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Politica

Meloni-Schlein, accuse e rivalse. Scontro dopo il voto

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Stavolta niente telefonata per i complimenti reciproci. Anzi. Bordate da una parte e risposte piccate dall’altra. Dopo i ballottaggi, fra la presidente del consiglio Giorgia Meloni e la segretaria del Pd Elly Schlein è stato duello vero, a muso duro. In un video sui social, la premier ha accusato l’opposizione di usare “irresponsabili toni da guerra civile” contro la riforma dell’Autonomia. “Non so a chi si riferisca Meloni – ha risposto Schlein – Non so che film stia vedendo. Capisco che sia difficile accettare la sconfitta sonora e capisco il tentativo di parlare di altro, ma non si riferisca a noi”. Insomma, due settimane fa, all’indomani del voto per le europee, le leader delle principali forze di maggioranza e di opposizione avevano adottato il fair play. Il partito di Meloni si era confermato come il più votato dagli italiani. Quello di Schlein aveva superato ogni previsione arrivando al 24%. Cariche di entusiasmo, la presidente e la segretaria si erano sentite per una sorta di mutuo riconoscimento dei ruoli, fra chi guida la maggioranza e chi pesa di più nell’opposizione. Ma ai ballottaggi vince uno solo, lo scontro è diretto. E allora per cerimoniale a salamelecchi non c’è posto.

Commentando il voto in una conferenza stampa al Nazareno, Schlein ha usato l’ironia. Prima con una divagazione calcistica: “Abbiamo sofferto un po’, ma non abbiamo mai smesso di crederci. Quindi grazie Zaccagni e speriamo in sabato prossimo. Forza azzurri”. Poi con un’analisi in tono Wimbledon: “Una vittoria straordinaria per il Pd e per il campo progressista, un sei a zero quasi tennistico nei capoluoghi di regione”: Firenze, Perugia, Bari, Campobasso, Potenza e Cagliari. Parole suonate come una risposta al responsabile organizzazione di FdI, Giovanni Donzelli, che ha puntato sui risultati nei capoluoghi di provincia: “Il centrodestra ne ha strappati quattro al centrosinistra, mentre il centrosinistra soltanto tre – aveva detto Donzelli – Il dato politico che emerge è che c’è una solidità del centrodestra e una conferma del buon lavoro che viene svolto”. Sarcastica la segretaria Pd: “Sarebbe già un passo avanti se ammettessero la sconfitta, mi pare che non ci sia questa consapevolezza”. Ma lo scontro fra Meloni e Schlein è andato oltre il voto nei Comuni.

“Alla Camera – ha detto Meloni – una parlamentare del M5s ha evocato per noi piazzale Loreto, in pratica dovrei essere massacrata e appesa a testa in giù. Ma penso che le parole e i modi violenti che usa la sinistra sulle riforme non siano altro che una difesa disperata dello status quo”. E poi una citazione di storia contemporanea post-comunista che ha spiazzato il Nazareno: “Sul premierato ci accusano di deriva autoritaria, ma lo voleva Occhetto 30 anni fa. In pratica lui era più avanti della Schlein”. Quando ha sentito questa frase, Schlein ha fatto due occhi grossi così: “Meloni mi sembra un po’ a corto di argomenti”.

Dopo lo scontro a distanza, la battaglia politica riprenderà col confronto in Parlamento. Schlein si è detta “ancora più determinata” a creare una coalizione alternativa alla destra, che metta d’accordo tutte le opposizioni. Partendo dalle battaglie comuni: quelle contro le riforme, in difesa della sanità pubblica, quella sul salario minimo. E, fresca fresca, quella contro l’ipotesi di cambiare la legge elettorale sui ballottaggi ai Comuni, che sembra spuntare da alcune dichiarazioni del presidente del Senato Ignazio La Russa. “Non è che quando si perde si aboliscono le elezioni – ha detto Schlein – Non è colpa degli elettori se la destra ha perso, è colpa loro. E’ grave e sconveniente che la seconda carica dello Stato parli di cambiare le regole a pochi minuti dalla sconfitta, manca il senso delle istituzioni”. Intanto, già nelle prossime ore, il confronto sarà in Aula: Schlein – come probabilmente il presidente del M5s Giuseppe Conte – interverrà alla Camera dopo le comunicazioni di Meloni in vista del Consiglio europeo.

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Fratelli d’Italia risale nei sondaggi: cala il Pd, stabile il M5S

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Ad aprile, la politica internazionale ha fortemente influenzato l’opinione pubblica italiana. Gli avvenimenti chiave sono stati l’avvio dei dazi da parte degli Stati Uniti, gli incontri della premier Giorgia Meloni con Donald Trump e il vicepresidente americano Vance, la guerra in Ucraina e la crisi a Gaza, oltre alla scomparsa di papa Francesco. Questi eventi hanno oscurato le vicende della politica interna, come il congresso della Lega, il decreto Sicurezza e il dibattito sul terzo mandato per i governatori.

Ripresa di Fratelli d’Italia e consolidamento del centrodestra

Secondo il sondaggio Ipsos per il Corriere della Sera, Fratelli d’Italia torna a crescere, attestandosi al 27,7%, oltre un punto in più rispetto al mese precedente. Il recupero è legato all’eco positiva degli incontri internazionali della premier e alla riduzione delle tensioni interne alla maggioranza. Forza Italia si mantiene stabile all’8,2%, mentre la Lega scende all’8,2% (-0,8%).

Nel complesso, il centrodestra si rafforza leggermente, mentre le coalizioni di centrosinistra e il Campo largo registrano piccoli cali.

Opposizione in difficoltà: Pd in calo, M5S stabile

Il Partito Democratico cala ancora, arrivando al 21,1%, il punto più basso dell’ultimo anno, penalizzato da divisioni interne soprattutto sulla politica estera. Il Movimento 5 Stelle, invece, resta stabile al 13,9%, grazie al chiaro posizionamento pacifista.

Le altre forze di opposizione non mostrano variazioni rilevanti rispetto al mese precedente.

Governo e premier in lieve ripresa

Anche il gradimento per l’esecutivo cresce di un punto, raggiungendo il 41%, mentre Giorgia Meloni si attesta al 42%. Sono segnali deboli ma indicativi di un possibile arresto dell’erosione di consensi degli ultimi mesi.

I leader politici: lieve crescita per Conte e Renzi

Tra i leader, Antonio Tajani registra il peggior risultato di sempre (indice di 28), mentre Giuseppe Conte cresce di un punto, raggiungendolo. Piccoli cali si registrano anche per Elly Schlein e Riccardo Magi. In lieve risalita di un punto anche Matteo Renzi, che resta comunque in fondo alla classifica.

Più partecipazione elettorale

Un dato interessante riguarda la crescita della partecipazione: l’area grigia degli astensionisti e indecisi si riduce di tre punti. Resta da vedere se sarà un fenomeno duraturo o temporaneo.

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Andrea Vianello lascia la Rai dopo 35 anni: “Una magnifica cavalcata, grazie a tutti”

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Dopo 35 anni di giornalismo, programmi, dirette e incarichi di vertice, Andrea Vianello (foto Imagoeconomica in evidenza) ha annunciato il suo addio alla Rai. L’annuncio è arrivato con un messaggio pubblicato su X, nel quale il giornalista ha comunicato di aver lasciato l’azienda con un «accordo consensuale».

Una lunga carriera tra radio, tv e direzioni

Nato a Roma il 25 aprile 1961, Vianello entra in Rai nel 1990 tramite concorso, dopo anni di collaborazione con quotidiani e riviste. Inizia al Gr1 con Livio Zanetti, poi al Giornale Radio Unificato, raccontando da inviato alcuni dei momenti più drammatici della cronaca italiana: dalle stragi di Capaci e via D’Amelio al caso del piccolo Faruk Kassam.

Nel 1998 approda a Radio anch’io, e successivamente a Tele anch’io su Rai2. Tra il 2001 e il 2003 è autore e conduttore di Enigma su Rai3, per poi guidare Mi manda Rai3 fino al 2010. Dopo l’esperienza ad Agorà, nel 2012 diventa direttore di Rai3.

Nel 2020 pubblica “Ogni parola che sapevo”, un racconto toccante della sua battaglia contro un’ischemia cerebrale che gli aveva tolto temporaneamente la parola, poi recuperata con grande determinazione.

Negli ultimi anni ha diretto Rai News 24, Rai Radio 1, Radio1 Sport, il Giornale Radio Rai e Rai Gr Parlamento. Nel 2023 viene nominato direttore generale di San Marino RTV, ma si dimette dopo dieci mesi. Di recente si parlava di un suo possibile approdo alla guida di Radio Tre.

Le parole d’addio: “Sempre con me il senso del servizio pubblico”

«Dopo 35 anni di vita, notizie, dirette, programmi, emozioni e esperienze incredibili, ho deciso di lasciare la ‘mia Rai’», scrive Vianello. «Ringrazio amici e colleghi, è stato un onore e una magnifica cavalcata. Porterò sempre con me ovunque vada il senso del servizio pubblico».

Il Cdr del Tg3: “Un altro addio che pesa”

Dura la reazione del Comitato di redazione del Tg3: «Anche Andrea Vianello è stato messo nelle condizioni di dover lasciare la Rai», scrivono i rappresentanti sindacali, parlando apertamente di “motivi politici”. «È l’ennesimo collega di grande livello messo ai margini in un progressivo svuotamento di identità e professionalità». E concludono con un appello: «Auspichiamo che questa emorragia si arresti, e che la Rai possa recuperare la sua centralità informativa e culturale».

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Politica

L’ex ministro De Lorenzo torna a percepire il vitalizio: sono stato un perseguitato politico

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Francesco De Lorenzo (foto Imagoeconomica in evidenza), 87 anni, ex ministro della Sanità della Prima Repubblica, torna a percepire il vitalizio parlamentare grazie alla riabilitazione concessa dal Tribunale di Sorveglianza di Roma. Una cifra importante tra arretrati e pensione, che giunge 31 anni dopo l’arresto per Tangentopoli e una condanna definitiva a 5 anni per associazione a delinquere e corruzione.

«Ho pagato più di tutti, ho subito una persecuzione»

«Sono stato il capro espiatorio perfetto» ha dichiarato De Lorenzo al Corriere del Mezzogiorno, rivendicando la correttezza del proprio operato. Secondo l’ex ministro, i magistrati dell’epoca avrebbero voluto colpire un simbolo e lui si prestava bene al ruolo, specie dopo la riforma della sanità che vietava il doppio lavoro ai medici. «Non ho mai preso una lira per me – ha aggiunto – la Cassazione ha riconosciuto che i soldi finivano interamente al Partito Liberale».

«Vitalizio? È un diritto, come stabilito dalla Boldrini»

De Lorenzo ha ribadito che la richiesta del vitalizio è legittima: «La delibera del 2015 firmata da Laura Boldrini prevede la restituzione in caso di riabilitazione. Io l’ho ottenuta, come altri prima di me». A pesare sulla sua memoria, anche la condanna della Corte dei Conti per danno d’immagine: «Ho dovuto vendere la mia casa di Napoli per affrontare le conseguenze economiche di quella sentenza, pur non avendo causato alcun danno erariale».

Tangentopoli e il crollo della Prima Repubblica

Arrestato a Napoli nel 1994, De Lorenzo fu al centro di uno dei più noti scandali di Tangentopoli. «Durante la stagione giudiziaria serviva un terzo nome dopo Craxi e Andreotti, e io ero perfetto», ha detto. Ricorda con amarezza il clima di quegli anni: «Mi ritrovai contro i medici per la riforma e contro i malati per i tagli alla sanità. Il bersaglio ideale».

«Non ho mai tradito per salvarmi»

«Mi venne chiesto di accusare altri ministri, anche Berlusconi – racconta – ma non l’ho mai fatto». Critico nei confronti della magistratura, De Lorenzo ha sottolineato le irregolarità nel suo arresto e nella gestione del processo. «I miei coimputati si avvalevano della facoltà di non rispondere. Il mio processo è stato un coro di muti».

Rapporti con il passato: «Non sento più nessuno»

Con i vecchi compagni di partito come Paolo Cirino Pomicino e Giulio Di Donato i contatti si sono interrotti: «Ho chiuso ogni rapporto con loro», ha ammesso De Lorenzo. Nonostante l’età, conserva ancora una voce lucida e battagliera: «Sono malato di giustizia, non dimentico quello che ho subito».

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