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Politica

PD, c’è la tregua tra maggioranza e minoranza ma De Caro può diventare il dopo Schlein

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Un lunedì di intense trattative per il Partito Democratico, culminato con una notte di confronti e un aggiornamento alla mattina successiva, prima dell’assemblea congiunta dei gruppi. Obiettivo prioritario: evitare la rottura tra le correnti dem sulla risoluzione che sarà presentata in occasione delle comunicazioni di Giorgia Meloni al Parlamento in vista del Consiglio europeo del 20 e 21 marzo.

Dopo la spaccatura a Strasburgo sul piano per il riarmo della presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, le diplomazie interne al PD hanno lavorato per ricucire lo strappo. Nel fine settimana le tensioni erano ancora alte, ma entrambi gli schieramenti – la maggioranza che sostiene Elly Schlein e la minoranza riformista – hanno capito che una spaccatura sarebbe stata un favore alla destra.

LA TRATTATIVA

Alle 15:30 di lunedì si è tenuta la prima riunione del gruppo ristretto incaricato di trovare una sintesi. Collegati su Zoom:

  • Chiara Braga e Francesco Boccia, capigruppo PD
  • Beppe Provenzano, responsabile Esteri
  • Alessandro Alfieri, coordinatore della minoranza
  • Enzo Amendola, Stefano Graziano, Piero De Luca, Tatjana Rojc

Provenzano ha presentato una bozza della risoluzione, già approvata da Elly Schlein, che chiede modifiche al piano von der Leyen, senza però chiederne il rigetto totale. Una formulazione più accettabile per i riformisti, che dopo il voto di Strasburgo non avrebbero mai potuto accettare una posizione troppo radicale.

Se la questione sembrava risolta, alcuni dettagli del testo hanno però riacceso il confronto. Schlein ha ribadito che la linea doveva essere la sua: “No al riarmo dei singoli Stati, sì alla difesa comune europea”. La segretaria voleva vincere la partita, senza concedere troppo alla minoranza riformista, che dal canto suo non intendeva uscire sconfitta completamente.

LA MEDIAZIONE E LO SCONTRO SUGLI AGGETTIVI

Dopo una pausa richiesta dai riformisti, la riunione è ripresa alle 19:30, con un acceso dibattito anche su dettagli apparentemente minimi, come gli aggettivi da utilizzare nel documento ufficiale.

  • La maggioranza voleva chiedere “cambiamenti radicali” al piano von der Leyen
  • I riformisti proponevano “cambiamenti profondi”

Alle 20:37, l’incontro si è nuovamente interrotto su questo punto. Schlein non voleva cedere e ha ribadito: “Noi siamo per la difesa comune europea, non per il riarmo nazionale”. Ma la minoranza riformista sapeva che rompere con la segretaria significava spianarle la strada verso un congresso straordinario che avrebbe vinto facilmente.

Alla fine, la riunione è stata aggiornata di nuovo al giorno successivo, poco prima della riunione con i gruppi parlamentari.

IL RUOLO DI ANTONIO DECARO

Nel frattempo, i riformisti del PD hanno valutato un nome alternativo a Schlein in caso di congresso: Antonio Decaro, ex sindaco di Bari ed europarlamentare con 495.918 preferenze, più della stessa Schlein. Tuttavia, il diretto interessato ha rapidamente spento ogni speculazione con un messaggio chiaro su Instagram:

“Non abbiamo bisogno di un congresso. Esiste una segretaria autorevole ed eletta da poco, ed è pienamente titolata a terminare il suo mandato. Dobbiamo lavorare uniti insieme a lei.”

Decaro non ha mai amato farsi coinvolgere nelle dinamiche interne del partito e il suo obiettivo resta candidarsi alla successione di Michele Emiliano in Puglia.

IL VOTO ALLA CAMERA

Alla Camera, dove è possibile votare per parti separate, i riformisti dem potranno sostenere la mozione di Azione, annunciata da Carlo Calenda, che ricalca il testo approvato a Strasburgo. Nel frattempo, i parlamentari più pacifisti del PD potrebbero appoggiare alcuni punti delle risoluzioni di Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra.

UNO SCENARIO ANCORA INCERTO

Nonostante la tregua raggiunta, resta da capire se la pace nel PD sarà duratura o solo temporanea. Elly Schlein ha evitato la spaccatura, ma la tensione tra le diverse anime del partito è ancora alta, soprattutto sulla politica estera e di difesa.

Intanto, Decaro resta defilato, osservando le mosse della segretaria e della minoranza, con un occhio puntato sulle elezioni regionali in Puglia, dove il suo ritorno sembra sempre più probabile.

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Politica

L’ex ministro De Lorenzo torna a percepire il vitalizio: sono stato un perseguitato politico

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Francesco De Lorenzo (foto Imagoeconomica in evidenza), 87 anni, ex ministro della Sanità della Prima Repubblica, torna a percepire il vitalizio parlamentare grazie alla riabilitazione concessa dal Tribunale di Sorveglianza di Roma. Una cifra importante tra arretrati e pensione, che giunge 31 anni dopo l’arresto per Tangentopoli e una condanna definitiva a 5 anni per associazione a delinquere e corruzione.

«Ho pagato più di tutti, ho subito una persecuzione»

«Sono stato il capro espiatorio perfetto» ha dichiarato De Lorenzo al Corriere del Mezzogiorno, rivendicando la correttezza del proprio operato. Secondo l’ex ministro, i magistrati dell’epoca avrebbero voluto colpire un simbolo e lui si prestava bene al ruolo, specie dopo la riforma della sanità che vietava il doppio lavoro ai medici. «Non ho mai preso una lira per me – ha aggiunto – la Cassazione ha riconosciuto che i soldi finivano interamente al Partito Liberale».

«Vitalizio? È un diritto, come stabilito dalla Boldrini»

De Lorenzo ha ribadito che la richiesta del vitalizio è legittima: «La delibera del 2015 firmata da Laura Boldrini prevede la restituzione in caso di riabilitazione. Io l’ho ottenuta, come altri prima di me». A pesare sulla sua memoria, anche la condanna della Corte dei Conti per danno d’immagine: «Ho dovuto vendere la mia casa di Napoli per affrontare le conseguenze economiche di quella sentenza, pur non avendo causato alcun danno erariale».

Tangentopoli e il crollo della Prima Repubblica

Arrestato a Napoli nel 1994, De Lorenzo fu al centro di uno dei più noti scandali di Tangentopoli. «Durante la stagione giudiziaria serviva un terzo nome dopo Craxi e Andreotti, e io ero perfetto», ha detto. Ricorda con amarezza il clima di quegli anni: «Mi ritrovai contro i medici per la riforma e contro i malati per i tagli alla sanità. Il bersaglio ideale».

«Non ho mai tradito per salvarmi»

«Mi venne chiesto di accusare altri ministri, anche Berlusconi – racconta – ma non l’ho mai fatto». Critico nei confronti della magistratura, De Lorenzo ha sottolineato le irregolarità nel suo arresto e nella gestione del processo. «I miei coimputati si avvalevano della facoltà di non rispondere. Il mio processo è stato un coro di muti».

Rapporti con il passato: «Non sento più nessuno»

Con i vecchi compagni di partito come Paolo Cirino Pomicino e Giulio Di Donato i contatti si sono interrotti: «Ho chiuso ogni rapporto con loro», ha ammesso De Lorenzo. Nonostante l’età, conserva ancora una voce lucida e battagliera: «Sono malato di giustizia, non dimentico quello che ho subito».

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Politica

Addio a Giancarlo Gentilini, lo “Sceriffo” di Treviso simbolo della Lega Nord

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È morto a 95 anni Giancarlo Gentilini (foto Imagoeconomica in evidenza), storico sindaco e vicesindaco di Treviso, conosciuto come “lo Sceriffo” per la sua spilla simbolo di ordine, disciplina e rispetto delle leggi. Figura centrale della Lega Nord, è stato per vent’anni un riferimento assoluto per la città e per il movimento federalista e nordista. Gentilini si è spento ieri all’ospedale di Treviso, dopo un improvviso malore. Aveva appena trascorso le festività pasquali con familiari e amici.

Dal 1994 un’era politica fuori dagli schemi

Eletto per la prima volta nel 1994, in piena frattura con la Prima Repubblica, Gentilini ha rappresentato il primo grande esperimento amministrativo della Lega Nord in Veneto. La sua leadership ha ispirato generazioni di sindaci padani. Rimasto in carica fino al 2013, ha saputo imprimere un’impronta personale, carismatica e controversa al governo della città, definendosi “al servizio del mio popolo”.

Una vita di provocazioni e polemiche

Uomo fuori dagli schemi, Gentilini è stato amato e odiato. Amatissimo dal suo elettorato, detestato dalle opposizioni per uscite spesso offensive: frasi contro immigrati, rom, comunità omosessuale, disegni di teschi agli incroci pericolosi e panchine rimosse per evitare che vi si sedessero stranieri. La sua comunicazione era brutale, talvolta al limite del razzismo, ma efficace. Una figura che ha spesso messo in difficoltà anche la sua stessa Lega, incapace di contenerne la dirompenza.

L’ultimo capitolo di una vita sorprendente

Nel 2017 ha perso la moglie, e l’anno successivo, a 89 anni, si è risposato. Un uomo che non ha mai smesso di sorprendere, nel bene e nel male. Sempre fedele alla sua immagine, sempre diretto, spesso divisivo, ma instancabile e coerente con il proprio sentire.

Il cordoglio delle istituzioni

Tra i primi a ricordarlo, Luca Zaia, presidente del Veneto: «È stato un grande amministratore, ha saputo intercettare i sentimenti del popolo. Ha fatto la storia di Treviso e del Veneto». Lorenzo Fontana, presidente della Camera, ha parlato di «dedizione totale alla città». Il sindaco di Treviso, Mario Conte, ha espresso il dolore dell’intera comunità: «Il nostro Leone è andato avanti. Ha scritto la storia».

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Industriali bocciano il dl bollette, irritazione Palazzo Chigi

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“Forte preoccupazione e contrarietà per l’assenza di misure concrete a sostegno del cuore produttivo del Paese”. Confindustria è dura commentando il varo del Decreto Bollette e avverte: “Si è persa un’altra occasione”, sul fronte dei costi dell’energia “è una situazione insostenibile per le imprese italiane. Occorre agire con urgenza”. Altrettanto netta è “l’irritazione” della presidenza del Consiglio per le dichiarazioni degli industriali: “Il provvedimento – rilevano fonti di Palazzo Chigi – era stato “ampiamente discusso” con tutte le associazioni imprenditoriali, a partire da Confindustria, “stupisce quindi che l’associazione degli industriali abbia manifestato la sua contrarietà solo dopo l’approvazione definitiva da parte del Senato”. La stessa premier Giorgia Meloni, sui social, prima della nota di Confindustria, commentato l’approvazione definitiva del provvedimento mercoledì sera in Senato aveva sottolineato come “il governo mette in campo misure concrete per sostenere famiglie e imprese di fronte al caro energia. Lo facciamo attraverso un investimento di circa 3 miliardi, destinato ad alleggerire le bollette, promuovere l’efficienza energetica, tutelare i più vulnerabili e chi produce”.

“Non ci fermeremo qui”, ha sottolineato la presidente del Consiglio: “Continueremo a lavorare con serietà e determinazione per contrastare il caro energia e aiutare chi ha bisogno”. Si accende anche lo scontro politico: “Se Meloni non ha tempo di girare e ascoltare il Paese, legga bene cosa pensano le aziende di questo suo decretino bollette dopo 25 mesi di crollo della produzione e aumenti vertiginosi dell’energia”, attacca il leader M5s Giuseppe Conte: “È davvero surreale leggere che una Presidente del Consiglio esulti per un misero e tardivo decreto-bollette”, “un provvedimento che lascia soli milioni di italiani e tantissime imprese”. Quanto al confronto con le parti sociali, “Confindustria – sottolineano gli industriali – aveva avanzato proposte di modifica a costo zero, finalizzate ad avviare un primo, reale e strutturale alleggerimento del peso delle bollette energetiche per le imprese. Tuttavia tra emendamenti dichiarati inammissibili, inviti al ritiro e l’assenza di pareri da parte dei ministeri competenti, si è persa un’altra occasione utile per intervenire in maniera efficace”.

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