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Cronache

Matteo Messina Denaro, il padrino di mafia fantasma da 25 anni cui lo Stato ha sequestrato beni per 5 milardi di euro pronto ad arrendersi

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Settimino Mineo era un anziano saggio che doveva rimettere assieme le famiglie mafiose palermitane, provare restituire un ruolo centrale alla mafia di città dopo decenni di strapotere sanguinario corleonese. È questo quello che ha sostenuto Federico Cafiero de Raho in conferenza stampa ai giornalisti che l’hanno ribattezzato sbrigativamente padrino della cupola mafiosa. Gli inquirenti sanno bene che tolto un Mineo se ne mette un altro. Ma il padrino è un altro. Il padrino non lo scelgono i magistrati. Non lo nominano a tavolino le forze dell’ordine che eseguono arresti. Il padrino ha un altro carisma. È uno che si fa beffe dello Stato da 25 anni. U’ Padrino è Matteo Messina Denaro, un cognome che è anche un destino. Era lui il capo mafia più importante quando Totò Riina schiattava in cella. Lo era con Bernardo Provenzano latitante, poi acciuffato e sepolto anche lui in carcere. È sempre lui il regista del malaffare mafioso che conta. Castelvetrano, nell’economia mafiosa, conta quanto Palermo. In provincia di Trapani nulla si muove, niente si fa se Matteo non lo sa.

Ci sono decine di società nascoste in reticoli di matrioske con controllanti e controllate, centinaia di uomini e donne che prestano il volto o la scatola giuridica allo strapotere economico di Matteo Messina Denaro. Tutto è confezionato e gestito da professionisti preparati in modo che direttamente o indirettamente sia riconducibile al padrino fantasma.

Un padrino che riesce a digerire ogni sconfitta e a ripartire sempre e solo con un pallino: affari. Solo affari. Soldi. Perché Denaro chiama denaro. E Messina Denaro vive di partite Iva, di controllo di aziende, di conti correnti, polizze assicurative, investimenti immobiliari, azioni, finanza.

Negli ultimi anni, a leggere i dati dell’Agenzia nazionale dei beni confiscati, solo a mafiosi ritenuti a vario titolo legati a Matteo Messina Denaro sono stati sottratti beni per cinque miliardi di euro. Sono beni in amministrazione giudiziaria. L’ultimo miliardo e passa di euro è quello che lo Stato ha tolto al defunto Carmelo Patti, giovane emigrato da Castelvetrano con le pezze al culo, tornato dopo anni dalla provincia di Pavia ricco sfondato a casa.

Si fa una narrazione intorno a questa ricchezza da epopea americana. Il terremoto del 23 novembre 1980 in Irpinia distrugge a Benevento gli impianti di una industria che faceva cablaggi alla Fiat. Patti rileva le commesse, mantiene la produzione al sud  per godere delle esenzioni fiscali, si guadagna la stima degli Agnelli,  il gruppo torinese gli chiede di assumere 400 lavoratori ausiliari della catena di montaggio di Pomigliano d’Arco. Lui fa soldi a palate, poi, la fortuna si schianta su una Fiat Marea, un modello che non è entrato nella storia dei successi automobilistici e che rovinò Patti. Che però era uno battagliero. E si narra sempre della sua capacità di reazione davanti alle difficoltà. Patti va in Sudamerica, fonda Cablelettra do Brasil dal nulla, fa  la scalata al colosso del turismo Valtur e poi va sotto economicamente prima di morire e conoscere anche l’onta delle accuse di mafiosità. Ma prim’ancora deve difendersi per quella galassia di sue aziende che avrebbero fabbricato fatture false, acquisti gonfiati o inesistenti, bilanci taroccati,  Iva evasa, fondi in nero. Accuse dalle quali Patti è stato sempre assolto. Fino a quando non entra in scena la mafia e allora Patti, considerato  organico alla famiglia mafiosa del suo paese, fatica non poco per uscirne immune. Grazie però a un’archiviazione.

A Castelvetrano, però, i Messina Denaro, il padre mastro Ciccio e il figlio Matteo, sono come la gramigna: infestanti. Patti non si salva dal contagio. Fioccano le dichiarazioni dei pentiti. Dell’imprenditore Angelo Siino, ministro dei Lavori pubblici di Cosa nostra, disse che “mastro Ciccio Messina Denaro lo teneva per le mani tanto che Bernardo Provenzano ci scherzava su, dicendogli che lui non aveva problemi a passare le vacanze alla Valtur”.

Matteo Messina Denaro. Com’era quando sparì nel 1993 e come sarebbe oggi invecchiando

E allora si torna a guardare alle vecchie indagini, quelle archiviate per mafia e per le false fatturazioni per le quali è arrivata un’assoluzione. Si scoprono sospetti passaggi di denaro fra personaggi poco raccomandabili. Le maglie delle misure di prevenzione sono strette che più strette non si può. I contatti con personaggi “organici, contigui o in qualche modo vicini alla mafia” rendono Patti, come tanti altri, un personaggio socialmente pericoloso. Specie quando di mezzo ci sono i parenti acquisiti di Matteo Messina Denaro.

Uno dei personaggi chiave dell’indagine patrimoniale è Michele Alagna. Lui e Patti si erano conosciuti per caso dal barbiere nel 1991. Cinque anni dopo, nel 1996, la sorella di Michele, Franca Alagna, avrebbe reso Matteo Messina Denaro padre di una bambina, Lorenza Alagna. Nata il 17 dicembre 1995, due anni dopo l’inizio della latitanza di Matteo Messina Denaro, Lorenza e la madre si trasferirono a casa della famiglia Messina Denaro. Questo per far capire che c’è una certa “familiarità” tra Messina Denaro e Michele Alagna, insegnante divenuto commercialista. Michele Alagna diventa  l’alter ego di Patti fino a condividerne anche le noie giudiziarie per una frode fiscale finita in assoluzione.

 

Ogniqualvolta  c’è un arresto importante, un sequestro viene sempre presentato come una delle tappe di avvicinamento all’arresto del Padrino Matteo Messina Denaro. Lo si scrive sui giornali sin dal 1993, quando la polizia andò a bussare alla porta di casa di Messina Denaro  per notificargli un ordine di arresto per le stragi di Roma e Firenze e non lo trovarono.

Quel nome però consente di tenere in vita un lavoro investigativo in quel pezzo di Sicilia dove senza il capomafia di Castelvetrano mancherebbe l’appeal necessario per finire in prima pagina sui media nazionali o nei telegiornali delle 20.
Senza il boss di Castelvetrano le notizie restano confinate alle cronache locali. Come accadeva con i Casalesi.

Negli ultimi anni sono state sequestrate e confiscate case, alberghi,  imprese edili, fattorie, oleifici, cliniche private, aziende vitivinicole, impianti di energie alternative, cooperative quasi sempre  riconducibili a Messina Denaro, o comunque a suoi vecchi compari. Ma la verità è che l’ombra del latitante ha fatto comodo a una generazione di boss per fare affari e soldi quasi in tranquillità. In ogni caso Messina Denaro sembra davvero un fantasma. Son stati arrestati sorelle, cognati, cugini di primo, secondo e terzo grado del latitante, ma di lui neppure l’odore. Chi è arrivato giusto ad un passo dalla cattura di Messina Denaro è Giuseppe Linares, oggi numero tre della Dia, Direzione investigativa antimafia, all’epoca in cui era capo della Squadra Mobile di Trapani.  Linares aveva  scoperto il sistema postale di comunicazione privata del latitante. Aveva capito come funzionava la circolazione dei “pizzini”. Era riuscito a ricostruire anche una sorta di organigramma di persone considerate riferimenti strategici di Matteo Messina Denaro: “i cognati Filippo Guttadauro – fratello di Giuseppe il medico capo mafia di Brancaccio e amico di Cuffaro – e Vincenzo Panicola, e in ultimo il fratello, Salvatore Messina Denaro”.  Nel 2006 in piene indagini che facevano terra bruciata attorno a Messina Denaro, nel covo dove si nascondeva Bernardo Provenzano vengono trovati dei “pizzini” di Alessio, l’alias usato dal latitante trapanese, in questi a proposito di appalti da farsi e di mediazioni con la politica. Si scoprirà poi che c’era persino un infiltrato dei servizi in Cosa Nostra. Una persona usata dal Sisde per arrivare a Provenzano e Messina Denaro senza che la Dda di Palermo sapesse nulla.

Di Matteo Messina Denaro si è detto tutto, il contrario di tutto e anche di più. Cose vere e fandonie, verità e depistaggi. Persino copertine di settimanali con tanto di interviste a chi diceva che gli aveva parlato. Indagini avviate e poi  nulla. Comunque sia c’è chi sostiene di aver mangiato assieme a lui nello stesso ristorante, chi ci ha parlato nel corso di un summit in un paesino trapanese, chi lo ha incontrato a caccia, chi sa con certezza che ha fatto un intervento di chirurgia plastica al volto, chi conosce la sua amante austriaca che lavorava all’albergo di Selinunte dove lui si intratteneva in vacanza, chi sostiene di sapere dov’ora. E c’è chi oggi sa con certezza che Matteo Messina Denaro sta male, è ricoverato in una clinica o meglio è a Dubai dove fa vita da nababbo, con nome anche arabo e con la sua pelle scura da siculo occidentale irriconoscibile.
Chiunque sta cercando Matteo Messina Denaro, prima di cominciare ha dovuto scremare piste improbabili, notizie verosimili e depistaggi. L’impressione è che davvero il boss sia vicino. E che la sua distanza da Castelvetrano sia proporzionale alla sua voglia di essere stanco di scappare. Forse vuole fermarsi. Ma ancora non ha capito come farsi trovare, da chi farsi trovare e se c’è una strada per non finire con Totò Riina. Morto in cella come un cane. Chiuso in gabbia al 41 bis.

Avevano ricostituito la Cupola di Cosa Nostra, 46 arresti a Palermo: il posto di Riina a Settimino Mineo, boss di 80 anni. E ora tocca a Matteo Messina Denaro

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Cronache

Muore a 38 anni dopo intervento estetico in una clinica privata di Caserta

Sabrina Nardella, 38 anni di Gaeta, è morta durante un intervento estetico alla clinica Iatropolis di Caserta. Disposta l’autopsia per chiarire le cause del decesso.

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Sarà l’autopsia a stabilire con precisione che cosa ha provocato la morte di Sabrina Nardella (nella foto), 38 anni, madre di due figli piccoli, deceduta giovedì scorso nella clinica privata Iatropolis di Caserta durante un intervento di chirurgia estetica. La donna, residente a Gaeta, si era recata in Campania per sottoporsi a quello che le era stato prospettato come un intervento di routine, in anestesia locale e in day hospital.

Il malore improvviso e le indagini in corso

Durante l’operazione, però, Sabrina ha avuto un improvviso malore che l’ha portata a perdere conoscenza. I medici hanno tentato la rianimazione, ma ogni tentativo è stato vano. I vertici della clinica hanno subito avvertito i carabinieri, che su disposizione della Procura di Santa Maria Capua Vetere hanno sequestrato la cartella clinica e identificato l’équipe medica. I componenti saranno presto iscritti nel registro degli indagati in vista dell’autopsia, che servirà a chiarire cause e responsabilità.

Una comunità sconvolta dal dolore

La città di Gaeta è sotto shock. Il sindaco Cristian Leccese ha ricordato Sabrina con parole di grande commozione: «Era una persona dolce, un’ottima madre, conosciuta e stimata da tutti. La sua improvvisa scomparsa ha lasciato un profondo vuoto nella nostra comunità».

I precedenti inquietanti della clinica

La clinica Iatropolis non è nuova a casi simili. Un anno fa, la pianista Annabella Benincasa è morta dopo 14 anni di stato vegetativo, conseguenza di uno shock anafilattico subito nel 2010 proprio in questa struttura. In quell’occasione, i medici furono condannati per lesioni gravissime. Altri episodi di reazioni avverse all’anestesia si sono verificati negli anni, alimentando polemiche sulla sicurezza degli interventi praticati nella clinica.

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Cadavere nel lago, è un 51enne morto forse per un malore

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E’ un 51enne di Calvizzano (Napoli) l’uomo trovato senza vita nel lago di Lucrino a Pozzuoli. La salma è stata sequestrata per esami autoptici. Tra le ipotesi più accreditate c’è quella di un malore.

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Verso Conclave tra suffragio e diplomazia, domani la data

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Secondo il testo liturgico che definisce le regole e le modalità di cosa avviene dopo la morte di un Papa – l’Ordo Exsequiarum Romani Pontificis -, il Conclave inizia tra il 15/o e il 20/o giorno dal decesso, quindi tra il 5 e il 10 maggio prossimi. Oppure tra il 6 e l’11 maggio se si conta dal giorno successivo alla morte. Anche questo ‘busillis’ sarà risolto domattina, quando la quinta congregazione generale dei cardinali stabilirà la data definitiva. Il calendario della settimana prevede congregazioni la mattina alle 9.00 e, nel pomeriggio alle 17.00, le messe dei ‘novendiali’ nella Basilica vaticana: il ciclo dei nove giorni di suffragio, iniziato ieri con la messa esequiale presieduta in Piazza San Pietro dal cardinale decano Giovanni Battista Re, si esaurirà domenica 4 maggio.

Dopo di che il possibile ingresso in Sistina e l'”extra omnes” che apre il Conclave. I 135 ‘elettori’ (134 considerando il forfait per motivi di salute del cardinale di Valencia Antonio Canizares Llovera) stanno convergendo a Roma. Molti si conosceranno direttamente nelle congregazioni, dove, in tema di strategie che porteranno all’elezione del nuovo Papa, conterà molto anche il peso di non-elettori, cioè i cardinali ‘over-80’, che mantengono la loro capacità di influenza e di orientare consensi. Una sorta di ‘grandi elettori’, insomma, anche se poi nel chiuso della Sistina ognuno risponde a sé stesso e, secondo quello che è il metro cattolico, allo Spirito Santo. Tra questi ‘grandi vecchi’ c’è sicuramente il 91/enne decano Re, mentre non si sa tra gli italiani quanto potranno esercitare un ruolo di indirizzo ex presidenti Cei come Camillo Ruini e Angelo Bagnasco.

Fra gli stranieri con capacità di spostare voti, e non presenti in Conclave, ci sono il cardinale di Boston Sean Patrick O’Malley, il più attivo promotore della lotta agli abusi sessuali, quello di Vienna Christoph Schoenborn, fine teologo ex allievo di Joseph Ratzinger e fiduciario di papa Bergoglio in ruoli-guida di vari Sinodi come quelli sulla famiglia, o l’ex prefetto dei vescovi, il canadese Marc Ouellet, influente anche in America Latina, da ex presidente della Pontificia Commissione competente. Intanto oggi, la scena tra i ‘papabili’ è stata tutta per Pietro Parolin, già segretario di Stato, che ha presieduto in Piazza San Pietro la seconda messa dei ‘novendiali’, davanti ai 200 mila partecipanti al Giubileo degli adolescenti.

Da stretto collaboratore di papa Bergoglio, la sobrietà, il piglio sicuro ma anche affabile e umano con cui ha portato avanti la celebrazione ha ricordato quelli dell’allora prefetto per la Dottrina della fede e decano del Collegio cardinalizio Joseph Ratzinger nell’officiare venti anni fa i funerali di Giovanni Paolo II, uscendone come l’unico vero candidato alla successione. Nella messa di oggi, in cui ha assimilato la tristezza, il turbamento e lo smarrimento per la morte di Francesco a quelli degli “apostoli addolorati per la morte di Gesù”, Parolin è come se avesse esposto sinteticamente una sorta di suo ‘programma’, sulla scia del grande pontificato appena concluso. Ha spiegato che l'”eredità” del Pontefice “dobbiamo accoglierla e farla diventare vita vissuta, aprendoci alla misericordia di Dio e diventando anche noi misericordiosi gli uni verso gli altri”.

“Solo la misericordia guarisce e crea un mondo nuovo, spegnendo i fuochi della diffidenza, dell’odio e della violenza: questo è il grande insegnamento di Papa Francesco”, ha sottolineato, a proposito di un Pontefice che alla misericordia dedicò anche un Anno Santo straordinario. Papa Francesco “ci ha ricordato che non può esserci pace senza il riconoscimento dell’altro, senza l’attenzione a chi è più debole e, soprattutto, non può esserci mai la pace se non impariamo a perdonarci reciprocamente, usando tra di noi la stessa misericordia che Dio ha verso la nostra vita”. Una misericordia che è guida anche nell’azione diplomatica della Santa Sede, come si è visto ancora ieri nell’incontro in Basilica tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky, in una foto che ha fatto il giro del mondo ed è rimasta l’emblema della giornata: non pochi l’hanno definita “l’ultimo miracolo di papa Francesco”.

Zelensky ieri ha anche incontrato proprio Parolin, capo della diplomazia d’Otretevere, ringraziando poi su X “per il sostegno al diritto dell’Ucraina all’autodifesa e al principio secondo cui le condizioni di pace non possono essere imposte al Paese vittima”. E oggi, per l’incontro in Basilica, l’ambasciatore ucraino Andrii Yurash ha riconosciuto con l’ANSA “il grande sostegno della Santa Sede”.

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