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Politica

Pd e M5S: tra duello e alleanza, la sfida infinita tra Schlein e Conte

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La politica italiana si infiamma con un nuovo capitolo della sfida tra Elly Schlein e Giuseppe Conte, protagonisti di una partita giocata tra strategie, contrapposizioni e possibili convergenze. Il campo dell’opposizione è tutt’altro che compatto: le divergenze sulle armi all’Ucraina, la politica estera e il riarmo hanno segnato ulteriori distanze tra il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle, due forze che, almeno sulla carta, dovrebbero lavorare per costruire un’alternativa alla destra.

Le tensioni sul riarmo e la politica estera

Il voto sul riarmo europeo ha creato una frattura netta tra Schlein e Conte. Giorgia Meloni ha sostenuto il piano von der Leyen, mentre il PD ha scelto un’astensione tattica che ha lasciato scontenti molti suoi elettori. Conte, invece, ha cavalcato l’onda del pacifismo per accreditarsi come l’unico vero oppositore al riarmo.

“Il pacifismo del PD è traballante, io difendo i più deboli” ha attaccato Conte, mentre Schlein ha preferito non rispondere direttamente alle provocazioni, ribadendo solo la sua posizione: “Noi siamo per una difesa comune europea, non per il riarmo nazionale”.

Ma le divergenze non si fermano qui. Schlein guarda con interesse alla leadership democratica americana e si allinea con Kamala Harris, mentre Conte strizza l’occhio a Donald Trump, riconoscendogli il merito di aver “smascherato la propaganda bellicista dell’Occidente”.

“Battere militarmente la Russia non era realistico”, ha affermato il leader M5S, facendo emergere ancora una volta il solco tra le due visioni.

Le piazze divise

Le distanze si sono palesate anche sul terreno della mobilitazione popolare. Alla manifestazione della sinistra a Piazza del Popolo, Schlein è stata acclamata dai suoi sostenitori con un “Vai avanti, siamo tutti con te”. Conte, però, ha deciso di non mischiarsi con una platea che considera troppo eterogenea tra pacifisti e trattativisti.

Ma l’ex premier non è rimasto in silenzio: ha convocato la sua piazza per il 5 aprile, tutta marchiata M5S, dove i messaggi e le parole d’ordine saranno dettate unicamente dal suo movimento.

Il rischio dello scontro finale

Se Schlein e Conte sembrano a tratti vicini, in realtà si contendono lo stesso elettorato, con due strategie differenti:

  • Conte punta a conquistare l’elettorato pacifista e anti-establishment, proponendosi come l’unica voce contraria alla politica estera atlantista e al sistema.
  • Schlein lavora per rafforzare il PD, rendendolo il perno dell’opposizione e cercando di accreditarsi come leader di un’alleanza ampia.

Lo scontro potrebbe riaccendersi oggi in Senato, quando si discuteranno le risoluzioni sul Consiglio europeo. Conte proverà a mettere in difficoltà il PD, puntando sulle divisioni interne tra l’ala riformista e quella più a sinistra.

“Che alternativa puoi presentare agli italiani se voti come Meloni per un’escalation militare?” è la domanda con cui il leader M5S potrebbe tentare di inchiodare Schlein.

Conte non crede al “campo largo”

Mentre Schlein cerca di ricompattare l’opposizione, Conte non ha dubbi:

“Io sono per il campo giusto, non per il campo largo.”

Questa dichiarazione smentisce qualsiasi ipotesi di un’alleanza strutturata tra PD e M5S prima delle elezioni. Conte vuole tenere separato il suo progetto politico, rinviando ogni discussione a dopo il voto.

Un’alleanza possibile solo dopo il voto?

Le divergenze tra PD e M5S si estendono oltre la politica estera:

  • Sulle elezioni amministrative, i due partiti sono spesso divisi su candidature e alleanze locali.
  • Sulla RAI, Conte e Schlein hanno criticato le nomine governative, ma senza una strategia comune.
  • Sulla legge elettorale, le divergenze restano enormi: l’attuale sistema favorisce le alleanze, ma un proporzionale puro darebbe a ognuno la possibilità di correre da solo.

“Schlein si occupa solo di rafforzare il PD, io faccio lo stesso con il M5S” ha dichiarato Conte, lasciando intendere che ognuno pensa prima al proprio orticello.

Conclusioni: strategie diverse, futuro incerto

La tensione tra Elly Schlein e Giuseppe Conte continua a essere il punto centrale della politica d’opposizione. Se da un lato hanno molte posizioni in comune, dall’altro la loro lotta per la leadership del centrosinistra e per la conquista di nuovi elettori li porta spesso a scontrarsi.

L’unica certezza è che, almeno fino alle prossime elezioni, la collaborazione tra PD e M5S sarà limitata e conflittuale. Un’alleanza, se mai ci sarà, dovrà essere costruita dopo il voto, quando i numeri parleranno chiaro e le strategie dovranno adattarsi alla nuova realtà politica.

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L’ex ministro De Lorenzo torna a percepire il vitalizio: sono stato un perseguitato politico

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Francesco De Lorenzo (foto Imagoeconomica in evidenza), 87 anni, ex ministro della Sanità della Prima Repubblica, torna a percepire il vitalizio parlamentare grazie alla riabilitazione concessa dal Tribunale di Sorveglianza di Roma. Una cifra importante tra arretrati e pensione, che giunge 31 anni dopo l’arresto per Tangentopoli e una condanna definitiva a 5 anni per associazione a delinquere e corruzione.

«Ho pagato più di tutti, ho subito una persecuzione»

«Sono stato il capro espiatorio perfetto» ha dichiarato De Lorenzo al Corriere del Mezzogiorno, rivendicando la correttezza del proprio operato. Secondo l’ex ministro, i magistrati dell’epoca avrebbero voluto colpire un simbolo e lui si prestava bene al ruolo, specie dopo la riforma della sanità che vietava il doppio lavoro ai medici. «Non ho mai preso una lira per me – ha aggiunto – la Cassazione ha riconosciuto che i soldi finivano interamente al Partito Liberale».

«Vitalizio? È un diritto, come stabilito dalla Boldrini»

De Lorenzo ha ribadito che la richiesta del vitalizio è legittima: «La delibera del 2015 firmata da Laura Boldrini prevede la restituzione in caso di riabilitazione. Io l’ho ottenuta, come altri prima di me». A pesare sulla sua memoria, anche la condanna della Corte dei Conti per danno d’immagine: «Ho dovuto vendere la mia casa di Napoli per affrontare le conseguenze economiche di quella sentenza, pur non avendo causato alcun danno erariale».

Tangentopoli e il crollo della Prima Repubblica

Arrestato a Napoli nel 1994, De Lorenzo fu al centro di uno dei più noti scandali di Tangentopoli. «Durante la stagione giudiziaria serviva un terzo nome dopo Craxi e Andreotti, e io ero perfetto», ha detto. Ricorda con amarezza il clima di quegli anni: «Mi ritrovai contro i medici per la riforma e contro i malati per i tagli alla sanità. Il bersaglio ideale».

«Non ho mai tradito per salvarmi»

«Mi venne chiesto di accusare altri ministri, anche Berlusconi – racconta – ma non l’ho mai fatto». Critico nei confronti della magistratura, De Lorenzo ha sottolineato le irregolarità nel suo arresto e nella gestione del processo. «I miei coimputati si avvalevano della facoltà di non rispondere. Il mio processo è stato un coro di muti».

Rapporti con il passato: «Non sento più nessuno»

Con i vecchi compagni di partito come Paolo Cirino Pomicino e Giulio Di Donato i contatti si sono interrotti: «Ho chiuso ogni rapporto con loro», ha ammesso De Lorenzo. Nonostante l’età, conserva ancora una voce lucida e battagliera: «Sono malato di giustizia, non dimentico quello che ho subito».

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Addio a Giancarlo Gentilini, lo “Sceriffo” di Treviso simbolo della Lega Nord

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È morto a 95 anni Giancarlo Gentilini (foto Imagoeconomica in evidenza), storico sindaco e vicesindaco di Treviso, conosciuto come “lo Sceriffo” per la sua spilla simbolo di ordine, disciplina e rispetto delle leggi. Figura centrale della Lega Nord, è stato per vent’anni un riferimento assoluto per la città e per il movimento federalista e nordista. Gentilini si è spento ieri all’ospedale di Treviso, dopo un improvviso malore. Aveva appena trascorso le festività pasquali con familiari e amici.

Dal 1994 un’era politica fuori dagli schemi

Eletto per la prima volta nel 1994, in piena frattura con la Prima Repubblica, Gentilini ha rappresentato il primo grande esperimento amministrativo della Lega Nord in Veneto. La sua leadership ha ispirato generazioni di sindaci padani. Rimasto in carica fino al 2013, ha saputo imprimere un’impronta personale, carismatica e controversa al governo della città, definendosi “al servizio del mio popolo”.

Una vita di provocazioni e polemiche

Uomo fuori dagli schemi, Gentilini è stato amato e odiato. Amatissimo dal suo elettorato, detestato dalle opposizioni per uscite spesso offensive: frasi contro immigrati, rom, comunità omosessuale, disegni di teschi agli incroci pericolosi e panchine rimosse per evitare che vi si sedessero stranieri. La sua comunicazione era brutale, talvolta al limite del razzismo, ma efficace. Una figura che ha spesso messo in difficoltà anche la sua stessa Lega, incapace di contenerne la dirompenza.

L’ultimo capitolo di una vita sorprendente

Nel 2017 ha perso la moglie, e l’anno successivo, a 89 anni, si è risposato. Un uomo che non ha mai smesso di sorprendere, nel bene e nel male. Sempre fedele alla sua immagine, sempre diretto, spesso divisivo, ma instancabile e coerente con il proprio sentire.

Il cordoglio delle istituzioni

Tra i primi a ricordarlo, Luca Zaia, presidente del Veneto: «È stato un grande amministratore, ha saputo intercettare i sentimenti del popolo. Ha fatto la storia di Treviso e del Veneto». Lorenzo Fontana, presidente della Camera, ha parlato di «dedizione totale alla città». Il sindaco di Treviso, Mario Conte, ha espresso il dolore dell’intera comunità: «Il nostro Leone è andato avanti. Ha scritto la storia».

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Industriali bocciano il dl bollette, irritazione Palazzo Chigi

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“Forte preoccupazione e contrarietà per l’assenza di misure concrete a sostegno del cuore produttivo del Paese”. Confindustria è dura commentando il varo del Decreto Bollette e avverte: “Si è persa un’altra occasione”, sul fronte dei costi dell’energia “è una situazione insostenibile per le imprese italiane. Occorre agire con urgenza”. Altrettanto netta è “l’irritazione” della presidenza del Consiglio per le dichiarazioni degli industriali: “Il provvedimento – rilevano fonti di Palazzo Chigi – era stato “ampiamente discusso” con tutte le associazioni imprenditoriali, a partire da Confindustria, “stupisce quindi che l’associazione degli industriali abbia manifestato la sua contrarietà solo dopo l’approvazione definitiva da parte del Senato”. La stessa premier Giorgia Meloni, sui social, prima della nota di Confindustria, commentato l’approvazione definitiva del provvedimento mercoledì sera in Senato aveva sottolineato come “il governo mette in campo misure concrete per sostenere famiglie e imprese di fronte al caro energia. Lo facciamo attraverso un investimento di circa 3 miliardi, destinato ad alleggerire le bollette, promuovere l’efficienza energetica, tutelare i più vulnerabili e chi produce”.

“Non ci fermeremo qui”, ha sottolineato la presidente del Consiglio: “Continueremo a lavorare con serietà e determinazione per contrastare il caro energia e aiutare chi ha bisogno”. Si accende anche lo scontro politico: “Se Meloni non ha tempo di girare e ascoltare il Paese, legga bene cosa pensano le aziende di questo suo decretino bollette dopo 25 mesi di crollo della produzione e aumenti vertiginosi dell’energia”, attacca il leader M5s Giuseppe Conte: “È davvero surreale leggere che una Presidente del Consiglio esulti per un misero e tardivo decreto-bollette”, “un provvedimento che lascia soli milioni di italiani e tantissime imprese”. Quanto al confronto con le parti sociali, “Confindustria – sottolineano gli industriali – aveva avanzato proposte di modifica a costo zero, finalizzate ad avviare un primo, reale e strutturale alleggerimento del peso delle bollette energetiche per le imprese. Tuttavia tra emendamenti dichiarati inammissibili, inviti al ritiro e l’assenza di pareri da parte dei ministeri competenti, si è persa un’altra occasione utile per intervenire in maniera efficace”.

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