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Nasce UniRai contro il monopolio sindacale in Rai

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L’obiettivo è superare il monopolio dell’Usigrai nella vita sindacale della tv pubblica, ma il percorso per il riconoscimento come sindacato è appena cominciato e la conclusione non è scontata. Da oggi però c’è una nuova associazione, presentata all’Auditorium Due Pini a Roma, che si chiama UniRai e vuole unire tutti i giornalisti che non si riconoscono nella rappresentanza attuale. Non a caso è partito oggi una sorta di click day, con l’invio di mail all’Usigrai per comunicare l’uscita dall’organizzazione a partire dal primo gennaio. L’iniziativa è stata subito battezzata sui media come il nuovo sindacato della destra, in linea con la nuova governance aziendale, ma i promotori negano che la definizione sia corretta.

“UniRai nasce come associazione aperta a tutti i giornalisti della Rai – sottolineano -, libera da ogni pregiudizio ideologico, lontana dalla propaganda politica e saldamente ancorata ai valori costituzionali. Uniti nelle differenze, senza etichette. L’obiettivo è offrire ai colleghi una nuova casa plurale e trasversale per restituire all’informazione del servizio pubblico terzietà e completezza”.

“Al centro del progetto – proseguono – ci saranno temi fondamentali come la tutela dei giornalisti, la garanzia dell’autonomia professionale, l’organizzazione del lavoro nelle redazioni, la certezza delle risorse e un giusto equilibrio tra diritti e doveri”. A guidare l’associazione sono Francesco Palese di Rainews ed Elisabetta Abbate del Tg1. Punto di riferimento è Incoronata Boccia, vicedirettrice del Tg1 ed ex componente dell’esecutivo Usigrai. All’evento non era presente il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, ex direttore del Tg2, che ha però inviato un messaggio per sottolineare come l’iniziativa vada “nel segno del pluralismo e della più ampia partecipazione”.

Di “opportunità storica in un percorso di cambiamento” ha parlato il sottosegretario Alessandro Morelli, presente all’iniziativa insieme all’altro sottosegretario Alberto Barachini, che ha posto l’accento sulla necessità di ascoltare “tutte le voci che contribuiscono a determinare un servizio pubblico migliore e alla sua innovazione”. Al battesimo c’erano molti direttori Rai, nominati dalla nuova governance. Da Angelo Mellone, direttore del Day Time, ad Alessandro Casarin, direttore della Tgr, da Francesco Pionati, direttore di Radio Rai, ad Angela Mariella, direttrice delle Relazioni Istituzionali, da Iacopo Volpi, direttore di Rai Sport, a Paolo Petrecca, direttore di Rainews, e Paolo Corsini, direttore Approfondimento.

“Il tema del cambiamento è fondamentale e questa governance sta cercando di trasformare la Rai – ha sottolineato Nicola Rao, direttore della Comunicazione Rai -. La Rai che io sogno è una Rai aperta, inclusiva e plurale in cui i diversi punti di vista si sommino e convivano in un riconoscimento e rispetto reciproco. In questo senso va la richiesta di pluralismo di Unirai”. Anche i membri della Commissione di Vigilanza hanno animato uno dei panel.

“L’anomalia è che non ci fosse prima una realtà come questa, che va solo ad aggiungere non a togliere”, ha affermato Augusta Montaruli di Fdi. “Chi ha voluto inquinare il vostro lavoro connotandolo politicamente fa qualcosa di sbagliato” ha sottolineato Francesco Filini di Fdi -. Non c’è notizia di un sindacato che fa riferimento alla destra”. “Il servizio pubblico sarà tale se saprà stare al passo dei cambiamenti sociali e tecnologici. E bisogna farlo insieme, che non significa essere uguali”, ha detto Maurizio Lupi d Noi Moderati. “La notizia oggi siete voi – ha aggiunto Maurizio Gasparri di Forza Italia -. Resistete e fate come il Maxibon: due gusti sono meglio di uno”. “L’augurio è che l’associazione non sia legata ai partiti”, ha detto, dall’opposizione, Maria Elena Boschi di Italia Viva. Stefano Graziano del Pd ha sottolineato che “l’Usigrai ha svolto una funzione importante per la Rai” e ha lanciato l’allarme sulle risorse per la tv pubblica, dopo il taglio del canone.

“La Rai è bene comune e va preservata con la capacità di prevedere le spese a cui deve andare incontro”, ha affermato Dario Carotenuto di M5s. Giorgio Maria Bergesio della Lega ha spiegato che “si può ridurre la spesa e si deve fare. Abbiamo la necessità di fare razionalizzazioni, dove si possono fare”. A dare il benvenuto alla nuova associazione anche Bruno Vespa. “Il fatto che l’Usigrai mi abbia costantemente attaccato, mi lascia immaginare che le sue valutazioni siano politiche – ha detto -. C’è un problema di democrazia rappresentativa”.

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Esteri

Iran, mistero sull’esplosione a Bandar Abbas: otto morti e oltre 700 feriti

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Il ministero dell’Interno iraniano ha confermato che il bilancio dell’esplosione avvenuta al porto di Bandar Abbas, città strategica sullo Stretto di Hormuz, è salito a otto morti e 740 feriti. Un evento gravissimo che scuote una delle aree più delicate per gli equilibri geopolitici globali.

Le cause restano misteriose

Le autorità iraniane parlano ufficialmente di un generico incidente, senza però fornire dettagli precisi. Questa vaghezza ha acceso numerosi interrogativi a livello internazionale: fonti estere suggeriscono che potrebbe trattarsi non di un incidente, ma di un attacco deliberato attribuibile a un Paese nemico, con il sospetto principale che ricade su Israele.

L’ipotesi dell’attacco mirato: la pista del combustibile per missili

Secondo analisi parallele, le esplosioni di Bandar Rajaei — uno dei principali terminali del porto di Bandar Abbas — non sarebbero casuali. La natura delle detonazioni, l’intensità dell’onda d’urto e l’estensione dei danni lascerebbero supporre la presenza di materiale altamente infiammabile e volatile, come il combustibile solido per razzi.

Fonti non ufficiali rivelano che Bandar Rajaei fosse recentemente diventato il deposito strategico del combustibile solido per missili balistici della Repubblica Islamica, importato dalla Cina tramite navi cargo. Non un semplice magazzino, dunque, ma un elemento chiave nelle strategie militari regionali di Teheran.

Israele nel mirino dei sospetti

Non sarebbe la prima volta che Israele compie operazioni mirate per neutralizzare le capacità missilistiche iraniane: già in passato, con massicce incursioni aeree, ha distrutto impianti critici, ritardando di anni la produzione bellica del regime. Secondo questa ricostruzione, l’Iran, nel tentativo disperato di ricostituire le sue scorte, avrebbe nascosto i materiali in infrastrutture civili, trasformando i cittadini in scudi umani.

L’attacco — se confermato — avrebbe incenerito gran parte del deposito e colpito anche la catena logistica dei rifornimenti missilistici destinati agli Houthi nello Yemen, infliggendo un danno catastrofico alla rete militare iraniana nella regione.

Un’accusa morale pesante contro il regime iraniano

L’episodio di Bandar Rajaei non sarebbe soltanto un durissimo colpo militare, ma rappresenterebbe anche un’accusa morale contro un regime accusato di sacrificare la propria popolazione pur di mantenere le proprie ambizioni imperiali. Come già avvenuto nell’esplosione del porto di Beirut nel 2020, il prezzo più alto lo pagano i civili.

La tragedia di Bandar Abbas, secondo questa lettura, segna un passo ulteriore verso la resa dei conti finale con un regime ormai gravemente indebolito, sia sul piano militare sia su quello della legittimità internazionale.

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Esteri

Hamas offre ostaggi in cambio di 5 anni di tregua

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Hamas mette sul piatto dei negoziati una nuova proposta: la liberazione di tutti gli ostaggi israeliani ancora nelle sue mani in cambio del ritiro dell’Idf e di un cessate il fuoco della durata di 5 anni. Ma le notizie che arrivano dal Cairo, dove è arrivata una delegazione del movimento integralista palestinese per discutere con i mediatori egiziani, non fermano raid e combattimenti, con un bilancio che nelle ultime 24 ore è costato la vita a quasi 50 palestinesi e alcuni soldati israeliani. Un funzionario di Hamas, che ha chiesto l’anonimato, ha detto all’Afp che il gruppo “è pronto a uno scambio di prigionieri in un’unica soluzione e a una tregua di cinque anni”.

La proposta arriva dopo il no all’offerta di Tel Aviv, 45 giorni di tregua e 10 ostaggi liberati, motivata dal fatto che Hamas punta alla fine della guerra, e al ritiro di Israele dalla Striscia, e non vuole “accordi parziali” con il governo di Benyamin Netanyahu. Altri responsabili di Hamas, sempre in forma anonima, hanno sottolineato a diversi media arabi anche la disponibilità a “lasciare il governo della Striscia all’Autorità nazionale palestinese, oppure a un comitato di tecnocrati indipendenti scelti dall’Egitto”.

E, pur rifiutando di abbandonare le armi, a “far uscire da Gaza combattenti in cambio della loro incolumità”. Tesi e proposte a cui si è aggiunta la pubblicazione di un video che mostrerebbe i miliziani delle brigate Qassam che scavano sotto le macerie di un tunnel bombardato dall’Idf, per trarre in salvo con successo un ostaggio israeliano. Da Tel Aviv per il momento non arrivano commenti, ma a quanto si apprende il capo del Mossad David Barnea sarebbe arrivato già giovedì in Qatar per incontrare il premier Mohammed bin Abdulrahman al-Thani e discutere nuovamente di una base di accordo per il rilascio degli ostaggi. Fonti militari citate dai media hanno però ammonito che l’esercito si prepara a “incrementare la pressione e stringere il cappio su Hamas”.

A Gaza intanto il bilancio dell’ultima giornata di raid è di almeno 49 morti, afferma il ministero della Salute mentre i soccorritori “scavano ancora sotto le macerie”.

Il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha detto che nei combattimenti di terra “il prezzo è alto”, dopo l’uccisione nelle ultime ore di un riservista e il ferimento di altri quattro soldati in un attacco con esplosivi e armi automatiche. Nel nord di Israele sono invece risuonate le sirene per il lancio di un “missile ipersonico” rivendicato dagli Houthi che aveva come obiettivo Haifa. E’ la prima volta che i ribelli yemeniti tentano di colpire così lontano, il missile è stato intercettato e distrutto.

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Zelensky: da Meloni una posizione chiara, la apprezzo

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“Oggi a Roma ho incontrato la Presidente del Consiglio italiana, Giorgia Meloni. Abbiamo discusso dell’importanza delle garanzie di sicurezza per l’Ucraina e degli sforzi per ripristinare la pace e proteggere le vite umane”. Lo ha scritto su X Volodymyr Zelensky. “46 giorni fa l’Ucraina – scrive – ha accettato un cessate il fuoco completo e incondizionato e per 46 giorni la Russia ha continuato a uccidere il nostro popolo. Pertanto, è stata prestata particolare attenzione all’importanza di esercitare pressioni sulla Russia”. Ed ha aggiunto: “Apprezzo la posizione chiara e di principio di Giorgia Meloni”.

Il leader ucraino ha aggiunto di aver “informato” la premier italiana “degli incontri costruttivi tenuti dalla delegazione ucraina con i rappresentanti di Stati Uniti, Francia, Regno Unito e Germania a Parigi e Londra. C’è una posizione comune: un cessate il fuoco incondizionato deve essere il primo passo verso il raggiungimento di una pace sostenibile in Ucraina”.

(la foto in evidenzaè di Imagoeconomica)

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