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Nuovo stadio Napoli, Manfredi rilancia il dialogo: «Il Maradona resta centrale»

Il sindaco Manfredi commenta il progetto di De Laurentiis per un nuovo stadio a Caramanico: «Serve dialogo, ma senza escludere il Maradona». Il 25 luglio confronto decisivo con la Uefa.

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Il sindaco Gaetano Manfredi non cambia linea: il Comune di Napoli resta disponibile al confronto con Aurelio De Laurentiis, ma pretende chiarezza e concretezza. La notizia dell’invio da parte del patron azzurro alla Zes di un progetto per un nuovo stadio a Caramanico, nella zona orientale della città, ha sorpreso non poco Palazzo San Giacomo. Non tanto per il contenuto, quanto per l’assenza di condivisione istituzionale, considerato che fino a poco tempo fa le interlocuzioni sembravano orientate sulla riqualificazione del Maradona.

Due visioni, un’unica scadenza: Euro 2032

A oggi sono due i progetti concorrenti in campo: quello del Comune, che punta a ristrutturare l’attuale stadio Maradona anche in vista delle partite di Euro 2032, e quello del presidente del Napoli, che propone la costruzione di un nuovo impianto in un’area attualmente occupata dal mercato comunale di Caramanico. In questo scenario complesso si inserisce anche la recente visita di De Laurentiis a Palazzo Chigi, dove ha incontrato il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari e il presidente di Sport e Salute Marco Mezzaroma.

Il 25 luglio giornata chiave con la Uefa

La giornata del 25 luglio sarà cruciale: in Comune è attesa una delegazione della Uefa per discutere del futuro del Maradona. Manfredi ha già predisposto il masterplan per la riqualificazione dello stadio e l’ha inviato anche a De Laurentiis. Quel giorno, il sindaco si aspetta di riaprire il confronto diretto con il patron del Napoli, affinché si eviti il rischio di presentarsi alla Uefa con due opzioni in conflitto tra loro.

L’opzione “no” del Comune e i nodi tecnici

Intanto a Palazzo San Giacomo si studiano anche azioni più decise, come l’opposizione formale al progetto presentato alla Zes. I motivi sarebbero soprattutto di natura tecnica: sull’area individuata sorge attualmente un mercato comunale regolamentato con 300 stalli e centinaia di lavoratori. Inoltre, la particella del Piano regolatore su cui ricade il terreno destinato al nuovo stadio è la stessa concessa per il progetto del PalaEventi al Centro Direzionale. Il Comune dovrà valutare se le due infrastrutture possano convivere.

Il rischio politico di un “no” isolato

Ma l’opposizione formale del Comune porta con sé dei rischi strategici. La valutazione del progetto spetta infatti a otto amministrazioni territoriali. È vero che è richiesta l’unanimità, ma il progetto può essere approvato anche con una maggioranza qualificata, rendendo dunque potenzialmente irrilevante il voto contrario del Comune. E Manfredi non intende esporsi politicamente su un progetto da centinaia di milioni rischiando di ritrovarsi in minoranza sulla sua stessa città.

Il Maradona resta al centro della strategia

Il sindaco, quindi, rilancia la via del dialogo con la società calcio Napoli. Vuole che il futuro sportivo della città resti legato allo stadio Maradona, ma si inizia anche a riflettere su scenari alternativi: usi differenti per l’impianto, finanziamenti pubblici e privati da attivare, nuove funzioni urbane da immaginare nel caso in cui la SSC Napoli decidesse davvero di voltare pagina. L’obiettivo, però, resta lo stesso: fare chiarezza il prima possibile per evitare di perdere una storica occasione, gli Europei del 2032.

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Esteri

Trump nella bufera sul caso Epstein: pressioni dal Congresso per la pubblicazione dei file

Il caso Epstein divide il partito repubblicano. Trump si difende su Truth, ma lo speaker Johnson e il Congresso chiedono trasparenza.

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Il caso Jeffrey Epstein torna a scuotere la Casa Bianca e divide il fronte conservatore. Mentre l’amministrazione Trump cerca di disinnescare le polemiche crescenti, lo speaker repubblicano della Camera Mike Johnson rompe con il presidente e chiede trasparenza totale: “I file vanno pubblicati, devono essere gli americani a decidere”, ha dichiarato.

Trump all’attacco su Truth contro le “bufale democratiche”

Il presidente Donald Trump ha reagito con irritazione sul suo social Truth, accusando i suoi stessi “sostenitori del passato” di dare credito a quella che ha definito “una bufala creata dai democratici”. “Sono stronzate”, ha scritto, lamentando che i successi degli ultimi sei mesi vengano oscurati dalle accuse e dai sospetti che continuano a circolare sulla figura dell’ex finanziere, morto in carcere nel 2019 in circostanze mai del tutto chiarite.

Il ruolo della ministra Bondi e la pressione su di lei

Nel mirino c’è anche la ministra della Giustizia Pam Bondi, da giorni sotto attacco. Dopo un periodo di silenzio, è riapparsa davanti alle telecamere per smentire qualsiasi ipotesi di dimissioni: “Sarò al mio posto finché il presidente lo vorrà”, ha detto. Trump continua a difenderla pubblicamente, ma nelle ultime ore ha aperto alla possibilità che il governo pubblichi nuovi documenti ritenuti “credibili”.

Crepe nella base Maga: “Non molleremo su Epstein”

Il malcontento cresce però proprio nella base Maga, che fino a pochi mesi fa garantiva un sostegno totale al presidente. Le teorie cospirazioniste su Epstein – spesso alimentate da membri dell’amministrazione durante la campagna elettorale – ora tornano a galla, ma è proprio quella base militante a chiedere conto e pretendere la verità.

A prendere posizione anche Lara Trump, nuora del presidente, che ha esortato a “una maggiore trasparenza”.

Al Congresso si prepara uno scontro interno al GOP

Alla Camera, il deputato Thomas Massie, noto per le sue posizioni indipendenti e per aver votato più volte contro Trump, ha avviato le procedure per presentare una mozione che obblighi alla pubblicazione di tutti i documenti sul caso Epstein. La mossa è letta da molti osservatori come un banco di prova sulla tenuta della fedeltà del partito repubblicano al suo leader.

Il caso Epstein, insomma, torna al centro del dibattito politico statunitense e mina la compattezza interna al GOP, con la Casa Bianca costretta a rincorrere una polemica che si fa ogni giorno più esplosiva.

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Economia

La Cisl chiama al Patto della responsabilità. Gelo Cgil

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Un accordo per la crescita e la coesione sociale, tra riformisti: la leader della Cisl, Daniela Fumarola (foto Imagoeconomica in evidenza), apre il ventesimo congresso nazionale del sindacato e rilancia la proposta di “un grande patto della responsabilità”. La sua parola d’ordine resta il dialogo. E l’unità sindacale un auspicio, dopo mesi di profonde distanze con Cgil e Uil, costruita sui contenuti. La risposta dei leader ‘cugini’ arriva a stretto giro dallo stesso palco, dove sono invitati ad intervenire: non manca la volontà di confrontarsi, è la posizione comune, ma il numero uno della Cgil, Maurizio Landini, si smarca dall’idea di un nuovo patto. Piuttosto bisogna applicare quelli già esistenti, dice. All’unità fa riferimento il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel messaggio inviato per il congresso.

“Ricomporre il lavoro che rischia di frammentarsi, affrontare le sfide di mercati sempre più sottoposti a choc, le prove poste dall’intelligenza artificiale, tenere saldo il primato della persona, sono terreni di impegno decisivi, che devono tenere insieme parti sociali e istituzioni, in uno sforzo corale per lo sviluppo del Paese”, scrive il capo dello Stato, richiamando che il diritto al lavoro e alla retribuzione necessaria sono “obiettivi irrinunciabili”.

Tra i sindacati restano le distanze, ma le porte sono aperte. “Il pluralismo sindacale è una ricchezza e prevede anche la possibilità di pensarla in modo diverso, lavoreremo insieme e uniti per raggiungere gli obiettivi più importanti”, afferma il segretario generale della Uil, Pierpaolo Bombardieri, raccogliendo la proposta di Fumarola: “Misuriamoci sui contenuti, non sono interessato al contenitore”, risponde. Per Landini, invece, “non c’è bisogno in generale di patti, c’è un problema di applicazione dei patti esistenti”, a partire da quelli fatti con Confindustria, “e di affermare degli accordi precisi su sicurezza, salari e investimenti”. Questioni aperte. “È tempo di stringere un grande Patto della responsabilità: governo, sindacato e sistema delle imprese che partecipino insieme verso obiettivi comuni”, afferma Fumarola dal palco.

Lavoro, contratti e salari sono i punti su cui si sofferma la leader della Cisl, a partire dalla sicurezza. E’ indispensabile – sostiene – che ci sia Accordo nazionale per il lavoro. “E al centro del centro non può che esserci la questione più urgente: la sicurezza e la salute delle persone sul lavoro. È la battaglia per antonomasia”. Ribadisce il no al salario minimo legale, “non è la risposta giusta”. Primo perché “non spetta alla politica dei partiti decidere in questo ambito. Secondo, sul merito non avremmo un esito positivo”, sostiene.

Dunque, “la via maestra resta quella contrattuale. Bisogna rinnovare tutti i contratti nazionali, pubblici e privati”. E contro la precarietà dice che non è una questione di regole ma di costi: per questo sostiene che bisogna rendere il lavoro stabile ancora più conveniente prevedendo un surplus contributivo a carico delle imprese che utilizzano lavoratori a ternine, i cui proventi andrebbero destinati alla pensione di garanzia per i giovani. Su questi punti – salario minimo e referendum, su cui le posizioni sono opposte – torna Landini parlando dal palco e dalla platea si alzano brusii e anche qualche fischio. Non mancano i temi delle pensioni e il fisco, con la richiesta di un sistema “più equo e redistributivo, che alleggerisca pensionati e lavoratori, oggi i più colpiti dall’Irpef. L’elefante nella stanza si chiama fiscal drag”, afferma Fumarola.

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L’Ue vara un bilancio da duemila miliardi ma è scontro

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Un bilancio ‘monstre’ da duemila miliardi sul quale, in Europa, è già scontro. La Commissione, dopo giorni di dibattiti, tensioni e riunioni a porte chiuse, ha svelato il Quadro finanziario pluriennale (Qfp) per il settennato 2028-34. “Il più ambizioso di sempre”, ha assicurato la presidente Ursula von der Leyen di fronte alla quale, tuttavia, si staglia un negoziato a dir poco in salita. Regioni, gruppi parlamentari e diverse capitali sono saliti immediatamente sulle barricate. La maggioranza Ursula ha contestato il bilancio sia nell’architettura, sia nelle dotazioni, giudicate “insufficienti”. Mentre molti Paesi sono sul piede di guerra, sostenendo che pagheranno di più e, in alcuni casi, riceveranno meno sulle voci più sensibili. “Il bilancio è più ampio. È più intelligente e più incisivo. È un obiettivo per il nostro futuro”, ha detto von der Leyen, incontrando la stampa al termine di quello che è parso un lungo braccio di ferro al collegio dei commissari.

Un braccio di ferro iniziato già venerdì scorso quando il dibattito su cifre, voci, e ripartizioni, è entrato nel vivo, con una parte dei commissari, a partire dal vicepresidente esecutivo Raffaele Fitto, impegnata a difendere i confini di alcuni pilastri dell’attuale bilancio: dai finanziamenti per le regioni meno sviluppate (che saranno pari a 218 miliardi) al Fondo Sociale. Sulla Coesione “l’esigenza di semplificazione e flessibilità è evidente”, ha sottolineato Fitto dicendosi allo stesso tempo “certo” che il confronto con il Pe e i 27 “migliorerà” la proposta. Nel Qfp 2028-34 ci sarà qualche accisa in più (nuove quelle su grandi imprese, tabacco, e rifiuti elettronici). Ma soprattutto potrebbe esserci un aumento importante del contributo dei Paesi: secondo la proposta dall’1,13% all’1,26% del reddito nazionale lordo, sebbene von der Leyen abbia sottolineato che, nell’architettura delle risorse, il contributo resterà “stabile”. L’esecutivo Ue ha fornito rassicurazioni sulla Pac, ma a conti fatti i fondi del comparto scenderanno da 378 a 300 miliardi. “E’ un disastro annunciato”, ha reagito Coldiretti annunciando la mobilitazione permanente’.

“E’ la fine dell’agricoltura”, ha affermato Cia-Agricoltori italiani. Come temevano in molti è confermata la nascita dei ‘Piani di partenariato nazionali e regionali’, cui andranno 865 miliardi, accorpando varie linee di bilancio oggi indipendenti: Pac, sviluppo rurale, Coesione e fondi di sviluppo regionale e, probabilmente, i rimborsi dei finanziamenti ex Next Generation. “Il Parlamento Ue non accetterà alcuna riduzione del controllo parlamentare e del legittimo controllo e scrutinio democratico sulla spesa dell’Ue o, peggio, una rinazionalizzazione delle principali politiche dell’Unione”, hanno tuonato i leader della ‘maggioranza Ursula’ Manfred Weber (Ppe), Iratxe Garcia Perez (S&D), Valery Hayer (Renew), e Bas Eickhout e Terry Reintke (Verdi). Dall’Olanda il ministro delle Finanze Eelco Heinen ha avvertito: “Il bilancio proposto è troppo elevato. Non dovremmo concentrarci sempre e solo su come l’Ue possa spendere di più, ma piuttosto su come i fondi esistenti possano essere spesi meglio”.

Pur apprezzando priorità e architettura della proposta, sembra poi che anche la Germania abbia perplessità sull’entità complessiva del bilancio, ed è già sulla difensiva per una delle sorprese del giorno ritenendo problematiche le opzioni di debito comune. Tra le novità, infatti, è spuntata il ‘Catalyst Europe’, ovvero la possibilità che gli Stati investano negli obiettivi Ue ricevendo prestiti garantiti dall’Ue per 150 miliardi di euro. Per alcuni si tradurrà in prestiti a condizioni più vantaggiose rispetto alle condizioni di mercato. L’annunciato del nuovo Fondo di Competitività europeo riceverà 451 miliardi.

Sarà incentrato sul rafforzamento dell’industria della difesa europea, sulla promozione dell’innovazione e sul sostegno alla transizione. All’interno ci sarà una voce da 131 miliardi per difesa e spazio, cinque volte quanto nel Qfp attuale. Per i programmi globali saranno previsti poi 200 miliardi, 100 dei quali per l’Ucraina. E saranno triplicati i fondi per i confini esterni. A testimonianza di un bilancio a immagine e somiglianza dell’attuale presidenza del Berlaymont e sul quale – secondo le indiscrezioni riportate da alcuni media – sarebbero stati tenuti a lungo all’oscuro anche molti commissari.

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