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Cronache

Operazione contro il clan Cesarano, 18 arresti per estorsione, associazione armata, tentato omicidio

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Maxi operazione dei Carabinieri a Castellammare di Stabia, Pompei, Brescia e Pisa, 18 persone sono finite in manette: si tratta di un duro colpo al clan Cesarano.
I militari hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal G.I.P. del Tribunale di Napoli su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di 18 indagati, gravemente indiziati, a vario titolo, dei reati di associazione armata di tipo mafioso, tentato omicidio, estorsione aggravata dal metodo mafioso, porto illegale di arma clandestina aggravato dal metodo mafioso, rapina aggravata dal metodo mafioso, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti.
Le indagini, condotte dai Carabinieri del Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia di Castellammare di Stabia e coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, hanno avuto origine nel giugno del 2020, all’indomani della chiusura di una prima tranche di investigazioni che aveva consentito di raccogliere gravi indizi di colpevolezza a carico di 16 indagati, accusati a vario titolo di aver dato vita ad un gruppo criminale, originariamente incardinato nel clan Cesarano che, sfruttando la momentanea assenza di una vera e propria leadership all’interno del sodalizio, si sarebbe organizzato allo scopo di assoggettare al suo controllo parte del territorio della città di Castellammare di Stabia, commettendo una serie di estorsioni in danno di commercianti ed attività imprenditoriali della zona e, parallelamente, avviando una florida attività di spaccio di sostanze stupefacenti. La citata indagine aveva condotto all’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare eseguita dai militari dell’Arma nell’ottobre del 2021 ed anche alla condanna di alcuni imputati che nel frattempo hanno definito la propria posizione con il rito abbreviato.

Operazione dei Carabinieri a Castellammare di Stabia

Il prosieguo delle attività investigative è stato invece indirizzato agli aspetti associativi ed ha permesso di raccogliere gravi indizi circa l’attuale operatività del clan Cesarano, quale associazione armata di tipo mafioso avente per scopo la commissione dei delitti di estorsione, traffico di sostanze stupefacenti e detenzione di armi, finalizzata all’acquisizione del controllo delle attività illecite e lecite di Castellammare di Stabia, di Pompei e delle zone limitrofe. Al vertice di tale organizzazione criminale si collocherebbero le figure di CESARANO Vincenzo, detto “O Mussone”, BELVISO Luigi e CAFIERO Giovanni, i quali, secondo l’ipotesi accusatoria, avrebbero posto in essere condotte di carattere organizzativo e direttivo, con poteri di supremazia ed indirizzo sugli affiliati. In particolare, CESARANO Vincenzo, cugino degli storici vertici del clan CESARANO Ferdinando e CESARANO Gaetano, entrambi detenuti in regime di 41 bis O.P., avrebbe gestito la cassa del clan, impartendo le direttive strategiche, mentre CAFIERO Giovanni, genero di CESARANO Gaetano, oltre a partecipare alle riunioni nelle quali venivano decise le strategie del sodalizio e la questione del sostentamento degli affiliati detenuti, si sarebbe occupato del recupero dei crediti maturati da vari imprenditori. BELVISO Luigi, invece, oltre a promuovere specifici reati fine e ad intrattenere rapporti con esponenti di altri sodalizi dell’area napoletana, nel 2021 avrebbe tentato invano di separarsi da CESARANO Vincenzo e di assumere la guida del clan, in forza dell’avallo dei boss fondatori, acquisito per il tramite di CAFIERO Giovanni.
Nel corso delle indagini sono stati poi acquisiti gravi indizi di reità in ordine alla commissione di numerose estorsioni nell’area stabiese, perpetrate ai danni di attività imprenditoriali, attività ricettive, attività commerciali e negozi. Nella morsa del clan sarebbe finito anche un familiare di IMPERIALE Raffaele (oggi collaboratore di giustizia), titolare di un’impresa edile, che, di fronte alla richiesta di 50000,00 euro da parte di un affiliato del clan, avrebbe invocato l’intervento del noto narcotrafficante, all’epoca latitante: quest’ultimo, per il tramite di vari emissari riconducibili ad alcuni sodalizi criminali campani, avrebbe contattato CESARANO Vincenzo che avrebbe preso le distanze dal suo affiliato.
Le risultanze delle attività investigative hanno anche permesso di ricostruire il tentativo degli indagati di ripulire i proventi delle attività illecite conseguite nel contesto associativo mediante il loro reinvestimento in beni mobili e in settori imprenditoriali di natura lecita come quello del noleggio auto, quello nautico e quello edile- immobiliare.
Nel corso dell’attività sono poi emersi gravi indizi di colpevolezza a carico di BELVISO Luigi quale autore di una rapina a mano armata avvenuta a Pompei e a carico di un altro indagato quale mandante di un tentato omicidio, per il quale era stato ipotizzato un movente passionale ed erano stati già arrestati e condannati in primo grado i due esecutori materiali. Nello specifico, secondo la ricostruzione investigativa, DE IULIO Guglielmo sarebbe il mandante del tentato omicidio di un imprenditore stabiese ed avrebbe commissionato il delitto a seguito di una diatriba sorta in occasione della compravendita di un terreno ubicato nella periferia nord di Castellammare di Stabia. Nel corso delle investigazioni sono state poi documentate alcune cessioni di sostanze stupefacenti e sono emersi gravi indizi di colpevolezza a carico di quattro indagati che avrebbero utilizzato e comunicato con cellulari e sim indebitamente introdotti all’interno del carcere di Napoli Secondigliano. Al termine delle formalità di rito, quattordici indagati sono stati associati in carcere, uno sottoposto al regime degli arresti domiciliari e quattro persone, due delle quali già destinatarie di misura cautelare in carcere, sono state sottoposte alla misura del divieto di dimora nella Provincia di Napoli.

Il provvedimento eseguito – spiegano i Carabinieri in una nota-è una misura cautelare, disposta in sede di indagini preliminari, avverso cui sono ammessi mezzi di impugnazione, e i destinatari della stessa sono persone sottoposte alle indagini e, quindi, presunte innocenti fino a sentenza definitiva.

PERSONE RISTRETTE IN CARCERE:

1. Cesarano Vincenzo;

2. Cafiero Giovanni;

3. Belviso Luigi;

4. Belviso Raffaele;

5. Corbelli Francesco;

6. Langellotto Bartolomeo;

7. Langellotto Carlo Alberto;

8. Bambace Andrea;

9. Aprea Domenico;

10. Di Martino Michele;

11. Gambardella Gennaro;

12. Di Martino Gerardo;

13. De Iulio Guglielmo;

14. Corbelli Francesco

PERSONE SOTTOPOSTE AL REGIME DEGLI ARRESTI DOMICILIARI:

1. Assante Francesco d’Assisi

PERSONE SOTTOPOSTE AL DIVIETO DI DIMORA NELLA PROVINCIA DI NAPOLI

1. Belviso Luigi,

2. Belviso Raffaele,

3. D’Apice Vincenzo,

4. D’Apice Domenico.

 

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Cronache

‘Il più bello d’Italia’ vuole diventare prete

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Edoardo Santini

Passerelle, riflettori e il mondo patinato della moda. C’era tutto questo, solo quattro anni fa, nella vita e nei sogni di Edoardo Santini, 21 anni, un giovanissimo ragazzo che sognava concorsi di bellezza e di sfilare per i brand e le firme più prestigiose. Un sogno realizzato quello di Edoardo che vinse infatti il titolo di più bello d’Italia. Un traguardo tanto desiderato. Poi qualcosa è cambiato. Quel mondo dorato e avvolgente non lo appagava come aveva immaginato nei sogni da giovanissimo. Ha sentito che doveva cercare altrove la sua felicità interiore: ha sentito la vocazione dentro di sé e adesso studia per entrare in seminario, vuole diventare prete. Quel 2019 quando era stato eletto il più bello d’Italia, e poi ballerino e nuotatore, sembra ormai un’altra vita. Il vincitore del concorso nazionale promosso da Abe, ha messo da parte le sfilate e il lavoro come modello, ma anche il nuoto, il ballo e il sogno di diventare attore professionista, per entrare al propedeutico ed essere sacerdote. “A 21 anni mi ritrovo in cammino per diventare se dio vorrà un prete”, spiega in un video pubblicato qualche giorno fa sui social.

“In questi anni – dice – ho avuto modo di incontrare dei ragazzi che mostrandomi cosa vuol dire “essere chiesa” mi hanno dato la forza di indagare questa domanda che mi porto dietro fin da quando ero piccolo, ma che varie paure mi impedivano di approfondire”. Edoardo ha messo così da parte ‘il lavoro da modello, la recitazione e il ballo, perché dei sì comportano inevitabilmente dei no’, dice nel suo messaggio sui social. Ma non vuole rinnegare il passato: «In in questi anni ho incontrato persone meravigliose che mi hanno dato tanto e permesso si vivere l’arte. Non abbandono tutto, perché le mie passioni fanno parte di me ma le vivrò e riproporrò in contesti diversi”. “Lo scorso anno per fare un primo passo – racconta sempre Santini – sono andato a vivere con due preti e quella è stata l’esperienza più bella della mia vita, un’esperienza che mi ha permesso di incontrare dei fratelli e che mi ha permesso di incontrare nella quotidianità quella risposta che aspettavo scendesse dall’alto”. Santini, dopo la richiesta al vescovo, è entrato al propedeutico, ha iniziato a studiare teologia e a prestare servizio in due parrocchie nella diocesi fiorentina. “Diventerò prete? Non lo so, sono qui per scoprirlo. Ho fatto quel passo che mi terrorizzava, che mi impediva di essere pienamente me stesso, pronto nel caso a dire: ‘No, sbagliavo’. Quello di cui però sono certo è che non mi pentirò di questo viaggio, perché a ora posso gridare: sono Edoardo, 21 anni e sono felice”.

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Funerali Giulia Cecchettin martedì 5 dicembre a Padova

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L’ultimo saluto a Giulia Cecchettn verrà dato martedì 5 dicembre, alle ore 11.00, con la cerimonia funebre prevista nella Basilica di Santa Giustina. Lo si legge nelle epigrafi già affisse stamane a Vigonovo, il paese di Giulia. Il nulla osta della Procura al rilascio della sala alla famiglia, dopo l’autopsia di ieri, è atteso in queste ore. Santa Giustina è una chiesa capace di ospitare migliaia di persone, affacciata su Prato della Valle, una piazza vastissima che permettere a molti di seguire la cerimonia, su maxi schermi, anche all’esterno della basilica.

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Boss minaccia ex moglie: pentita, è pronta la ruspa

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Una vita matrimoniale iniziata con la costrizione, proseguita con costanti aggressioni verbali, picchiata dall’ex marito e minacciata dall’ex suocero. “Mi hanno più volte detto che per me era già pronta la ruspa, volendo intendere che mi avrebbero appunto uccisa e seppellita”. A parlare con i pm della Dda di Reggio Calabria è l’ex moglie di Rosario Arena, di 44 anni, arrestato a Rosarno dai carabinieri assieme al padre Domenico, di 69, già condannato per mafia. Minacce ed estorsioni sono le accuse contestate ai due indagati ritenuti vicini alla cosca Pesce e nei confronti dei quali il gip Tommasina Cotroneo ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere su richiesta del procuratore Giovanni Bombardieri e dal sostituto procuratore della Dda Sabrina Fornaro.

Le vessazioni a cui era sottoposta l’ex moglie di Arena erano note nella cittadina della Piana di Gioia Tauro. Ne aveva fatto riferimento, infatti, un collaboratore di giustizia ed erano emerse anche in alcune intercettazioni. Il riscontro lo ha fornito la stessa donna che ai magistrati ha raccontato le attività criminali della famiglia del marito e, soprattutto, cosa ha subito dal 2001 quando, a 15 anni, prima di entrare al liceo, è stata rapita da Rosario Arena e costretta a convivere con l’uomo che nel 2003, una volta maggiorenne, ha dovuto sposare. “Io e i miei genitori abbiamo capito che non ci potevamo opporre. – si legge nel verbale della vittima -. Della famiglia Arena so che non hanno mai lavorato onestamente. Già durante la mia vita matrimoniale ho subito numerose volte minacce dal mio ex suocero e dal mio ex marito, che mi hanno più volte detto che per me era già pronta la ruspa. Quando ho lasciato Rosario, 13 novembre 2018, Domenico Arena, il mio ex suocero, mi ha detto che ci avrebbe uccisi”, riferendosi ai propri familiari.

“Ricordo che mio suocero – sono sempre le parole della donna – proponeva a noi donne della famiglia di occuparci della coltivazione di sostanza stupefacente. Mio marito mi chiamava ‘pentita’” perché non partecipava alle attività illecite. Quando Rosario Arena è stato lasciato dalla moglie ha vissuto la separazione come un’onta da punire. Secondo gli inquirenti, infatti, mentre era ancora detenuto, attraverso i figli, avrebbe detto alla donna che una volta scarcerato “avrebbe sistemato tutto”. “Dovrai morire di fame” è la frase che le avrebbe rivolto, invece, l’ex suocero utilizzando un falso profilo facebook. La vita matrimoniale della vittima – si legge nell’ordinanza – “è stata improntata a pressioni psicologiche continue, in quanto il suocero ed il marito pretendevano che lei, come le altre nuore, prendesse parte attiva agli affari illeciti della famiglia, tra cui il traffico di stupefacenti, e che avesse con il suocero atteggiamenti sessuali promiscui e confidenziali”. Oltre alle minacce alla donna, padre e figlio arrestati stamani sono accusati anche di avere minacciato un medico dell’ospedale di Bari con lo scopo di ottenere un certificato che sarebbe servito a Domenico Arena, all’epoca detenuto, per eludere il carcere e usufruire dei domiciliari. La Dda ha, inoltre, scoperto un’estorsione ai danni della cooperativa agricola “Fattoria della Piana” che, secondo gli inquirenti, negli ultimi 18 anni, era diventata una vera e propria fonte di reddito illecito della famiglia Arena.

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