Collegati con noi

Politica

Per Meloni truppe solo con Onu, Salvini frena ancora

Pubblicato

del

Giorgia Meloni non crede nell’idea di Emmanuel Macron di schierare truppe europee di interposizione in Ucraina, che il presidente francese ha sostenuto anche nel faccia a faccia con Donald Trump alla Casa Bianca. “Non è la soluzione più efficace”, spiegano da Palazzo Chigi, dove si valuterebbe invece “una missione internazionale sotto l’egida dell’Onu in un contesto di pace”. La “disponibilità” italiana a questo scenario è confermata anche dal ministro degli Esteri Antonio Tajani. Mentre l’altro vicepremier, Matteo Salvini frena. “Nessuno ci ha chiesto neanche un soldato. Quando ce lo chiederanno ne parleremo – spiega il leader della Lega -. Noi abbiamo già migliaia di soldati italiani in giro per il mondo, prima di mandarne altri sarei molto cauto”. Lo scenario, si ragiona in ambienti di maggioranza, sarà più chiaro il 6 marzo, quando è in programma il Consiglio europeo straordinario proprio sull’Ucraina e sulla difesa europea. E nel frattempo si attendono le prime mosse del cancelliere in pectore Friedrich Merz, da cui si potranno intuire le intenzioni del suo governo, destinato a “virare verso destra”. Intanto si è preso la scena Macron, con la sua missione a Washington e prima ancora i due summit a Parigi: iniziative che hanno generato qualche nervosismo ai piani alti del governo.

“Ma il protagonismo di Macron – assicurano i meloniani – è la nostra ultima preoccupazione. Dovremmo tutti cercare di alzare lo sguardo, in questo frangente delicato non ci sono problemi di protagonismi e gelosie”. Intanto Meloni ha ringraziato il presidente americano per gli elogi nei suoi confronti, pronunciati nello Studio Ovale accanto al presidente francese. La premier ha dato la sua disponibilità per il summit di domenica a Londra, dedicato al rilancio di un progetto di difesa comune. E nelle prossime ore parteciperà, assieme agli altri leader Ue, a una videoconferenza in vista del vertice Ue. E in questa occasione Macron illustrerà un resoconto della sua visita alla Casa Bianca. A Roma,comunque, hanno già bocciato la sua idea di schierare truppe di interposizione. Nella convinzione che diversi altri Paesi sosterranno la stessa posizione.

“Non c’è mai stata – osserva il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari – una forza di interposizione internazionale tra due eserciti di questa portata. Da entrambi i lati ci sono più di un milione di soldati armati e non vedo bene quale sia la forza di interposizione tra questi due eserciti”. Tajani conferma che “se si deve fare una zona cuscinetto bisogna mandare delle truppe sotto la bandiera delle Nazioni Unite, e nel caso ci può essere anche una disponibilità italiana, come c’è per la Palestina, ma sempre con la corresponsabilità di tutti”. Si tratta di uno scenario non immediato. Ma la Lega già predica “cautela”. Un invito che Salvini accompagna con critiche all’Ue (“Se sei un soprammobile non puoi stupirti se non sei invitata al tavolo”) e lodi a Trump: “In un mese è cambiato il mondo e ha fatto più lui…”.

Sulle mosse e gli affondi del presidente Usa Meloni continua sulla linea del silenzio, nella convinzione che non sia utile commentare “dichiarazioni estemporanee”. Nessun cambio di rotta, assicurano i suoi. Si aspetta di vedere le condizioni dell’accordo una volta definite. Per Roma la chiave sono le garanzie di sicurezza per Kiev. Secondo Fazzolari, braccio destro della premier, “un pieno coinvolgimento dell’Ucraina nella Nato sarebbe l’opzione di sicurezza più solida”. Ma Tajani sostiene che “in questo momento non c’è l’ipotesi che possa entrare nella Nato, perché intanto deve finire la guerra. Quando finirà la guerra se ne discuterà”.

Tutti d’accordo, invece, che non sarebbe accettabile una spartizione dell’Ucraina senza che il suo popolo sia d’accordo: “Non so chi avrà il fegato di farlo…”, nota Fazzolari, in prima fila alla presentazione dei risultati della vendita alla medaglia celebrativa “Due anni di resistenza ucraina”, realizzata dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, e distribuita da Poste italiane. Ne sono state vendute circa 8mila e il ricavato è stato devoluto al centro di riabilitazione Unbroken Kids, nell’ospedale pediatrico Saint Nicholas di Leopoli.

Advertisement

In Evidenza

Andrea Vianello lascia la Rai dopo 35 anni: “Una magnifica cavalcata, grazie a tutti”

Pubblicato

del

Dopo 35 anni di giornalismo, programmi, dirette e incarichi di vertice, Andrea Vianello (foto Imagoeconomica in evidenza) ha annunciato il suo addio alla Rai. L’annuncio è arrivato con un messaggio pubblicato su X, nel quale il giornalista ha comunicato di aver lasciato l’azienda con un «accordo consensuale».

Una lunga carriera tra radio, tv e direzioni

Nato a Roma il 25 aprile 1961, Vianello entra in Rai nel 1990 tramite concorso, dopo anni di collaborazione con quotidiani e riviste. Inizia al Gr1 con Livio Zanetti, poi al Giornale Radio Unificato, raccontando da inviato alcuni dei momenti più drammatici della cronaca italiana: dalle stragi di Capaci e via D’Amelio al caso del piccolo Faruk Kassam.

Nel 1998 approda a Radio anch’io, e successivamente a Tele anch’io su Rai2. Tra il 2001 e il 2003 è autore e conduttore di Enigma su Rai3, per poi guidare Mi manda Rai3 fino al 2010. Dopo l’esperienza ad Agorà, nel 2012 diventa direttore di Rai3.

Nel 2020 pubblica “Ogni parola che sapevo”, un racconto toccante della sua battaglia contro un’ischemia cerebrale che gli aveva tolto temporaneamente la parola, poi recuperata con grande determinazione.

Negli ultimi anni ha diretto Rai News 24, Rai Radio 1, Radio1 Sport, il Giornale Radio Rai e Rai Gr Parlamento. Nel 2023 viene nominato direttore generale di San Marino RTV, ma si dimette dopo dieci mesi. Di recente si parlava di un suo possibile approdo alla guida di Radio Tre.

Le parole d’addio: “Sempre con me il senso del servizio pubblico”

«Dopo 35 anni di vita, notizie, dirette, programmi, emozioni e esperienze incredibili, ho deciso di lasciare la ‘mia Rai’», scrive Vianello. «Ringrazio amici e colleghi, è stato un onore e una magnifica cavalcata. Porterò sempre con me ovunque vada il senso del servizio pubblico».

Il Cdr del Tg3: “Un altro addio che pesa”

Dura la reazione del Comitato di redazione del Tg3: «Anche Andrea Vianello è stato messo nelle condizioni di dover lasciare la Rai», scrivono i rappresentanti sindacali, parlando apertamente di “motivi politici”. «È l’ennesimo collega di grande livello messo ai margini in un progressivo svuotamento di identità e professionalità». E concludono con un appello: «Auspichiamo che questa emorragia si arresti, e che la Rai possa recuperare la sua centralità informativa e culturale».

Continua a leggere

Politica

L’ex ministro De Lorenzo torna a percepire il vitalizio: sono stato un perseguitato politico

Pubblicato

del

Francesco De Lorenzo (foto Imagoeconomica in evidenza), 87 anni, ex ministro della Sanità della Prima Repubblica, torna a percepire il vitalizio parlamentare grazie alla riabilitazione concessa dal Tribunale di Sorveglianza di Roma. Una cifra importante tra arretrati e pensione, che giunge 31 anni dopo l’arresto per Tangentopoli e una condanna definitiva a 5 anni per associazione a delinquere e corruzione.

«Ho pagato più di tutti, ho subito una persecuzione»

«Sono stato il capro espiatorio perfetto» ha dichiarato De Lorenzo al Corriere del Mezzogiorno, rivendicando la correttezza del proprio operato. Secondo l’ex ministro, i magistrati dell’epoca avrebbero voluto colpire un simbolo e lui si prestava bene al ruolo, specie dopo la riforma della sanità che vietava il doppio lavoro ai medici. «Non ho mai preso una lira per me – ha aggiunto – la Cassazione ha riconosciuto che i soldi finivano interamente al Partito Liberale».

«Vitalizio? È un diritto, come stabilito dalla Boldrini»

De Lorenzo ha ribadito che la richiesta del vitalizio è legittima: «La delibera del 2015 firmata da Laura Boldrini prevede la restituzione in caso di riabilitazione. Io l’ho ottenuta, come altri prima di me». A pesare sulla sua memoria, anche la condanna della Corte dei Conti per danno d’immagine: «Ho dovuto vendere la mia casa di Napoli per affrontare le conseguenze economiche di quella sentenza, pur non avendo causato alcun danno erariale».

Tangentopoli e il crollo della Prima Repubblica

Arrestato a Napoli nel 1994, De Lorenzo fu al centro di uno dei più noti scandali di Tangentopoli. «Durante la stagione giudiziaria serviva un terzo nome dopo Craxi e Andreotti, e io ero perfetto», ha detto. Ricorda con amarezza il clima di quegli anni: «Mi ritrovai contro i medici per la riforma e contro i malati per i tagli alla sanità. Il bersaglio ideale».

«Non ho mai tradito per salvarmi»

«Mi venne chiesto di accusare altri ministri, anche Berlusconi – racconta – ma non l’ho mai fatto». Critico nei confronti della magistratura, De Lorenzo ha sottolineato le irregolarità nel suo arresto e nella gestione del processo. «I miei coimputati si avvalevano della facoltà di non rispondere. Il mio processo è stato un coro di muti».

Rapporti con il passato: «Non sento più nessuno»

Con i vecchi compagni di partito come Paolo Cirino Pomicino e Giulio Di Donato i contatti si sono interrotti: «Ho chiuso ogni rapporto con loro», ha ammesso De Lorenzo. Nonostante l’età, conserva ancora una voce lucida e battagliera: «Sono malato di giustizia, non dimentico quello che ho subito».

Continua a leggere

Politica

Addio a Giancarlo Gentilini, lo “Sceriffo” di Treviso simbolo della Lega Nord

Pubblicato

del

È morto a 95 anni Giancarlo Gentilini (foto Imagoeconomica in evidenza), storico sindaco e vicesindaco di Treviso, conosciuto come “lo Sceriffo” per la sua spilla simbolo di ordine, disciplina e rispetto delle leggi. Figura centrale della Lega Nord, è stato per vent’anni un riferimento assoluto per la città e per il movimento federalista e nordista. Gentilini si è spento ieri all’ospedale di Treviso, dopo un improvviso malore. Aveva appena trascorso le festività pasquali con familiari e amici.

Dal 1994 un’era politica fuori dagli schemi

Eletto per la prima volta nel 1994, in piena frattura con la Prima Repubblica, Gentilini ha rappresentato il primo grande esperimento amministrativo della Lega Nord in Veneto. La sua leadership ha ispirato generazioni di sindaci padani. Rimasto in carica fino al 2013, ha saputo imprimere un’impronta personale, carismatica e controversa al governo della città, definendosi “al servizio del mio popolo”.

Una vita di provocazioni e polemiche

Uomo fuori dagli schemi, Gentilini è stato amato e odiato. Amatissimo dal suo elettorato, detestato dalle opposizioni per uscite spesso offensive: frasi contro immigrati, rom, comunità omosessuale, disegni di teschi agli incroci pericolosi e panchine rimosse per evitare che vi si sedessero stranieri. La sua comunicazione era brutale, talvolta al limite del razzismo, ma efficace. Una figura che ha spesso messo in difficoltà anche la sua stessa Lega, incapace di contenerne la dirompenza.

L’ultimo capitolo di una vita sorprendente

Nel 2017 ha perso la moglie, e l’anno successivo, a 89 anni, si è risposato. Un uomo che non ha mai smesso di sorprendere, nel bene e nel male. Sempre fedele alla sua immagine, sempre diretto, spesso divisivo, ma instancabile e coerente con il proprio sentire.

Il cordoglio delle istituzioni

Tra i primi a ricordarlo, Luca Zaia, presidente del Veneto: «È stato un grande amministratore, ha saputo intercettare i sentimenti del popolo. Ha fatto la storia di Treviso e del Veneto». Lorenzo Fontana, presidente della Camera, ha parlato di «dedizione totale alla città». Il sindaco di Treviso, Mario Conte, ha espresso il dolore dell’intera comunità: «Il nostro Leone è andato avanti. Ha scritto la storia».

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto