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Meloni al vertice sulla pace con Sisi e Abu Mazen

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Riportare al centro della diplomazia la questione palestinese, con la speranza di disinnescare un conflitto a tutto campo tra Israele e Hamas che al momento appare inevitabile. O almeno impedire che la crisi da Gaza si allarghi al resto della regione. Sono questi gli ambiziosi obiettivi della “conferenza internazionale per la pace” in programma domani al Cairo, promossa dal presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi e a cui parteciperà il leader dell’Anp Abu Mazen. Un summit a cui Giorgia Meloni ha deciso di essere presente in prima persona, insieme con alcuni altri leader e rappresentanti europei, per far valere il ruolo dell’Italia di interlocutore di peso nel Mediterraneo. E’ probabile, anche se non ancora ufficiale, che la presidente del Consiglio voli poi in serata anche in Israele per incontrare il premier Netanyahu e il capo dello Stato ebraico Herzog. Con i tank ammassati al confine di Gaza ed i reparti dell’esercito israeliano pronti all’invasione per la resa dei conti con Hamas, il generale Sisi sta tentando di coinvolgere il numero più ampio possibile di partner internazionali per studiare soluzioni alternative alle armi.

“Coordinamento e cooperazione” per evitare che lo sviluppo della crisi possa “sfuggire di mano”, è il suo appello alla vigilia dei lavori. L’Europa ha risposto all’invito al summit del leader egiziano, ma mentre Berlino, Parigi e Londra si sono limitate ad inviare i ministri degli Esteri, Roma sarà rappresentata dal capo del governo, così come Madrid e Atene (con Pedro Sanchez e Kyriakos Mitsotakis). Una presenza, quella di Meloni, che viene considerata chiave in ambienti dell’esecutivo per far pesare il suo ruolo in un tavolo di confronto che rischia di essere “sbilanciato” contro Israele, vista l’assenza di molti altri leader europei di primo piano. Inoltre, si sottolinea, la sua partecipazione potrà portare “un valore aggiunto” per il blocco occidentale grazie ai buoni rapporti di Roma con i partner regionali, dalla Turchia di Erdogan alle monarchie del Golfo. Il summit del Cairo, a cui parteciperanno altri protagonisti arabi come il re giordano Abdallah e l’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al-Thani, costituirà l’occasione per “rilanciare il processo di pace nella regione”, rivitalizzando la soluzione dei due popoli in due Stati, ha sottolineato la diplomazia egiziana parlando a nome delle capitali della regione.

Tale prospettiva viene considerata ineludibile anche dall’Europa, ma con un netto distinguo: non c’è più spazio per Hamas. Su questa linea si sta muovendo anche il governo italiano. Dall’attacco a Israele del 7 ottobre, Meloni e il ministro Tajani hanno condannato la “brutalità” dei miliziani palestinesi, ma allo stesso tempo hanno attivato contatti con i partner occidentali e quelli arabi per evitare una de-escalation del conflitto e per spingere le due parti a ritornare a parlare di pace. La stessa premier ha inviato la comunità internazionale, inclusa Israele, a “non cadere nella trappola di Hamas”, che per “impedire il processo di normalizzazione della regione” avviato con gli Accordi di Abramo vuole scatenare una spirale di violenza che potrebbe “ricompattare l’opinione pubblica araba contro Israele”.

Proprio per tenere vivo il dialogo, la presidente del Consiglio, dopo il Cairo, dovrebbe volare a Tel Aviv come hanno fatto nei giorni scorsi Joe Biden, Olaf Scholz e Rishi Sunak. Al summit del Cairo è prevista la partecipazione, tra gli altri, di Charles Michel e Josep Borrell per l’Ue, dell’inviato cinese per il Medio Oriente Zhai Jun e del vice ministro degli Esteri russo Mikhail Bogdanov. Ci sarà anche il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, che è preoccupato soprattutto dell’emergenza umanitaria provocata dal conflitto a Gaza. Con gli aiuti ancora fermi al valico di Rafah. I Paesi invitati in Egitto, inclusa l’Italia, stanno lavorando per favorire una soluzione che allevi le terribili sofferenze dei civili nell’enclave palestinese.

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Folla commossa a Santa Maria Maggiore per salutare Papa Francesco

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All’alba, una lunga coda si era già formata davanti alla Porta Santa della basilica di Santa Maria Maggiore, dove è sepolto Papa Francesco. Ad aprire i cancelli, alle 7 in punto, è stato il rettore della basilica, il cardinale Rolandas Makrickas, che con emozione e un sorriso ha accolto i primi fedeli. Un’affluenza straordinaria che testimonia l’enorme affetto verso il Pontefice che ha scelto come ultima dimora il cuore multietnico dell’Esquilino.

Trentamila fedeli in poche ore

Alle 14, i visitatori erano già 30mila, e si prevede che a fine giornata possano raddoppiare. Famiglie, religiosi, scout e cittadini da ogni parte del mondo hanno reso omaggio a Francesco, il Papa dei poveri e della semplicità. La gente dell’Esquilino si è stretta attorno alla basilica, orgogliosa di avere come “vicino di casa” un Pontefice amato universalmente.

Le testimonianze di una devozione senza confini

Tra i tanti fedeli, Maria arrivata da Agrigento ha sottolineato la semplicità della tomba, specchio dello stile di Francesco. Florentine, da Grenoble ma originaria del Benin, ha parlato di una “grande emozione”. Roberto, romano e ateo, ha ricordato una frase che lo aveva colpito: «È meglio vivere da ateo che vivere da cristiano e parlare male degli altri». Dalla Finlandia, Sinika ha definito Francesco “il miglior Papa che i poveri possano avere”, fiera di indossare una maglietta con il suo ritratto.

Il ricordo che si fa simbolo

Nel quartiere, il volto di Francesco campeggia tra le vetrine, mentre striscioni di ringraziamento spuntano sui palazzi. Nella basilica, intanto, le celebrazioni liturgiche si alternano alla lunga processione dei fedeli: messe solenni, canti e l’omaggio di oltre cento cardinali. I tempi di attesa sono lunghi, ma il desiderio di sostare anche solo pochi secondi davanti alla lapide di “Franciscus” è fortissimo.

Roma prepara un afflusso senza precedenti

La fila continuerà oggi fino alle 22 e riprenderà domani mattina. Il sindaco Roberto Gualtieri ha annunciato una pianificazione straordinaria per gestire l’enorme afflusso di pellegrini: «Mercoledì ci sarà una riunione in Prefettura per organizzare al meglio l’accoglienza». Intanto, la rosa bianca – fiore caro a Francesco per la sua devozione a Santa Teresina – è diventata il simbolo silenzioso di questo tributo d’amore.

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Referendum e regionali, la sfida delle opposizioni

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Per le opposizioni, le regionali saranno il “test prima delle politiche”. La definizione è del presidente Pd Stefano Bonaccini. La tornata d’autunno, quindi, come un esame di compattezza, come una prova di forza per vedere se nel 2027 il centrosinistra potrà evitare il Meloni bis. Al voto andranno: Marche, Veneto, Campania, Puglia, Toscana e Valle d’Aosta. Le prime due sono governate dal centrodestra, le altre dal centrosinistra. Qualche mese prima, l’8 e 9 giugno, ci sarà un altro esame: i cinque referendum su lavoro e cittadinanza. Le opposizioni si stanno spendendo anche per quelli, specie Pd, M5s e Avs, mentre i centristi sono meno partecipi. Già raggiungere il quorum del 50% dei votanti farebbe ben sperare il fronte dei sostenitori dei “sì”.

In vista delle regionali, per il momento il lavoro dei partiti d’opposizione è orientato soprattutto alla definizione delle coalizioni. L’obiettivo della segretaria Pd Elly Schlein è rodare lo schieramento, nell’auspicio che sia il più largo possibile e che si presenti nel maggior numero possibile di Regioni. Sui nomi dei candidati i giochi sono fatti solo nelle Marche, dove per la carica di governatore corre l’eurodeputato Pd ed ex sindaco di Pesaro Matteo Ricci: l’alleanza è in via di costruzione, ma c’è la speranza che alla fine possa comprendere sia il M5s sia i centristi. In Puglia dovrebbe essere in campo l’altro eurodeputato Pd ed ex sindaco di Bari Antonio Decaro. L’accoppiata Pd-M5s parte in discesa, visto che ha già fatto le prove con la giunta ora guidata da Michele Emiliano.

In Toscana, il trascorrere del tempo fa crescere le quotazioni di una ricandidatura del governatore uscente Eugenio Giani, del Pd, già alleato a Iv, che auspica di imbarcare anche M5s e Avs. Mentre Azione ha già dato il suo placet. Giochi aperti in Campania, dove Pd e M5s stanno lavorando al candidato, che potrebbe essere l’ex presidente della Camera Roberto Fico. In ballo c’è anche l’attuale vicepresidente di Montecitorio Sergio Costa.

Entrambi sono del M5s. Fico sembra favorito, anche se per adesso è “bloccato” dal limite dei due mandati: la Costituente del Movimento ha dato indicazione di togliere il vincolo, ma ancora devono essere definiti i criteri, che dovranno passare la vaglio del voto degli iscritti. Sembrava che la chiusura dell’iter potesse arrivare prima di Pasqua. I tempi, comunque, dovrebbero essere maturi. Resta in ogni caso da capire quali saranno le indicazioni del governatore uscente Vincenzo De Luca. Partita aperta in Veneto, dove il centrosinistra è alla ricerca del candidato, che potrebbe essere sostenuto sia da Pd sia dal M5s.

Dinamica a sé in Valle D’Aosta, dove il voto è sostanzialmente proporzionale: spetta poi agli eletti formare una maggioranza in consiglio regionale e individuare il governatore. La prima prova generale delle opposizioni, però, ci sarà fra un mese e mezzo, con i referendum sul lavoro promossi dalla Cgil, che sostanzialmente aboliscono il jobs act, e quello per rendere più facile l’acquisizione della cittadinanza promosso da un comitato con Più Europa. Pd e Avs hanno dato indicazione per cinque sì. Quattro sì per il M5s, che lascerà libertà di coscienza sulla cittadinanza. Per una volta, indicazioni analoghe da Azione e Iv: “sì” solo alla cittadinanza, “no” agli altri.

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‘Commemorazione di Gramsci, bandiere rosse vietate’

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“Bandiere rosse vietate alla commemorazione di Antonio Gramsci”. Lo sostiene Rifondazione comunista, in una nota firmata dal co-segretario della federazione romana del partito, Giovanni Barbera. Lo stop sarebbe stato dato dalla direzione del Cimitero Acattolico di Roma, dove riposano le spoglie di Gramsci.

“Durante la commemorazione dell’anniversario della morte di Antonio Gramsci – scrive Barbera – si è consumato un atto di censura senza precedenti. Per la prima volta, in decenni di celebrazioni, è stato impedito l’ingresso delle nostre bandiere rosse, che da sempre, nel rispetto della memoria storica, hanno accompagnato il ricordo di Gramsci”. La spiegazione del divieto, continua Barbera, offerta dalla direttrice del cimitero è stata che “il colore rosso sarebbe divisivo”.

Arrivando così a vietare “perfino l’uso di un semplice drappo rosso, senza scritte né simboli”. Alla cerimonia – hanno raccontato altri presenti – ha partecipato almeno un centinaio di persone. Fra loro molti esponenti politici, con delegazioni anche del Pd (composta da Cecilia D’Elia, Michele Fina, Roberto Morassut, Andrea Casu ed Eugenio Marino) e di Sinistra Italiana (guidata da Marilena Grassadonia). Una commemorazione “partecipata, più degli anni passati, e tranquilla – è stato il racconto – che si è chiusa con l’esecuzione di un brano musicale”.

Fra i rappresentanti delle altre forze politiche c’è chi ha confermato che è stato chiesto di non portare bandiere di partito nel cimitero, senza però che questo abbia sollevato particolari polemiche. Qualcuno aveva la bandiera della pace, mentre simboli e nomi delle forze politiche erano comunque presenti sugli omaggi lasciati sulla tomba di Gramsci: mazzi di fiori e corone. Dura, invece, Rifondazione comunista: “Negare la presenza dei nostri simboli alla commemorazione di Antonio Gramsci (uno dei più grandi pensatori del Novecento, fondatore del Partito Comunista d’Italia e martire del fascismo) nel giorno della sua morte, è un atto di ignominia che merita la più dura condanna”.

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