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Premio Bearzot a Spalletti: “è stata fonte di ispirazione per gli allenatori”

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“Enzo Bearzot è stata una fonte di ispirazione per la categoria”: lo ha detto Luciano Spalletti che ha ricevuto oggi a Napoli, presso la Sala dei Baroni al Maschio Angioino, il premio nazionale Enzo Bearzot, organizzato dall’Us Acli e con il patrocinio della Federcalcio presso il Maschio Angioino. “Sento dire che fosse una persona testarda, ma nel suo carattere ci vedo coerenza di quello che è il suo lavoro e che gli altri pensano di sapere, ma che invece conoscono solo al 50%. Un onore riceverlo”. A consegnare il premio all’allenatore del Napoli il presidente dell’Us Acli, Damiano Lembo e il presidente del Coni, Giovanni Malagò.

Una scelta come ha spiegato Vito Cozzoli, presidente e ad di Sport e Salute durante la cerimonia, che “ci consente di omaggiare una figura sportiva straordinaria del nostro Paese, come Enzo Bearzot, e celebrare un altro tecnico, preparato e vincente, che sta scrivendo la storia del Napoli, come Luciano Spalletti”. E in proposito il presidente del Napoli ha sottolineato che “Luciano Spalletti resterà al Napoli: Spalletti – ha aggiunto  Aurelio De Laurentiis – è stata una felice intuizione, che ho dovuto depistare. Gattuso in quel momento non si sentiva bene.  Andai a trovarlo, per la seconda volta, perché gli avevo già chiesto di venire da noi prima che andasse alla Roma, La prima mi disse “non posso venire”. Presi Sarri, non feci male. Se le regole del calcio fossero diverse lo scudetto a Napoli forse lo avremmo già portato. Sono andato a trovarlo, gli ho detto: senti Luciano ho un grosso problema, se non si dovesse sentir bene bisogna che tu venga. No presidente, vengo a giugno. Gli strappai un sì, se fosse accaduto sarebbe venuto. Un po’ accigliatamente mi disse va bene. Credo di essere un gentiluomo, non ho voluto segare il precedente allenatore, forse sarei andato prima in Champions se l’avessi fatto. Per depistarvi passai per Allegri che venne per 4 volte a farmi lezione di calcio, poi alla fine venne il bravo Luciano a riportarci tra i primi tre. Però – ha concluso de Laurentiis – anche in quell’anno poteva accadere qualcosa di diverso se le cose fossero un po’ più lecite”.

E lui? il vincitore? Innamorato di Napoli, del Napoli e dei suoi calciatori. “I nostri calciatori – ha spiegato Spalletti- rischiano con l’euforia dei risultati di sentirsi appagati. Su questo faccio dei discorsi esprimendo il timore che cali l’attenzione e lo stimolo. Loro poi, tutte le volte, mi guardano a fine partita per dirmi ‘hai visto che non è così?’ Sono fatti davvero di una pasta diversa”. Poi, prima di lasciare il palco ha voluto dare un consiglio ao più piccoli: “Andate a scuola, ha detto, se lo fate si palleggia meglio”

 

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Clinica Mediterranea, 10 milioni per il rilancio: nuove tecnologie, reparti e grandi nomi della sanità

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Con un investimento da circa 10 milioni di euro, la Clinica Mediterranea di Napoli entra in una nuova era: completamente rinnovati il complesso operatorio con tre blocchi più uno dedicato all’Ostetricia, affiancati da una nuova TAC, un robot chirurgico di ultima generazione, tre angiografi cardiovascolari e un quarto polispecialistico con sale cardiochirurgiche.

Un nuovo corso manageriale con Marco Patriciello

A guidare il cambiamento è Marco Patriciello, 40 anni, economista con master alla Bocconi, alla guida del gruppo familiare che ha già rilanciato numerose strutture in Campania: dalla Malzoni di Avellino all’Ippocratica di Salerno, passando per Ottaviano, Agropoli, Caserta e Napoli. Realtà sanitarie risanate e rilanciate con investimenti e tecnologia.

Ospedale di eccellenze e figure di riferimento

Alla Mediterranea operano grandi nomi della sanità partenopea: Franco Corcione (Chirurgia), Vincenzo Mirone(Urologia), Giuseppe Santoro (Ortopedia), Felicetto Ferrara (Ematologia), Vincenzo Orfeo (Oculistica), Domenico Taranto (Gastroenterologia), Raffaele Scarpa (Reumatologia), Agostino Menditto (Ostetricia). Quest’ultimo guida un reparto totalmente rinnovato, con oltre mille parti l’anno e un tasso di cesarei inferiore al 25%, tra i più bassi in provincia.

Crescono Radiologia e cardiochirurgia

Da gennaio, la Radiologia è diretta da Luigia Romano, ex Cardarelli, mentre la direzione sanitaria è affidata da tempo a Franco Paradiso, figura storica del Cardarelli. In ambito cardiovascolare, la struttura può contare su Daniele Masselli(Cardiochirurgia), Carlo Briguori (Emodinamica), Giuseppe Stabile (Elettrofisiologia) e Sergio Forgiuele (Chirurgia vascolare).

Rete infarto: esclusione sospesa ma ridotta l’attività

Dal 2017 la Mediterranea era nella rete tempo-dipendente per l’infarto, ma nel 2023 è stata esclusa nel riordino regionale. Il Tar ha sospeso il provvedimento, ma le nuove condizioni (accesso solo tramite 118) hanno reso la continuità impraticabile. La struttura, accreditata con il SSN, mantiene anche attività intramoenia privata.

Un polo sanitario per tutta Napoli

Con un budget annuale di circa 36 milioni di euro — ridotto di 5 milioni rispetto alla dotazione storica — la Mediterranea resta un punto di riferimento per Napoli. «Contiamo di potenziare tutti i servizi», afferma Marco Patriciello, «e di continuare a offrire una struttura moderna e d’eccellenza per visite e ricoveri».

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Kashmir, l’India attacca e il Pakistan parla di “atto di guerra”

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Dopo settimane di tensioni seguite all’attentato in Kashmir del 22 aprile scorso, lo scontro tra India e Pakistan si fa aperto. L’esercito indiano ha avviato un’operazione contro obiettivi definiti terroristici con lancio di missili che hanno colpito il territorio pakistano del Punjab e infrastrutture nel Kashmir controllato dal Pakistan. Islamabad riferisce di avere abbattuto almeno cinque jet indiani e il portavoce dell’esercito pakistano, il tenente generale Ahmed Chaudhry, parla di otto civili uccisi, tra cui una bambina di tre anni, in 24 raid indiani in sei localita’ del Pakistan.

L’attacco indiano e’ un “atto di guerra al quale reagiremo in maniera forte”, ha fatto sapere il portavoce pakistano. Secondo l’esercito di Nuova Delhi tre civili indiani sono stati uccisi dai raid pakistani. La comunita’ internazionale e’ in allarme per un altro fronte di guerra che potrebbe aprirsi tra due potenze nucleari: gli Stati Uniti chiedono una ricomposizione della crisi, il Segretario di Stato Marco Rubio ha parlato con i consiglieri per la sicurezza nazionale dell’India e del Pakistan. Ha esortato entrambi a mantenere aperte le linee di comunicazione ed evitare l’escalation”. L’Iran si propone come mediatore: il ministro degli Esteri di Teheran, dopo una visita a Islamabad ieri sara’ in giornata a Nuova Delhi. “Il mondo non puo’ permettersi una guerra tra Inia e Pakistan”, dice il portavoce del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres.

Le tensioni tra India e Pakistan, da sempre presenti, sono aumentate dopo il massacro di 25 turisti indiani e un cittadino nepalese avvenuto nella contesa regione himalayana del Kashmir il 22 aprile scorso. Un gruppo militante islamico sconosciuto, che si autodefinisce Fronte della Resistenza, ha rivendicato la responsabilita’ dell’attacco. L’India ha immediatamente accusato il Pakistan di fiancheggiare i terroristi senza fornire pubblicamente alcuna prova. Il Pakistan ha negato qualsiasi coinvolgimento ma le accuse reciproche tra Delhi e Islamabad sono andate avanti per giorni, con l’India che ha messo in atto una serie di misure punitive declassando i rapporti diplomatici, sospendendo un trattato fondamentale sulla condivisione delle acque e revocando tutti i visti rilasciati ai cittadini pakistani.

Per rappresaglia, il Pakistan ha chiuso il suo spazio aereo a tutte le compagnie aeree di proprieta’ indiana o gestite da indiani e ha sospeso tutti gli scambi commerciali con l’India, compresi quelli da e verso qualsiasi paese terzo. La regione del Kashmir e’ contesa dai due Paesi fin dalla sua istituzione nel 1947. Entrambe la rivendicano interamente, ma ciascuna controlla una porzione del territorio, separata da uno dei confini piu’ militarizzati al mondo: la cosiddetta “linea di controllo”, basata su un confine di cessate il fuoco stabilito dopo la guerra del 1947-48. La Cina controlla un’altra parte a est. L’India e il Pakistan sono entrati in guerra altre due volte per il Kashmir, l’ultima delle quali nel 1999.

La disputa ha origine dalla divisione dell’India coloniale nel 1947, quando piccoli “stati principeschi” semi-autonomi del subcontinente vennero annessi all’India o al Pakistan e il sovrano locale scelse di diventare parte dell’India nonostante la zona fosse a maggioranza musulmana. Gli insorti armati in Kashmir resistono a Delhi da decenni, con molti musulmani del Kashmir che sostengono l’obiettivo dei ribelli di unificare il territorio sotto il controllo pakistano o come stato indipendente.

L’India accusa il Pakistan di sostenere i militanti, un’accusa che il Pakistan nega. Nel 2019 il governo di Narendra Modi ha avviato una dura repressione della sicurezza nel Kashmir amministrato dall’India e ha revocato lo status speciale della regione, che le garantiva un’autonomia limitata dal 1949. L’iniziativa ha rispettato una promessa nazionalista indu’ di lunga data ed e’ stata accolta con favore in tutta l’India ma ha suscitato l’ira di molti nel territorio stesso. In un contesto di diffusa repressione, la violenza degli insorti si e’ attenuata e i turisti sono tornati nella regione. Fino all’attentato del 22 aprile che ha riacceso il conflitto tra le due potenze nucleari.

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Esteri

Israele distrugge l’aeroporto a Sanaa, tregua Usa-Houthi

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“Tutto il cielo di Sanaa è fumo, un’atmosfera di panico e paura”, ha scritto sui social un anonimo abitante della capitale yemenita dopo l’attacco dei caccia israeliani che ha distrutto l’aeroporto internazionale da anni in mano al gruppo filoiraniano degli Houthi. Oltre agli aerei civili che erano sulle piste dello scalo. Il secondo raid in 24 ore, in risposta al missile lanciato domenica sull’aeroporto di Tel Aviv, che ha beffato la difesa colpendo vicino al terminal principale dello scalo. Subito dopo, le minacce di rappresaglie reciproche tra Houthi e Israele, poi il colpo di scena. Il presidente Donald Trump ha annunciato dallo Studio Ovale che gli Stati Uniti porranno immediatamente fine ai bombardamenti contro gli ex ribelli che oggi governano buona parte dello Yemen poiché hanno informato l’amministrazione di “non voler più combattere”.

“Gli Houthi hanno capitolato”, ha reso noto il Commander in chief. “Ci fideremo della loro parola. Dicono che non colpiranno più le navi nel Mar Rosso: e questo era lo scopo del nostro lavoro”, ha aggiunto. Subito dopo, è arrivata la conferma di un accordo di cessate il fuoco tra Washington e gli yemeniti dall’Oman, tradizionale mediatore in Medio Oriente e che anche in questo caso ha tenuto i contatti con le due parti. Non c’è una tregua all’orizzonte invece tra Houthi e Israele. Un alto funzionario delle milizie ha assicurato che “le operazioni contro Israele a sostegno di Gaza continueranno”. Nelle ore precedenti decine di aerei da combattimento dello Stato ebraico hanno sganciato sull’aeroporto di Sanaa 50 bombe, mettendolo fuori uso in un quarto d’ora, ha fatto sapere l’Idf. Secondo fonti yemenite, sono stati attaccati almeno tre centrali elettriche, una scuola di aviazione e una fabbrica che produce elementi utili per assemblare missili.

L’operazione israeliana chiamata “Città delle formiche” mirava a rendere inutilizzabili gli hub dove approdano le armi inviate dai pasdaran. Il ministro della Difesa Israel Katz, in una nota congiunta con il premier Benyamin Netanyahu, ha puntato il dito verso la guida suprema della repubblica islamica, Ali Khamenei: “Questo è un messaggio di avvertimento al capo della piovra iraniana. Siete direttamente responsabili di ogni attacco degli Houthi contro lo Stato di Israele e pagherete interamente le conseguenze”, ha avvertito. Mentre l’annuncio di Trump sullo stop ai bombardamenti in Yemen ha provocato sconcerto tra i funzionari dello Stato ebraico. Per quanto riguarda Gaza, Gerusalemme ha affermato di non sapere nulla di una indiscrezione di fonte egiziana secondo cui il Cairo ha accettato la proposta americana di un cessate il fuoco nella Striscia prima della visita di Trump in Medio Oriente che comprende l’apertura di corridoi umanitari verso Gaza e il rilascio di un numero limitato di ostaggi, tra cui l’israelo-americano Idan Alexander.

Il governo israeliano sta riponendo nel frattempo grandi speranze sul viaggio del presidente Usa a Doha: l’auspicio è che convinca i qatarioti a fare pressing su Mohammed Sinwar, attuale leader militare di Hamas, affinché ammorbidisca le posizioni sui rapiti e accetti di disarmare. E proprio il presidente statunitense ha annunciato che prima di partire per l’Arabia Saudita il 13 maggio farà “un grande annuncio, e sarà molto positivo”. Secondo la tv saudita al Arabiya ”la comunicazione sarà sull’invio di aiuti a Gaza” che gli Usa sarebbero pronti a inviare con una iniziativa unilaterale. Intanto sul terreno le ruspe militari dell’Idf hanno di fatto dato il via all’operazione Carri di Gedeone, iniziando gli sbancamenti di terra nel sud-ovest della Striscia per allestire centri logistici dove verrà evacuata la popolazione del nord e del centro di Gaza.

Non si tratta di un’area continua, bensì di vaste zone intorno a Rafah, praticamente deserte e con la maggior parte degli edifici rasi al suolo. Un’azienda Usa distribuirà aiuti alimentari, medicinali e servizi igienico-sanitari. Le consegne passeranno attraverso il valico di Kerem Shalom, ispezionate e scortate dall’Idf. La società americana, che attualmente gestisce l’ispezione dei civili verso il settentrione dell’enclave, provvederà alla distribuzione. L’esercito, insieme con lo Shin Bet, impedirà ai terroristi di Hamas e della Jihad islamica palestinese di fuggire dalle future zone di combattimento della fase tre del piano, di usare la popolazione civile come scudo umano e rubare per sé e rivendere gli aiuti umanitari.

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