’altra parte. Proprio quello che Melillo invita a non fare chiedendo ai cittadini di fare la loro parte con il ricorso a una metafora: “Quando c’è stato il Covid la prima terapia è stata quella di proteggerci da soli con l’uso della mascherina. La nostra salute dipendeva dai nostri comportamenti. Così per Caivano non esiste terapia senza comportamenti coerenti. Non si può far finta di niente se si vede una fattura falsa e va denunciato il vigile urbano che si rifiuta di intervenire. È responsabilità di ciascuno e so che è difficile. E’ più facile puntare il dito sugli altri e voltarsi dall’altra parte. Nessuno chiede di denunciare il capo camorra, anche perché da 30 anni questi vengono arrestati mentre prima giravano rispettati. E’ difficile, ma lo è anche l’alternativa che arrivi qualcuno a risolvere il problema al posto vostro”. Quello che è mancato – ammette Melillo – non è lo Stato repressivo quanto quello sociale. “Si è vero – ha detto il magistrato – che qui lo Stato ha fallito. Ma non nel senso che non c’è stato proprio, ma nel senso che qui c’è stata solo una parte dello Stato. Quello che e’ mancato e’ lo Stato dell’ inclusione sociale, quello cui competono le politiche educative. Quello e’ mancato, qui come in altri luoghi”. Ecco perchè – l’invito di Melillo – la comunita’ di Caivano deve sviluppare una domanda non solo di sicurezza ma di emancipazione. “Io spero che ai provvedimenti repressivi se ne accompagnino altri per nuovi assistenti sociali o per nuovi campi dove far fare sport ai ragazzi. Questo perché quando lo Stato non c’è e’ anche perché viene meno la domanda di Stato”.
“I provvedimenti legislativi – ha proseguito il magistrato Antimafia – sono una soluzione ai problemi generali ma Caivano non può fermarsi qui. Tornero’ nei prossimi mesi – l’impegno del procuratore – credo che questo vostro cammino debba continuare su altri versanti e Caivano deve diventare promotore di un patto di impegno civile che deve riguardare tutti. Non basta l’attività del legislatore, la riprovazione di certi comportamenti deve partire dalle famiglie”. Quelle che vanno evitate sono le divisioni su argomenti come la mafia. “Penso sia importante – il richiamo del magistrato – quello che è accaduto nelle scorse settimane con il Presidente del Consiglio che è venuto a Caivano assieme ad alcuni ministri. E trovo incredibile che ci si possa dividere sul fatto che sia importante che lo Stato dimostri di essere presente. Su alcuni argomenti come mafia e corruzione il Paese non deve dividersi mai. Ci sono questioni – ha ribadito Melillo – su cui bisogna riconoscere le cose positive o negative fatte prescindendo da ogni considerazione di parte. E su Caivano sono state date risposte concrete e alcune, per quanto piccole, hanno anche un grande valore simbolico che vanno oltre Caivano”.