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Pistorius resta in carcere, negata la libertà vigilata

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Oscar Pistorius resta in carcere: lo ha deciso la commissione in Sudafrica che, a dieci anni di distanza dall’omicidio della fidanzata Reeva Steenkamp, non gli ha concesso la libertà vigilata. L’udienza si è svolta presso il carcere di Atteridgeville, vicino alla capitale Pretoria. Il motivo del parere negativo alla richiesta di Pistorius, che oggi ha 36 anni, è legato al periodo passato in prigione: la commissione, infatti, ha ritenuto che non aveva diritto alla scarcerazione anticipata perché non ha scontato il “periodo minimo di detenzione”. In un breve promemoria, il tribunale ha spiegato che la pena detentiva imposta a Pistorius è iniziata il giorno dell’ultima sentenza nel 2017, e non quando è stato condannato per la prima volta nel 2014. I detenuti in Sudafrica sono automaticamente ammissibili per l’esame della libertà vigilata dopo aver scontato metà della pena. “A questo punto ci è stato comunicato che la richiesta è stata negata” e che sarà presa nuovamente in considerazione tra un anno, ha detto ai giornalisti l’avvocato della famiglia della vittima, Tania Koen. Il campione paralimpico, soprannominato ‘Blade Runner’ per le due protesi in fibra di carbonio, sta scontando una pena a 13 anni e mezzo di reclusione per l’omicidio della fidanzata, una modella di 29 anni, uccisa il giorno di San Valentino del 2013 con 4 colpi di pistola nella sua abitazione a Pretoria. Sul delitto, Pistorius rivendicò di aver sparato per errore, perché spaventato in piena notte, non sapendo che dietro alla porta del bagno ci fosse Reeva, pensando invece a un ladro.

La tesi della difesa fu in qualche modo accolta nella sentenza di primo grado del 2014 che lo condannò per omicidio colposo a 5 anni. Ma l’accusa fece ricorso perché la considerò una pena “mite”, sostenendo che Pistorius era perfettamente cosciente di quello che stava facendo: nel processo d’appello, nel 2015, il verdetto cambiò e divenne omicidio volontario. La condanna finale, comminata nel 2017, portò infine la pena da scontare in carcere a 13 anni e 5 mesi. Sulla motivazione della commissione che gli ha negato la libertà vigilata, potrebbe aver pesato il parere negativo dei genitori di Reeva che si erano opposti a un rilascio anticipato, affermando di non credere che l’ex atleta abbia detto la verità su quanto accaduto e non abbia mostrato rimorso. “Anche se accogliamo con favore la decisione di oggi, non è un motivo per festeggiare. Reeva ci manca terribilmente e ci mancherà per il resto della nostra vita. Crediamo nella giustizia e speriamo che continui a prevalere”, si legge in un comunicato affidato al loro avvocato.

In precedenza, la madre della vittima aveva reso nota la posizione della famiglia alla commissione, intervenendo di persona all’udienza. “Non credo alla sua storia. Non credo che Oscar sia pentito o riabilitato”, ha detto June Steenkamp. La donna non ha avuto un faccia a faccia con l’assassino della figlia poiché la commissione per la libertà vigilata ha deciso di ascoltare i due separatamente, ha spiegato l’avvocato ai giornalisti fuori dal carcere. “È stato molto spiacevole per lei… ma sapeva di doverlo fare per Reeva”, ha detto Koen. Mentre il padre di Reeva, Barry, che non ha potuto viaggiare a causa delle sue condizioni di salute, ha rilasciato una dichiarazione attraverso l’avvocato “Prima di morire ha un desiderio: che Oscar ci dica esattamente cosa è successo quella notte”, ha detto. Il sei volte medaglia d’oro paralimpica dovrà restare in carcere, almeno sino ad agosto 2024 quando la commissione riesaminerà la sua richiesta di scarcerazione.

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Macron: se i russi sfondano non escludere le truppe

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Lo spettro delle armi proibite torna ad affacciarsi sulla guerra in Ucraina. La denuncia è arrivata dagli Stati Uniti, secondo cui i russi hanno utilizzato un agente chimico soffocante, la cloropicrina, per ottenere “conquiste sul campo di battaglia”. Le forze di invasione, al di là dei metodi più o meno convenzionali utilizzati, procedono con un’avanzata costante nel Donbass, ingaggiando con il nemico pesanti combattimenti intorno ad Avdiivka. E’ uno scenario che preoccupa gli alleati di Kiev, a partire dalla Francia, tanto che Emmanuel Macron ha evocato ancora una volta la possibilità di inviare truppe, se Mosca sfondasse e gli ucraini lo richiedessero esplicitamente.

L’uso di armi chimiche come “metodo di guerra” è stato segnalato dal Dipartimento di Stato Usa, che ha parlato di casi “non isolati”, in violazione di una convenzione internazionale che ne vieta l’utilizzo, firmata anche dalla Russia. In particolare la cloropicrina, che sarebbe servita per “allontanare le forze ucraine dalle posizioni fortificate”, è una sostanza ampiamente utilizzata durante la prima guerra mondiale, che provoca irritazione ai polmoni, agli occhi e alla pelle e può causare vomito e nausea. Gli ucraini, inoltre, hanno riferito di aver dovuto fronteggiare numerosi attacchi chimici negli ultimi mesi. Secondo un rapporto dell’agenzia Reuters, almeno 500 soldati sono stati curati per l’esposizione a gas tossici e che uno è morto dopo essere soffocato dai gas lacrimogeni. Il Cremlino ha respinto le accuse come “assolutamente infondate e non supportate da nulla” e si è concentrato sui successi delle truppe sul terreno.

Il ministero della Difesa ha rivendicato la conquista del villaggio di Berdichy, nel Donetsk, su una strada strategica per il rifornimento delle truppe ucraine. L’area è quella di Avdiivka, dove i difensori sono costretti a schierare le riserve. Il principale obiettivo in questa direttrice resta Chasiv Yar, ormai carbonizzata dopo mesi di bombardamenti: dalla collina che la domina l’Armata sarebbe in grado di colpire la spina dorsale della difesa ucraina. La potenza di fuoco è impressionante. Solo ad aprile, secondo Volodymyr Zelensky, il nemico ha lanciato “3.800 bombe e missili”. Mentre Human Rights Watch ha denunciato che i russi hanno giustiziato almeno 15 soldati ucraini mentre tentavano di arrendersi, come già evidenziato da altre fonti a fine 2023. Per contenere l’avanzata delle truppe di Putin gli occidentali tentano di aumentare e accelerare la fornitura di armi a Kiev, ma secondo Parigi questo approccio potrebbe non essere più sufficiente.

E’ Macron, in un’intervista all’Economist, a mettere le carte in tavola: “Se i russi sfondassero in prima linea, se ci fosse una richiesta ucraina – cosa che oggi non avviene – dovremmo legittimamente porci la domanda” di un eventuale invio di truppe al fianco degli ucraini. “Escluderlo a priori significa non imparare la lezione degli ultimi due anni”, quando i Paesi della Nato avevano inizialmente escluso l’invio di carri armati e aerei prima di cambiare idea, ha aggiunto il presidente francese. Che già a febbraio, quando aveva tirato fuori questa ipotesi per la prima volta, era stato sconfessato dalla maggior parte degli alleati (inclusi Stati Uniti, Italia e Germania). Mosca ha liquidato le dichiarazioni di Macron con sarcasmo, affermando che “sono in qualche modo legate ai giorni della settimana, e questo è il suo ciclo”.

Ma l’inquilino dell’Eliseo ragiona sul conflitto in Ucraina con uno sguardo all’Europa del futuro, che emergerà dopo il voto di giugno. E la sua ambizione è quella di guidare un processo di rinnovamento che porti l’Ue a diventare una potenza globale. Rafforzata, tra le altre cose, da una difesa comune. La minaccia russa al Vecchio continente è rilanciata anche dalla Nato che si dice “profondamente preoccupata” per le recenti “attività maligne” di natura ibrida, sull’onda dei casi recenti che hanno portato all’indagine e all’incriminazione di più individui in Estonia, Germania, Lettonia, Lituania, Polonia, Regno Unito e Repubblica Ceca: “Una campagna sempre più intensa di attività che Mosca continua a svolgere in tutta l’area euro-atlantica, anche sul territorio dell’Alleanza e attraverso intermediari”. Sul fronte della diplomazia, intanto, la Svizzera ha invitato più di 160 delegazioni al vertice a Lucerna a giugno ma l’invito non è stato esteso alla Russia. Che non a caso ha commentato: “Negoziati di pace senza di noi non hanno senso”.

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Nuove voci su Kate: operata da un’equipe italiana

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Congetture senza fine, ombre cupe impossibili da verificare e rivelazioni di anonime gole profonde (non confermate, ma neppure smentite o smentibili) continuano ad addensarsi sulla famiglia reale britannica: in primis sul decorso del cancro, di natura imprecisata, diagnosticato nei mesi scorsi in rapida successione sia al 75enne re Carlo III, sia alla principessa di Galles, Catherine, 42 anni, consorte dell’erede al trono William. Le ultime indiscrezioni non rimbalzano per una volta dai tabloid della stampa popolare dell’isola o dal sensazionalismo a tinte noir dei siti del gossip Usa, ma arrivano dall’Italia.

Dal settimanale Gente in edicola domani, in particolare, secondo un cui scoop – anticipato con titoli di richiamo oggi – le condizioni del sovrano sarebbero decisamente più allarmanti rispetto ai comunicati o alle stesse immagini ufficiali. Mentre quelle di Catherine, familiarmente Kate per l’opinione pubblica di tutto il mondo, restano avvolte nella nebbia: dietro una spessa coltre di riserbo giustificata da ragioni di “privacy”, a quasi 4 mesi dal misterioso intervento all’addome subito dalla principessa in un reparto della prestigiosa London Clinic, ospedale privato dell’élite londinese. Operazione a cui avrebbe partecipato in prima fila, scrive il magazine italiano, un’équipe di medici connazionali inviati dal Policlinico Gemelli di Roma.

Fedele alla ferrea regola del ‘never complain, never explain’ (‘mai lamentarsi, mai spiegare’), ereditata dal lungo regno di Elisabetta II, sebbene con un tocco di trasparenza in più a partire del recente annuncio della malattia di Carlo, Buckingham Palace non ha ovviamente commentato in alcun modo queste voci. Ignorate per ora anche da giornali e tv mainstream d’oltre Manica, fra le cui righe, peraltro, negli ultimi tempi, non sono mancati interrogativi e cautele sulla situazione clinica del monarca regnante e della futura regina.

Gente in ogni caso tira dritto e attribuisce le sue informazioni a fonti reputate degne di fede. Riguardo all’intervento chirurgico di Kate, il settimanale afferma d’aver appreso che sia stato “effettuato da un’équipe di medici italiani del Policlinico Gemelli di Roma”. Cosa che né l’ospedale romano né la London Clinic possono certificare (o negare) pubblicamente per evidenti obblighi di tutela dei pazienti, trincerandosi dietro l’inevitabile “no comment”.

E che mai è emersa dai comunicati di palazzo, come dal tam tam dei media britannici, al di là della ben nota presenza di specialisti italiani in tante strutture sanitarie del Regno o del costante interscambio fra istituzioni mediche o scientifiche dell’isola e della penisola. Quanto poi alle condizioni di re Carlo, Gente sostiene di aver raccolto confidenze di “fonti vicine” alla Royal Family in contrasto con “le rassicurazioni del comunicato di Buckingham Palace che la settimana passata aveva annunciato il ritorno agli impegni pubblici” del sovrano.

Ritorno poi in effetti realizzatosi martedì con una prima visita a un ospedale e a un centro oncologico di Londra, fatta simbolicamente da Carlo in compagnia della regina Camilla, durante la quale il monarca si è mostrato sorridente. E in forma apparentemente discreta.

Un’immagine frutto di progressi terapeutici accreditati dai medici di corte come “molto incoraggianti” sul fronte di cure che comunque proseguono, a differenza del segreto che continua a dominare sull’andamento della chemioterapia in corso da due mesi per Kate, del tutto assente dai riflettori fin dal Natale del 2023. Ma che secondo il settimanale celerebbe dietro le quinte una realtà molto più inquietante pure per Carlo: segnata in privato dal calvario di un re “fiaccato da dolori alle ossa” che non gli lascerebbero tregua.

E addirittura “gravissimo”, secondo lo strillo che sollecita la lettura dell’articolo di domani. Timori e incubi che solo i mesi prossimi, fitti d’impegni da confermare volta per volta, potranno diradare o concretizzare più o meno drammaticamente.

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Non si placa la protesta in Georgia, scontri e feriti

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Non si placa l’ondata di proteste in Georgia per la legge contro le influenze straniere voluta dal partito di governo Sogno Georgiano, che ha già superato due delle tre votazioni in Parlamento necessarie per entrare in vigore. L’assemblea ha cancellato la sessione di oggi denunciando un tentativo di irruzione da parte di un gruppo tra i manifestanti che ieri sera sono tornati a scendere in piazza nei pressi dell’edificio.

Mentre la Ue e gli Usa mantengono il loro sostegno alla protesta. La normativa, conosciuta anche come legge sugli agenti stranieri, è già stata ribattezzata ‘legge russa’ dagli oppositori, che vi vedono un tentativo della maggioranza di ridurre al silenzio le voci critiche come fatto da Mosca con una disposizione analoga.

Sogno Georgiano è anche accusato volere fare riavvicinare alla Russia questo Paese del Caucaso, che nel dicembre scorso ha ottenuto lo status di candidato ad entrare nella Ue. Decine di migliaia di persone sono tornate a manifestare ieri sera dopo che, il giorno prima, la polizia era intervenuta per disperdere i dimostranti con l’impiego di gas lacrimogeni e proiettili di gomma e fermando oltre 60 persone. Il ministero dell’Interno aveva detto che sei agenti erano rimasti feriti.

“Seguo la situazione in Georgia con grande preoccupazione e condanno la violenza nelle strade di Tbilisi”, ha affermato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, secondo la quale “la Georgia è a un bivio e dovrebbe mantenere la rotta verso l’Europa”.

Il governo italiano condanna “l’uso della violenza durante le manifestazioni” a Tbilisi e “sostiene l’ingresso della Georgia nell’Unione Europea”, ha scritto da parte sua su X il ministro degli Esteri, Antonio Tajani. Mentre il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale Usa, John Kirby, ha affermato che Washington è “profondamente preoccupata” per il progetto di legge che, a suo avviso, potrebbe portare a un “soffocamento del dissenso e della liberà di espressione”. Accuse respinte dai promotori, secondo i quali il disegno di legge si ispira, più che a quella russa, a un’analoga normativa in vigore negli Usa fin dagli anni ’30 del secolo scorso.

Ma anche il responsabile dell’Onu per i diritti umani, Volker Turk, ha invitato il governo a ritirare la legge. Ieri il Parlamento ha approvato in seconda lettura la legge con 83 voti favorevoli e 23 contrari. Il testo prevede che le organizzazioni non governative e i media che ricevono oltre il 20% dei loro finanziamenti dall’estero si registrino amministrativamente come “organizzazioni che difendono gli interessi stranieri”.

Manifestazioni contro l’iniziativa si susseguono dal 9 aprile, da quando cioè Sogno Georgiano ha deciso di ripresentare la legge, che un anno fa aveva ritirato sotto la pressione di un’analoga ondata di proteste. Ieri sera, come avvenuto nei giorni precedenti e anche un anno fa, i manifestanti hanno sventolato bandiere dell’Unione europea insieme a quelle nazionali. C’è stato qualche limitato incidente e il ministero della Sanità ha segnalato otto feriti lievi, ma nulla di paragonabile agli scontri della notte precedente.

Lo scontro di questi giorni sembra comunque assumere una valenza che va oltre il destino della legge, tra chi vuole cercare di recuperare i rapporti con la Russia e chi spinge invece per una precisa scelta occidentale.

Due poli rappresentati dal partito di governo da un lato e, dall’altro, dalla presidente franco-georgiana Salome Zourabishvili, ex ambasciatrice francese in Georgia, che si è schierata contro la normativa.

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