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Musica

Oasis, l’abbraccio che chiude il cerchio: la reunion diventa leggenda

La reunion degli Oasis si chiude a Wembley con l’abbraccio tra Liam e Noel: non solo nostalgia, ma una band in forma smagliante. Liam promette: «Ci si vede il prossimo anno».

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Le cose belle finiscono. Ma quelle ancora più belle ritornano. Domenica 28 settembre, Wembley ha scritto la pagina più attesa della reunion degli Oasis. Dopo due ore di rock and roll puro, Liam ha allargato le braccia e ha cercato Noel. Il fratello maggiore, il volto finalmente disteso, lo ha accolto in un abbraccio vero. Non il contatto forzato e imbarazzato di Cardiff, il 4 luglio, quando era iniziato il tour della rinascita. A Wembley, invece, c’era complicità.

NON SOLO NOSTALGIA

La reunion è stata l’evento musicale dell’anno, capace di trasformare la nostalgia anni ’90 in energia nuova. Cappellini da pescatore, maglie da calcio, cori che hanno unito novantenni del britpop e ventenni che allora non erano nemmeno nati. “I was there” è diventato un mantra per i 90mila di Wembley.
E gli Oasis non hanno tradito: niente effetti speciali, niente show per Instagram o TikTok, solo un muro di suono. Rock in purezza.

LA LEZIONE DI LIAM E NOEL

Nessuna scaletta infinita: 23 brani, due ore precise, senza pause emotive né filler. Una scelta controcorrente rispetto ai concerti-maratona che gonfiano i prezzi dei biglietti. Le emozioni non si pagano al minuto, sembrano dire i Gallagher. E il pubblico ha risposto, travolto dalla potenza di canzoni che restano attuali e necessarie.

IL FUTURO

Liam, dal palco, ha lanciato la promessa: «Ci si vede il prossimo anno». Una frase che ha già acceso la fantasia dei fan italiani: sarà Milano o Roma la prossima tappa storica della reunion?
Se Wembley ha segnato la consacrazione, il futuro potrebbe riservare un nuovo capitolo tutto da scrivere.

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Damiano David, nuovo album “Funny little fears dreams” con 5 inediti e collaborazioni internazionali

È uscito “Funny little fears dreams”, il nuovo album di Damiano David con 5 brani inediti e collaborazioni con Tyla, Nile Rodgers e Albert Hammond Jr. Partito da Varsavia il World Tour 2025 con oltre 30 date.

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È uscito oggi su tutte le piattaforme digitali “Funny little fears dreams”, il nuovo album di Damiano David, che contiene cinque brani inediti pensati come regalo per i fan. Il progetto arriva insieme al World Tour 2025, partito ieri da Varsavia, che prevede oltre 30 date in Europa, America, Asia e Australia.

Collaborazioni d’eccezione

Tra i brani spicca il singolo “Talk to me” realizzato con Tyla, vincitrice di un Grammy Award, e con la leggenda della chitarra Nile Rodgers. A questi si aggiunge “Cinnamon”, impreziosito dai riff di Albert Hammond Jr (The Strokes).

Le nuove canzoni

L’album prosegue con “Naked”, una ballad intima e minimalista, “Mysterious Girl”, con sonorità dark-pop e un inciso immediato, e “Over”, brano struggente e catartico che trasforma il dolore in speranza.

Il rapporto con i fan

Damiano ha dichiarato di aver scritto questi pezzi per restituire al pubblico l’energia raccolta durante il tour: “Queste canzoni sono il mio regalo ai fan e a chi verrà a vedermi live”. Alla serata di apertura di Varsavia ha trasmesso su TikTok LIVE sette brani, permettendo ai fan di ascoltare in anteprima alcune delle nuove tracce.

Dopo i successi globali

Il nuovo album segue il precedente “Funny little fears”, certificato in 11 Paesi e con oltre 800 milioni di stream. Con il World Tour 2025, Damiano David conferma il suo ruolo da protagonista sulla scena musicale internazionale.

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Eugenio Finardi: «Extraterrestre è la metafora della mia vita. Ho tradito per capire la storia»

In un’intervista al Corriere della Sera, Eugenio Finardi racconta 50 anni di carriera: dal Movimento al Pci, da Sanremo a Extraterrestre, fino alla sua visione sull’intelligenza artificiale.

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In un’intervista al Corriere della Sera, Eugenio Finardi ripercorre 50 anni di carriera, intrecciando musica, politica e vita personale. Cantautore simbolo degli anni di contestazione, Finardi ammette: «Ho tradito per tutta la vita, cercando di capire le dinamiche della storia e di mettermi in discussione».

L’artista ricorda il 1978 e il flop iniziale di Extraterrestre, diventata poi un successo dodici anni dopo: «Era una metafora dell’impossibilità di scappare da se stessi. Allora mi tirarono sassi, mi accusarono di tradimento. Oggi è la canzone che più mi rappresenta».

Un’infanzia tra culture e lingue

Finardi è cresciuto in una Milano cosmopolita, figlio di madre americana e padre dirigente appassionato di musica. Nel suo appartamento transitavano figure come John Cage, Demetrio Stratos, Gianni Sassi e Franco Battiato. La sua infanzia è stata segnata da viaggi e lingue diverse: «A sei anni in New Jersey, poi in Svizzera. La musica era l’unica cosa univoca dentro di me».

Politica, ribellione e musica

Tra iscrizione al Pci e contestazioni del Movimento, Finardi visse le contraddizioni degli anni di piombo: «Gli autonomi mi hanno processato infinite volte, mi accusavano di essere venduto al sistema». Nel frattempo iniziava a farsi spazio nella musica, fino alla tournée con Fabrizio De André: «Gli chiesi perché aveva scelto me. Mi rispose: “Mi serve un cantautore di assalto che svuoti dei sassi le tasche dei ragazzi”».

Sanremo e i momenti surreali

Il debutto a Sanremo 1985 arrivò per contratto: «Ero così teso che salii sul palco con la lampo dei pantaloni abbassata. Pippo Baudo mi chiese perché avessi fatto quel gesto, io dissi: “Portafortuna”. E lui: “Allora rifallo!”». Momenti che raccontano con ironia l’assurdità e la leggerezza del mondo dello spettacolo.

Le cadute e la rinascita

Finardi non nasconde le difficoltà: «Ho provato tutte le droghe, ne ho pagato le conseguenze. Mi ha salvato la nascita di mia figlia con la sindrome di Down: più che responsabilità, fu una questione di dignità. Entrai in comunità e ne uscii grazie al percorso terapeutico».

Dall’impegno sociale all’intelligenza artificiale

Oggi, a 73 anni, Finardi guarda avanti: «Sono stufo delle battaglie del presente. Ora penso a cosa accadrà tra 150 o 300 anni. Credo che l’intelligenza artificiale, quando diventerà autogenerativa, potrà migliorare il mondo». E aggiunge: «C’è un uomo solo che non ha mai tradito: Mandela».

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Pink Floyd, “Wish You Were Here” compie 50 anni: il capolavoro nato tra malinconia, genio e destino

Mezzo secolo fa usciva “Wish You Were Here”, l’album dei Pink Floyd dedicato a Syd Barrett. Da “Shine On You Crazy Diamond” alla celebre copertina, il disco è oggi riconosciuto come un pilastro della storia del rock.

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“Wish You Were Here” compie 50 anni e conferma quanto i Pink Floyd restino un mito senza tempo. Nonostante lo scioglimento della band risalga al 1994 e l’ultimo disco, “Endless River”, sia uscito dieci anni fa, ogni anniversario, ristampa o riedizione continua ad accendere l’entusiasmo dei fan.

L’album seguì il trionfo planetario di “The Dark Side of the Moon”, portando i Floyd in una dimensione ancora più alta, tra intuizioni artistiche, innovazioni tecnologiche e tensioni creative.

L’omaggio a Syd Barrett

Il disco è un atto d’amore verso Syd Barrett, fondatore e genio fragile della band, travolto dai disturbi mentali. “Shine On You Crazy Diamond” resta uno dei più grandi tributi mai scritti alla follia.

Indimenticabile l’episodio accaduto durante le registrazioni: il 5 giugno 1975 Barrett comparve negli Abbey Road Studios, con lo sguardo assente e i capelli rasati, proprio mentre il gruppo stava incidendo il brano a lui dedicato. Fu l’ultima volta che i compagni lo videro realmente: un’apparizione tanto struggente quanto simbolica.

La critica, il mercato e la copertina iconica

Oltre al rimpianto per l’amico perduto, l’altro grande tema dell’album è il difficile rapporto tra arte e industria discografica. A rappresentarlo, la leggendaria copertina firmata da Storm Thorgerson e Aubrey “Po” Powell di Hipgnosis: due uomini che si stringono la mano, mentre uno dei due prende fuoco. L’immagine, scattata con stuntmen e fiamme reali, simboleggia l’artista “bruciato” dall’abbraccio dell’uomo d’affari.

Dal tiepido esordio al mito eterno

Alla sua uscita nel 1975, “Wish You Were Here” fu accolto con freddezza da parte della critica, mentre il pubblico decretò subito il successo. Col passare degli anni, le sue tracce sono diventate tra le più riconoscibili della storia del rock, consacrando il disco come uno dei capisaldi assoluti della musica del Novecento.

Cinquant’anni dopo, il suo messaggio resta intatto: malinconico, visionario e incredibilmente attuale. Un album che ha saputo trasformare dolore e disillusione in arte immortale.

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