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Economia

Mediobanca, in assemblea prevale la lista del cda

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Prevale la lista del cda uscente all’assemblea di Mediobanca, chiamata a nominare il nuovo consiglio per il prossimo triennio. Il distacco su quella presentata da Delfin è deciso. I candidati proposti dall’attuale board vengono votati dal 40,4% del capitale totale contro poco più del 32% schierato con la cassaforte degli eredi di Leonardo Del Vecchio. La terza lista, presentata da Assogestioni, raccoglie invece il 3,5%. Al termine di cinque ore di lavori in un’assemblea che ha registrato un’affluenza record – 2.701 i soci presenti, in proprio o per delega, pari al 76,8% del capitale – la lista vincitrice ottiene nel nuovo cda di 15 componenti 12 suoi rappresentanti (4 i nomi nuovi), guidati dal presidente Renato Pagliaro e dall’amministratore delegato Alberto Nagel. Due posti, per Sandro Panizza e Sabrina Pucci, vanno alla lista di cinque nomi di Delfin e uno ad Assogestioni, che vede la riconferma di Angela Gamba. Per la holding guidata da Francesco Milleri, che ha ottenuto anche il presidente del collegio sindacale come prevede lo statuto per la lista dei sindaci meno votata (ha prevalso infatti quella di Assogestioni assicurandosi due sindaci) si tratta comunque di un risultato importante.

“Si apre un nuovo capitolo nella storia della governance di Mediobanca. Il consiglio di amministrazione potrà contare sul pieno sostegno di risorse di alto profilo, per la prima volta indipendenti, e in grado di offrire il proprio contributo al rinnovamento della banca, supportandola nella realizzazione degli obiettivi previsti nel piano strategico”, hanno fatto sapere fonti di Delfin. Ancora più soddisfatto Nagel. “Ci aspettavamo un supporto forte, ma questo è andato al di là delle nostre migliori previsioni, il che vuol dire c’è stato un apprezzamento generale sia per la nostra proposta di governance sia per quella industriale”. “Forti di questo sostegno continueremo sulla nostra strada, essendo sempre aperti al dialogo e alle proposte che vengono da tutti gli azionisti e, in particolare, dagli azionisti più importanti” ha aggiunto ribadendo quanto anticipato durante l’assemblea: “Siamo ben contenti che Delfin partecipi al nostro cda e dia un contributo. Le voci critiche per noi sono salutari e utili”. I grandi soci della banca si sono presentati in assemblea con le quote già note. Delfin al 19,74% e il gruppo Caltagirone al 9,98% hanno ottenuto l’appoggio ai loro candidati per il nuovo cda da un altro 2% del capitale sociale, compreso l’1,2% di Enpam. Non abbastanza rispetto ai voti raccolti dalla lista del consiglio per cui si sono espressi a favore il 10,8% del patto di consultazione capitanato da Mediolanum (3,43%), l’altro azionista con una quota superiore al 3% vale a dire BlackRock (4,15%) ma soprattutto gli investitori istituzionali che hanno seguito in massa le indicazioni dei proxy advisor.

Poche le astensioni pari a meno dell’1% del capitale sociale. Nel rispondere alle domande dei piccoli soci Nagel si è detto convinto che “se viene fatta bene la lista del consiglio tutela di più gli azionisti” ma per evitare il rischio di “autoreferenzialità e di autoperpetuazione del management” ha aperto alla possibilità, contemplata nel Ddl Capitali, “di votare ogni singolo nome” piuttosto che la lista in blocco come avviene oggi. Quanto alla quota in Generali l’ad di Mediobanca ha ribadito che “non è in vendita in mancanza di alternative migliori”. L’assemblea si è espressa in modo plebiscitario su altri punti all’ordine del giorno come il bilancio 2022-2023 e il dividendo mentre il fronte Delfin-Caltagirone non ha votato a favore dei compensi e delle politiche di remunerazione e incentivazione.

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Tim crolla in Borsa,matrimonio con Poste non ha appeal

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Tim e Poste promessi sposi, Cdp le trasferirà la sua quota e poi potrebbe trasformarsi in un’alleanza industriale che l’ad Pietro Labriola peraltro non disdegnerebbe. Davanti al fatto compiuto, che qualcuno legge come una mossa del Governo per sbarrare la strada ai fondi Cvc o ai francesi di Iliad, la reazione della Borsa è la fuga. Tim aveva appena riconquistato la soglia dei 30 centesimi e la Borsa riversa una doccia fredda sul titolo, che arretra a 28 centesimi perdendo il 7,59% mentre qualcuno legge l’ipotesi di un ingresso di Poste (-0,5% a 14,7 euro) nel capitale come una mossa del governo per trovare un’alternativa nazionale agli investitori internazionali che si stavano muovendo, da Cvc a Iliad. “L’operazione in sé non modifica gli assetti, ma notiamo i commenti del ministro Giorgetti in parlamento che sembrano segnalare una posizione piuttosto fredda del governo sulle ipotesi circolate in queste settimane di progetti prospettati da CVC/Iliad” commentano gli analisti di Equita.

Il 9,8% di Tim verrebbe trasferito a Poste (in cambio la Cassa riceverebbe il 3,8% di Nexi e un conguaglio cash), di cui peraltro Cdp è il primo azionista con il 35% e il Mef il secondo con il 29,26 per cento. Il dossier, secondo quanto si apprende, sarà sul tavolo dei rispettivi cda sabato. L’ad di Tim Pietro Labriola ha spiegato, a margine del Capital Market Day, che entrambi sarebbero dei partner con una valenza industriale e in particolare la collaborazione con Poste potrebbe partire da un accordo commerciale con accordi distributivi di prodotti sulla rete di Poste per poi diventare strategico (con il consolidamento di Tim con Poste Mobile). Nell’immediato però toglie l’appeal speculativo che si era risvegliato nelle ultime sedute sul titolo. I sindacati sono preoccupati: “Assistiamo ad un disastro dietro l’altro in un settore che sprofonda in una crisi sempre più grave” dichiara la Cgil e il timore è di “un ulteriore spezzettamento”.

L’ad di Tim, Pietro Labriola (foto Imagoeconomica in evidenza) ha chiarito di non aver avuto ancora nessun contatto ne con Iliad ne con Poste ma, secondo Bloomberg, avrebbe già un adivsor (UniCredit) che lo dovrebbe aiutare valutare le opzioni a disposizione dei pretendenti. “In Italia, dopo Fastweb-Vodafone, si esploreranno altre combinazioni – riflettono gli analisti di Mediobanca – Dopo anni di forte concorrenza, lo spazio europeo delle Tlc sta lottando per finanziare gli investimenti in infrastrutture digitali e per remunerare gli azionisti. Il consolidamento non può essere rimandato: la nuova Commissione UE è destinata ad adottare una posizione più proattiva, sostenendo l’agenda di Draghi, aumentando gli impegni per l’innovazione e facilitando le autorizzazioni alle fusioni. Riteniamo che l’accresciuta rilevanza dell’IA sia un campanello d’allarme per i responsabili politici dell’UE, che riflette la necessità di attuare un consolidamento del settore per creare conglomerati in grado di competere su scala globale”.

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Da lunedì al via il Btp Più, tasso minimo al 2,80%

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Arriva al debutto il Btp Più, il nuovo titolo di Stato dedicato ai risparmiatori di cui il Mef ha fissato i tassi minimi garantiti: 2,80% nei primi quattro anni, 3,60% nel successivo quadriennio per chi aderisce al collocamento che parte lunedì 17 febbraio per concludersi alle 13 di venerdì 21. I tassi cedolari definitivi, che potranno essere confermati o rivisti al rialzo rispetto ai minimi in base alle condizioni di mercato del giorno di chiusura dell’emissione, saranno annunciati al termine del collocamento. I valori fissati oggi sono “perfettamente in linea con i tassi espressi dal mercato per pari scadenza”, dice il direttore generale del Mercato dei titoli di Stato (Mts), Ciro Pietroluongo. “Considerata un’inflazione intorno all’1,7% – dice Pietroluongo -, mi sembra che siano tassi abbastanza premianti. Il fatto di aver premiato ulteriormente le scadenze è un segnale ulteriore di fiducia”. Difficile anticipare la raccolta che il Mef riuscirà a realizzare, in un mercato europeo che ultimamente ha visto un rialzo dei tassi di mercato trainato dai treasuries Usa nonostante la Bce stia progressivamente tagliando. “Credo – dice Pietroluongo – che i risultati saranno comunque buoni e li immagino in linea con i precedenti, ma ogni emissione ha una vita a sé”.

Il Btp “ipotizza una certa stabilità dei tassi”, spiega poi Pietroluongo. Fonti di mercato indicano che un fattore d’incertezza, come del resto per tutte le emissioni non indicizzate ai prezzi, potrebbe essere il rischio-inflazione in uno scenario geopolitico sempre più complesso per i dazi e le tensioni commerciali globale. Tuttavia il nuovo collocamento retail, che fa parte della famiglia del Btp Valore condividendone le cedole crescenti dopo quattro anni (‘step up’) che incentivano a mantenerli in portafoglio fino a scadenza, introduce una ‘finestra d’uscita’ per chi sottoscrive fin dal collocamento. Si tratta dell’opzione di rimborso anticipato alla pari (al valore nominale del titolo), alla fine del quarto anno, dell’intero capitale investito o anche solo di una sua quota.

L’opzione, esercitabile tra il 29 gennaio e il 16 febbraio 2029, vuole incentivare i risparmiatori che dovessero essere scoraggiati dalla durata estesa a otto anni del Btp Più, scelta nella logica complessiva di allungare la durata media del debito italiano. Come per tutti i titoli di Stato, poi, c’è la tassazione agevolata al 12,5%, l’esenzione dalle imposte di successione e l’esclusione dal calcolo Isee fino ad un investimento massimo di 50.000 euro complessivi. Incentivi con cui il Mef punta a diversificare le fonti di finanziamento del debito italiano – che a dicembre in base ai dati di Bankitalia è ridisceso sotto i 3.000 miliardi a quota 2.965,7 miliardi – consolidando il portafoglio retail. Perché la Bce, compratore di peso nel passato decennio, da dicembre non c’è più e anzi sta gradualmente dismettendo il suo portafoglio titoli: a fine 2024 la quota del debito detenuto dalla Banca d’Italia, anche se ancora ragguardevole, era diminuita al 21,7% del totale dal 24,2% del 2023.

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Bankitalia, il debito a dicembre sotto i 3.000 miliardi

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Al 31 dicembre del 2024 il debito pubblico era pari a 2.965,7 miliardi, in aumento di 97,3 miliardi rispetto a un anno prima ma in flessione dal record segnato a novembre a 3.005,2 miliardi. Lo rende noto Bankitalia nella pubblicazione su fabbisogno e debito. L’aumento su anno è parzialmente compensato dalla diminuzione di 12,3 miliardi delle disponibilità liquide del Tesoro a 37,6 miliardi. Tale voce, a novembre, era pari a 63,9 miliardi. A far salire il debito rispetto all’anno precedente è un fabbisogno di 105,7 miliardi, oltre a scarti, premi all’emissione e al rimborso, rivalutazione dei titoli indicizzati all’inflazione e variazione del cambio (3,9 miliardi).

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