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Cronache

Pierluigi Rotta e Matteo Demenego, ecco le foto dei due poliziotti assassinati

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Qualcuno dice sei, qualcun altro otto, altri parlano di agenti crivellati di proiettili. Pierluigi Rotta, agente scelto, di 34 anni, e Matteo De Menego, agente semplice, di 30 anni, sono morti uccisi dai proiettili delle pistole in uso proprio alla polizia, caduti nei corridoi della Questura di Trieste. A sparare e’ stata una delle due persone che gli stessi poliziotti avevano portato in Questura dopo un servizio avviato in seguito al furto di uno scooter. A compiere il furto stamani Alejandro Augusto Stephan Meran, di 29 anni, di nazionalita’ dominicana. Subito dopo il colpo si pente e chiama il fratello, Carlysle Stephan Meran, di 32 anni, il quale avverte la polizia. Giungono sul posto una Volante con due agenti a bordo e un’auto della Squadra Mobile. I due fratelli salgono sulla prima vettura; l’altra li segue a distanza, un po’ piu’ indietro a causa del traffico. Un’operazione di routine, senza particolari difficolta’. I quattro a bordo della Volante entrano in Questura. E quel che segue sono fotogrammi di un film impazzito, una manciata di minuti che seminano il terrore e spezzano due vite. Alejandro, affetto da difficolta’ psichiche, chiede di andare in bagno. Gli agenti lo accompagnano ma all’improvviso lui ingaggia una colluttazione: riesce a sfilare la pistola dalla fondina di un poliziotto e spara, probabilmente fino a scaricare completamente il caricatore.

Pierluigi Rotta. Agente scelto originario di Pozzuoli

“Spari a bruciapelo”, dira’ la Questura nella ricostruzione. Un’azione fulminea che non ha lasciato ai poliziotti la possibilita’ di difendersi. A terra restano due agenti, morti in un corridoio della Questura dove lavoravano. Mentre il fratello Carlysle fugge nei sotterranei della Questura, Alejandro Augusto tenta la fuga disperata: esce dalla Questura, ferisce un piantone, tenta di entrare in un’auto della stessa polizia. Ma fuori ci sono gli agenti della Mobile, che intanto era sopraggiunta, che sparano, lo feriscono e lo immobilizzano. In queste ore il pm di turno sta compiendo un sopralluogo e sta interrogando il fratello di Alejandro che terrorizzato si era nascosto. Le squadre speciali, intanto, hanno compiuto una bonifica dei locali della Questura, a scanso di equivoci. La tranquilla Trieste e’ sconvolta. La citta’ prima e la regione dopo si ferma: il sindaco Roberto Di Piazza dichiara il lutto cittadino, il Governatore Massimiliano Fedriga abbandona di corsa un convegno al quale stava partecipando a Udine per rientrare in citta’. La festa della Lega a Porcia (Pordenone), dove stasera era prevista la partecipazione di alcuni dei governatori protagonisti della riforma della legge elettorale, viene immediatamente cancellata. Pochi minuti dopo si apprende la notizia che a Trieste arrivera’ la ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, e il capo della Polizia, Franco Gabrielli.

Interviene il procuratore capo di Trieste, Carlo Mastelloni, che esprime il proprio dolore e la vicinanza alle famiglie, cosi’ come aveva fatto in precedenza Fedriga. Poi fa sentire la sua voce il presidente Sergio Mattarella, che parla di “barbara uccisione”, esprime “solidale vicinanza, rinnovando i sentimenti di considerazione e riconoscenza per il quotidiano impegno degli operatori della Polizia al servizio dei cittadini. Il presidente della Camera, Roberto Fico, tweetta: “Una terribile notizia da Trieste. Sono vicino alle famiglie dei due poliziotti rimasti uccisi. A loro e al capo della Polizia di Stato esprimo tutto il mio cordoglio.” “Questa tragedia ferisce lo Stato”, dice il presidente del Consiglio Giuseppe Conte esprimendo il suo cordoglio. I due poliziotti caduti in un pomeriggio di ordinaria follia sono giovanissimi. Pierluigi Rotta era originario di Pozzuoli (Napoli), figlio di un poliziotto, attualmente in pensione, che ha lavorato a Napoli. Matteo De Menego, anche lui giovanissimo. Dolore e sgomento dunque anche negli uffici della Questura di Napoli.

Poliziotti uccisi, il cordoglio del Presidente Sergio Mattarella

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Due operai morti sul lavoro, “fermare la mattanza”

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Ancora tre morti sul lavoro. Due operai hanno perso la vita in provincia di Napoli, nei cantieri edili, un uomo è invece morto in Sicilia, mentre era alla guida del suo trattore. A Lettere, pochi chilometri dal capoluogo partenopeo, un operaio di 57 anni è precipitato dal terzo piano di un palazzo attorno al quale è in allestimento un cantiere edile. L’incidente è avvenuto in tarda mattinata, in via Depugliano, dove sono intervenuti i carabinieri. L’altra vittima, sempre nel Napoletano, a Casalnuovo, è un operaio 60enne: è stato trasportato presso la clinica Villa dei fiori di Acerra, ma per lui non c’è stato nulla da fare. Anche in questo caso sono intervenuti i carabinieri, che stanno indagando per ricostruire la dinamica.

E’ invece accaduto proprio il Primo Maggio, il giorno della Festa dei lavoratori, l’incidente che vicino ad Agrigento è costato la vita a un uomo di 64 anni, Mario Mondello, che è morto cadendo in un laghetto artificiale con il suo trattore che si è ribaltato. Una strage senza fine. “I dati sono spietati: sono oltre 350 in tutto il Paese e 12 in Campania in questo primo scorcio del 2024 i lavoratori deceduti mentre erano impegnati nelle loro attività. Lo ripetiamo a gran voce, bisogna fermare questa mattanza”, dice Nicola Ricci, segretario generale Cgil Napoli e Campania, secondo cui “ormai sul fronte della sicurezza sul lavoro abbiamo superato abbondantemente il limite di guardia.

Le due morti avvenute in queste ore in altrettanti cantieri della provincia di Napoli, confermano l’inadeguatezza delle normative in vigore e la necessità di fermare questo assurdo sistema degli appalti a cascata che deresponsabilizza le singole aziende e manda in tilt il lavoro degli ispettori impegnati nell’individuazione dei colpevoli di questa strage”. “Fermare le stragi sul lavoro non significa solo salvaguardare e proteggere la vita dei lavoratori, ma anche fermare l’illegalità, la criminalità che spesso si insinua nei sub appalti o in alcune realtà aziendali”, precisa Giovanni Sgambati, segretario generale Uil Campania e Napoli, mentre secondo i sindacati degli edili Feneal-Uil Filca-Cisl Fillea-Cgil di Napoli, “la competizione spuria, la mancata applicazione di norme contrattuali, la mancanza di formazione sono tutti elementi che attentano alla vita delle persone”. Per il sottosegretario al Mit, Tullio Ferrante, “la sicurezza sul lavoro è una priorità assoluta, per questo come governo vogliamo continuare a rafforzare sempre più le misure a tutela dei lavoratori. Occorre un impegno congiunto e costante delle istituzioni affinché simili tragedie non possano ripetersi”.

“Le imprese italiane – secondo il capogruppo in commissione Lavoro alla Camera, Arturo Scotto, del Pd – devono capire che la sicurezza è un investimento, non un costo. Risparmiare sulla vita delle persone è una scelta criminale”. Analoghe le parole di Marco Sarracino e Guido Ruotolo, della segreteria nazionale del Pd, che chiedono più controlli e più formazione. “Siamo davanti a una strage – dice Ruotolo – che assume sempre più le dimensioni di una guerra”. “Per fermare questa strage quotidiana – afferma il capogruppo dell’Alleanza Verdi e Sinistra, Peppe De Cristofaro – non bastano più correttivi ma servono norme certe e stringenti, più controlli e risorse”.

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Processo Grillo Jr, in aula a giugno i primi imputati

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Un’udienza tecnica, che ha assorbito anche quella prevista per domani, ma il processo a porte chiuse per il presunto stupro di gruppo che sarebbe avvenuto nell’estate del 2019 in Costa Smeralda, entrerà di nuovo nel vivo il mese prossimo. Il Tribunale di Tempio Pausania ha infatti aggiornato il dibattimento al 13 e 14 giugno: l’udienza clou è attesa per venerdì 14, quando cominceranno a parlare in aula i quattro imputati, Ciro Grillo – forse già il 14 – e tre suoi amici genovesi, Francesco Corsiglia, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria. Ad accusarli è una studentessa italo norvegese, 19enne all’epoca dei fatti. Insieme ad una sua amica norvegese, anche lei presunta vittima di abusi per alcune foto a sfondo sessuale, erano entrambe nella villetta della famiglia Grillo, a Porto Cervo, la notte tra il 16 e 17 luglio di 5 anni fa.

Rientrata a Milano, la studentessa aveva denunciato i quattro ai carabinieri: per lei, quella fu una notte da incubo che le ha lasciato il segno. Ancora oggi la ragazza, che di anni ne ha 23, vive una situazione di fragilità psicologica che la rende particolarmente vulnerabile. La studentessa è stata ascoltata durante sei udienze, due delle quali in audizione protetta, lontana dagli sguardi degli avvocati grazie a un drappo nero. Questo non è però bastato a bloccare quelle crisi emotive che l’avevano spinta più volte ad interrompere la testimonianza e uscire dall’aula.

Dal 14 giugno toccherà agli imputati raccontare la loro verità davanti ai giudici, il procuratore Gregorio Capasso, gli avvocati della difesa e di parte civile. Da sempre Ciro Grillo e i suoi tre amici hanno sostenuto che quel rapporto sessuale e le altre presunte violenze non furono estorte ma consensuali. E su questo stanno lavorando tutti i legali del pool difensivo. Si tratta ora di capire se Ciro, e a ruota gli altri, vorranno testimoniare: di sicuro saranno presenti nel giorno in cui sono previste le audizioni, ma solo a ridosso dell’udienza gli avvocati decideranno quale linea adottare: dichiarazioni spontanee, nessuna deposizione o via libera alle domande e al successivo contradditorio.

Quella di oggi, dunque, è stata un’udienza prettamente tecnica in cui il perito informatico forense, Mario Calonzi, nominato dagli avvocati di parte civile, Giulia Bongiorno e Dario Romano, ha esposto i suoi dati e spiegato ai giudici le modalità per l’acquisizione agli atti processuali della grande mole di trascrizioni di telefonate e messaggi, compresi quelli vocali, e foto via chat, intercorsi tra le due presunte vittime e gli imputati. “Si è verificato un problema di identificazione di tutto il materiale – ha spiegato a fine udienza l’avvocata del pool di difesa Antonella Cuccuressu -, che non è poco e che è composto da documenti, chat, fotografie e dati tecnici di celle telefoniche”.

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Riforma dei test di accesso a medicina tra innovazione e sfide

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Il dibattito sull’abolizione dei test di accesso a Medicina in Italia prende una nuova piega con le recenti discussioni in Senato, che potrebbero portare a significative modifiche nel percorso di ammissione alle facoltà mediche. Nonostante le notizie che circolano su un’imminente abolizione, la situazione è più complessa e meno definita di quanto possa sembrare a prima vista.

Il testo unificato attualmente in discussione nella commissione Istruzione del Senato non prevede l’eliminazione totale del numero chiuso, ma propone una revisione del metodo di selezione. La nuova normativa suggerisce l’abolizione del test di ingresso preliminare, sostituendolo con una valutazione al termine del primo semestre del primo anno di studi.

Questa proposta rappresenta un cambio di paradigma: tutti gli studenti interessati ai corsi di area biomedica, sanitaria, farmaceutica e veterinaria potranno iscriversi e frequentare il primo semestre. Successivamente, una graduatoria nazionale basata sui risultati degli esami del semestre determinerà chi può proseguire nei corsi di laurea magistrale, inclusi quelli di Medicina.

Tuttavia, emergono preoccupazioni riguardo la fattibilità di tale sistema. Con circa 90.000 candidati che ogni anno si presentano ai test di Medicina e solo 20.000 posti disponibili, il sistema attuale è già sotto pressione. La nuova disciplina, pur non escludendo l’uso di forme di test, anche se non preliminari, solleva interrogativi sulla capacità di gestire un numero così elevato di studenti nel primo semestre e sulla standardizzazione delle valutazioni.

Il testo unificato, sebbene ancora soggetto a modifiche attraverso emendamenti, getta le basi per una discussione che si preannuncia intensa. L’obiettivo dichiarato è quello di rendere più accessibile l’istruzione medica, ma il percorso per attuare efficacemente tali cambiamenti è costellato di sfide, sia logistiche che pedagogiche.

La normativa, in forma di legge delega, richiede al Governo di tradurre gli indirizzi del Parlamento in un decreto legislativo, un processo che non solo richiede tempo ma che è anche carico di responsabilità politica. Infatti, il successo o il fallimento della riforma dipenderà significativamente dall’efficacia con cui il Governo implementerà i principi e gli obiettivi stabiliti.

In conclusione, mentre la promessa di un accesso più libero e meritocratico alla formazione medica è allettante, il passaggio dalla teoria alla pratica presenta complessità non trascurabili. Sarà fondamentale monitorare attentamente come si svilupperanno le discussioni e quali soluzioni saranno adottate per garantire un sistema equo e sostenibile che possa rispondere alle esigenze di tutti gli aspiranti medici in Italia.

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