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Economia

Piano Italia di Stellantis, citycar e modelli ibridi

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Due compatte dal 2028 a Pomigliano dove arriverà la piattaforma Stella Small e la Pandina sarà prolungata fino al 2030, due nuovi modelli a Melfi, ibride in tutte le fabbriche: sono le principali novità del piano Italia illustrato da Jean-Philippe Imparato, responsabile Europa di Stellantis, al tavolo riunito al ministero delle Imprese e del Made in Italy. A Cassino ci sarà un terzo modello di alta gamma in aggiunta alle programmate Alfa Stelvio (2025) e Alfa Giulia (2026) per le quali è “in valutazione” anche la motorizzazione ibrida. A Mirafiori, dove era già prevista la 500 ibrida da fine 2025, arriverà una nuova generazione di 500 elettriche intorno al 2029, mentre il Polo del lusso andrà a Modena. Nessun impegno preciso per la Gigafactory di Termoli, in attesa della decisione di Acc nei primi mesi 2025. Soddisfatto il ministro Adolfo Urso, che ha al suo fianco i ministri dell’Economia Giancarlo Giorgetti e del Lavoro Marina Calderone.

“E’ un piano – commenta Urso – che dà riscontro alle nostre istanze”, con impegni “chiari e specifici nel territorio, sugli investimenti produttivi e sullo sviluppo degli stabilimenti, sul rapporto collaborativo con l’indotto”. Urso promette un report periodico sugli impegni presi dall’azienda e sottolinea “lo sforzo significativo” del governo che “mette a disposizione del comparto e della filiera oltre un miliardo di euro nel 2025 per supportare le imprese nella transizione”. La cifra comprende il fondo automotive (200 milioni nel 2025, 400 nel 2026 e 400 nel 2027) più 500 milioni di fondi Pnrr per i contratti di sviluppo e altri 100 di fondi residui. Di queste risorse 1,1 miliardi saranno destinati il prossimo anno a contratti di sviluppo e accordi di innovazione delle aziende del settore auto. A fine gennaio il ministro convocherà un tavolo automotive per spiegare nei dettagli come saranno usati i fondi.

“Tutti gli stabilimenti di Stellantis – assicura Imparato – rimarranno attivi e la capacità produttiva crescerà dal 2026. Hanno tutti modelli che arrivano al 2032. Per il prossimo anno sono previsti circa 2 miliardi di euro per gli stabilimenti e 6 miliardi di euro in acquisti da fornitori operanti in Italia. Stellantis porterà avanti il piano industriale in Italia con risorse proprie, senza qualsiasi forma di incentivo pubblico alla produzione”.

Il manager non si sbilancia sull’obiettivo di un milione di vetture per evitare “promesse non mantenute”, ma spiega che si tratta di “un piano di attacco e non difensivo”. Ribadisce anche che non è allo studio un progetto di fusione con Renault. Il ministro Calderone mette in evidenza “un cambio di passo molto importante di Stellantis rispetto al passato” e si impegna “a tutelare i lavoratori del gruppo e dell’indotto con risorse nazionali e comunitarie”. Dà un giudizio positivo l’Anfia, l’associazione della filiera per gli impegni presi dall’azienda sulle produzioni nei diversi stabilimenti nazionali e per la volontà “di rinvigorire e migliorare i rapporti con i fornitori italiani”. I sindacati vedono, come dice la Fismic Confsal, “luci e ombre”.

Il segretario generale della Fiom, Michele De Palma, parla di “un piano di ripartenza che nel 2025 dovrà affrontare il tema della continuità dell’occupazione in particolare nell’indotto. La nostra mobilitazione continuerà verso il governo e l’Ue. E’ ora che Palazzo Chigi convochi imprese e sindacati”. Per il numero uno della Fim, Ferdinando Uliano, “l’incontro rappresenta un punto di svolta nei rapporti con l’azienda con l’aggiunta di nuovi investimenti per l’Italia, ma restano problematicità sulla Maserati e sulla Gigafactory”. Il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella, chiede “di passare dalle parole ai fatti. Non ci sono le condizioni per parlare di una nuova fase in grado di garantire un futuro agli stabilimenti che hanno ancora una situazione pesante con tanta cassa integrazione. I nuovi modelli sono insufficienti per i tempi troppo lunghi. E sui fondi per l’automotive non c’è stato un chiarimento del governo”.

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Economia

Generali, vince la lista Mediobanca: Donnet e Sironi confermati alla guida

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Con il 52,38% dei voti, l’assemblea dei soci di Generali ha scelto la lista di Mediobanca, confermando per il prossimo triennio Philippe Donnet (foto Imagoeconomica in evidenza) nel ruolo di amministratore delegato e Andrea Sironi come presidente. Una decisione che riafferma la linea della continuità e della stabilità nella governance della storica compagnia assicurativa triestina.

Affluenza e composizione del voto

L’assemblea, che ha registrato un’affluenza del 68,7%, è tornata in presenza per la prima volta dal 2019, riunendo oltre 450 azionisti presso il Generali Convention Center. A pesare sul risultato finale sono stati in particolare i voti degli istituzionali (circa il 17,5%) e un sorprendente apporto del retail (5%), mai così attivo. Anche la Cassa forense, con il suo 1,2%, ha votato a favore della lista Mediobanca.

Risultato del gruppo Caltagirone e confronto con il 2022

La lista Caltagirone ha ottenuto il 36,8% del capitale votante, confermando il ruolo di minoranza forte, ma non sufficiente a ribaltare gli equilibri. I fondi Assogestioni, con il 3,67%, non superano la soglia del 5% e quindi restano fuori dal consiglio. Il confronto con il 2022 mostra un equilibrio sostanzialmente stabile: allora Mediobanca aveva ottenuto il 56%, Caltagirone il 41%.

Il nuovo consiglio d’amministrazione

Il nuovo board sarà composto da 13 membri, con una struttura molto simile a quella uscente. Oltre a Donnet e Sironi, confermati nomi come Clemente Rebecchini, Luisa Torchia, Lorenzo Pellicioli, Antonella Mei-Pochtler, Alessia Falsarone. Tra le novità, Patricia Estany Puig e Fabrizio Palermo, ex ceo di Cdp e attuale ad di Acea.

Il ruolo di Unicredit, Delfin e gli altri azionisti

A sostenere Caltagirone si è aggiunta Unicredit, con il 6,5% su un portafoglio totale del 6,7%. Al suo fianco anche Delfin(9,9%) e probabilmente la Fondazione Crt (quasi 2%). Assente invece dai voti sulle liste Edizione della famiglia Benetton (4,83%), che ha scelto di astenersi, pur votando su altri punti all’ordine del giorno.

Donnet: «Ha vinto Generali»

«Oggi ha vinto Generali», ha dichiarato Donnet. «Il mercato si è espresso chiaramente: questa era la scelta per il futuro della compagnia come public company indipendente». Il presidente Sironi ha parlato di un consiglio «che ha lavorato con rispetto e responsabilità» e che continuerà a farlo anche nel prossimo mandato.

 

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Google oltre le attese con cloud, sale a Wall Street

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Alphabet archivia il primo trimestre sopra le attese degli analisti e avanza a Wall Street dove, nelle contrattazioni after hours, arriva a guadagnare oltre il 5%. L’utile netto è balzato del 46% a 34,5 miliardi di dollari rispetto ai 23,7 miliardi dello stesso periodo dello scorso anno. I ricavi sono saliti del 12% a 90,23 miliardi.

A spingere le attività core di ricerca e pubblicità di Google, i cui ricavi sono saliti del 10% a 50,7 miliardi, sopra le previsioni del mercato che scommetteva su un aumento più contento dell’8%. La divisione di cloud computing ha sperimentato un aumento dei ricavi del 28% a 12,3 miliardi, confermando la sostenuta domanda per i suoi data center e i servizi di network per il boom dell’IA. “La ricerca ha proseguito una crescita forte”, ha detto l’amministratore delegato Sundar Pichai, mettendo in evidenza la “rapida” crescita del cloud.

Le spese di capitale nei primi tre mesi sono balzate a 17,2 miliardi, leggermente sopra le previsioni di 17,1 miliardi. I risultati trimestrali sono stati accompagnati dall’annuncio di un piano di buyback da 70 miliardi di dollari e un aumento del dividendo trimestrale del 5% a 21 centesimi per azione. Google è il secondo colosso di Big Tech ad annunciare la trimestrale da quando è iniziata la guerra commerciale avviata da Donald Trump. Tesla nei giorni scorsi ha messo in guardia sull’impatto dei dazi sulle sue attività di batterie, che dipendono dai componenti dalla Cina.

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Banco Bpm boccia ancora l’Ops di Unicredit, ‘inadeguata’

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Ovviamente è ancora un no. E motivato con nuovi argomenti. Banco Bpm boccia una volta di più l’Offerta pubblica di scambio volontaria annunciata da Unicredit e lo fa citando anche “modalità di implementazione” della normativa sulla Golden Power che “da parte di Unicredit non risultano chiare”. Strategia ovviamente, ma intanto l’amministratore delegato di Banco Bpm consiglia chiaramente agli azionisti di non aderire all’Ops. I nuovi passaggi dello scontro sono contenuti nell’approvazione all’unanimità da parte del Consiglio di amministrazione di Banco Bpm del ‘comunicato dell’emittente’ sull’offerta promossa dal gruppo guidato da Andrea Orcel.

Il Cda “a seguito di un’attenta valutazione dei termini e delle condizioni descritti nel documento di offerta pubblicato da Unicredit il 2 aprile scorso e delle altre informazioni disponibili ha ritenuto l’Ops non conveniente e il corrispettivo non congruo”, afferma Banco Bpm in un comunicato. “L’offerta è completamente inadeguata e quindi noi consigliamo ai nostri azionisti di non aderire”, ribadisce l’amministratore delegato Giuseppe Castagna nella conference call con gli analisti finanziari, aggiungendo che tra le altre cose “loro sono molto più esposti alla volatilità dei mercati”. Nella nota dopo la riunione del Cda, la banca sostiene anche che il valore generato dall’acquisizione di Anima “potrebbe diluirsi all’interno di Unicredit” e che dove “a seguito dell’acquisizione dell’emittente e fermo restando quanto previsto dal provvedimento Golden Power le cui modalità di implementazione da parte di Unicredit non risultano chiare, un’eventuale riduzione delle attività di rischio ponderate dovesse interessare anche la clientela di Banco Bpm, sussisterebbero significative incertezze circa la capacità di confermare gli obiettivi di crescita e di generazione di valore su basi stand-alone”.

La strategia perseguita da Banco Bpm “incentrata sulla generazione di valore per l’azionista attraverso la piena valorizzazione delle opportunità di sviluppo del business presso la clientela di riferimento, con specifico riguardo alle famiglie e alle Pmi, appare diversa da quella implementata da Unicredit”, spiega inoltre la banca guidata da Castagna. Che ricorda come “dopo aver perfezionato un aumento di capitale da 13 miliardi nel 2017 e aver ceduto nel periodo 2017-2019 una parte dei propri asset (tra cui Pioneer Investments, FinecoBank e Bank Pekao), Unicredit ha promosso negli ultimi anni una strategia che ha comportato una riduzione delle attività ponderate per il rischio che tra il 2020 e il 2024 sono passate da 326 miliardi a 277 miliardi”. Per l’Italia “tale orientamento si è tradotto in una riduzione delle attività di rischio ponderate da 131 miliardi a 101 miliardi negli anni dal 2020 al 2024 a cui appare riconducibile una riduzione dei volumi di impieghi da 168 miliardi a 145 miliardi nello stesso periodo”, aggiunge Banco Bpm. ll consiglio di amministrazione “riconosce che l’offerta di Unicredit sottovaluta la nostra banca”, spiega da parte sua il presidente di Banco Bpm, Massimo Tononi, secondo il quale “l’offerta è inadeguata dal punto di vista finanziario e non è giusta per i nostri azionisti”. Il Cda di Banco Bpm ha infatti deciso “che il corrispettivo non è congruo da un punto di vista finanziario. Tale conclusione è supportata, tra i vari fattori considerati, dalle rispettive analisi finanziarie condotte da Citi e Lazard, in qualità di advisor finanziari, e dalle rispettive opinion”, spiega l’istituto di piazza Meda, evidenziando in particolare il “mancato riconoscimento di un premio” per l’eventuale controllo di Banco Bpm.

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