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Politica

Marina Valensise: «Io, donna di destra, cresciuta tra libri e drammi antichi. La cultura non ha colore politico»

Nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera, la direttrice dell’Inda racconta la sua vita tra Roma, Parigi e Siracusa: l’infanzia nelle scuole delle suore, l’inizio con Ferrara al Foglio, l’impegno per la cultura italiana nel mondo.

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«Sono nata a Roma, da una famiglia di origine calabrese. Negli anni Settanta non era facile per una ragazza andare in una scuola pubblica, tra fascisti e comunisti. Così andai dalle suore del Sacro Cuore». Inizia così il racconto di Marina Valensise (foto Imagoeconomica in evidenza), 68 anni, intellettuale raffinata e oggi direttrice dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico di Siracusa, in una lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera.

Tre fratelli – Michele, ambasciatore; Herbert, ginecologo primario; Paolo, avvocato e docente – e un padre, Raffaele Valensise, tra i fondatori del Movimento Sociale Italiano, deputato e poi membro del Csm. Una famiglia benestante e profondamente di destra, in un mondo culturale storicamente segnato da egemonie opposte. Ma Marina ha costruito un percorso libero, intellettualmente autonomo, spiazzante.

La scialuppa corsara del Foglio

«Giuliano Ferrara l’ho conosciuto nel 1983, girava in Vespa con un cane lupo che lo seguiva. Era affabile, gentile, sapevamo che avrebbe fatto qualcosa di straordinario». Quando Ferrara fondò Il Foglio nel 1996, la chiamò: «Mi disse, “sto fondando un giornale di una sola pagina, vieni anche tu”». In redazione, un gruppo variegato: ex comunisti, ciellini, dandy, con un’unica bussola, la libertà di pensiero. Marina era l’unica donna. «Scrivevo di cultura. Ferrara disse: “Le recensioni vanno scritte così, dirette, immediate”».

«La cultura non appartiene né alla destra né alla sinistra»

«Un giornalista di Lotta Continua mi disse che il giornalismo era di sinistra, quindi non era per me. Ma se poi lo è stato, è grazie alla latitudine mentale di Ferrara». Marina rivendica la sua indipendenza: «La cultura non ha colore. È uno spazio di libertà. Indro Montanelli ci disse: “È il giornale che avrei voluto fare e non ci sono riuscito”».

Dalle suore del Sacro Cuore all’Istituto di Cultura di Parigi

«Papà, per proteggermi dal clima violento, mi mandò dalle suore. Lì nacque il mio amore per la cultura umanistica. Studiavo, non si faceva politica. Le suore conoscevano il greco alla perfezione». Dopo la laurea con Giovanni Macchia, approdò in Francia con una borsa di studio. Nel 2012 fu nominata direttrice dell’Istituto Italiano di Cultura a Parigi dal governo Monti: «Trovai una situazione raccapricciante. Resi quel luogo vivo, organizzai residenze per artisti, tra cui Beatrice Rana».

«La cultura è come la marmellata, va spalmata»

Valensise ha anche pubblicato un libro, La cultura è come la marmellata: «Era un motto del ’68: meno marmellata hai, più la mostri. Ma noi in Italia abbiamo così tanta cultura da non riuscire a tirarla fuori dai vasetti. Siamo una superpotenza culturale inconsapevole». A Siracusa, guida l’Inda con rigore e innovazione: «Faccio nuove traduzioni dei classici greci affidandole a grecisti di fama. Eschilo, Sofocle ed Euripide parlano ancora a noi. Abbiamo raggiunto 5 milioni di ricavi propri, il 70% del bilancio».

Una donna del Sud che ha fatto il giro del mondo

Non si è mai sposata. «Sono calabrese, mi sono presa piccole soddisfazioni etniche», sorride. «Ho tre fratelli, cinque nipoti, tre pronipoti». La sua visione? «La cultura greca è equilibrio, misura e libertà. Senza, resta solo violenza e onnipotenza».

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Andrea Vianello lascia la Rai dopo 35 anni: “Una magnifica cavalcata, grazie a tutti”

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Dopo 35 anni di giornalismo, programmi, dirette e incarichi di vertice, Andrea Vianello (foto Imagoeconomica in evidenza) ha annunciato il suo addio alla Rai. L’annuncio è arrivato con un messaggio pubblicato su X, nel quale il giornalista ha comunicato di aver lasciato l’azienda con un «accordo consensuale».

Una lunga carriera tra radio, tv e direzioni

Nato a Roma il 25 aprile 1961, Vianello entra in Rai nel 1990 tramite concorso, dopo anni di collaborazione con quotidiani e riviste. Inizia al Gr1 con Livio Zanetti, poi al Giornale Radio Unificato, raccontando da inviato alcuni dei momenti più drammatici della cronaca italiana: dalle stragi di Capaci e via D’Amelio al caso del piccolo Faruk Kassam.

Nel 1998 approda a Radio anch’io, e successivamente a Tele anch’io su Rai2. Tra il 2001 e il 2003 è autore e conduttore di Enigma su Rai3, per poi guidare Mi manda Rai3 fino al 2010. Dopo l’esperienza ad Agorà, nel 2012 diventa direttore di Rai3.

Nel 2020 pubblica “Ogni parola che sapevo”, un racconto toccante della sua battaglia contro un’ischemia cerebrale che gli aveva tolto temporaneamente la parola, poi recuperata con grande determinazione.

Negli ultimi anni ha diretto Rai News 24, Rai Radio 1, Radio1 Sport, il Giornale Radio Rai e Rai Gr Parlamento. Nel 2023 viene nominato direttore generale di San Marino RTV, ma si dimette dopo dieci mesi. Di recente si parlava di un suo possibile approdo alla guida di Radio Tre.

Le parole d’addio: “Sempre con me il senso del servizio pubblico”

«Dopo 35 anni di vita, notizie, dirette, programmi, emozioni e esperienze incredibili, ho deciso di lasciare la ‘mia Rai’», scrive Vianello. «Ringrazio amici e colleghi, è stato un onore e una magnifica cavalcata. Porterò sempre con me ovunque vada il senso del servizio pubblico».

Il Cdr del Tg3: “Un altro addio che pesa”

Dura la reazione del Comitato di redazione del Tg3: «Anche Andrea Vianello è stato messo nelle condizioni di dover lasciare la Rai», scrivono i rappresentanti sindacali, parlando apertamente di “motivi politici”. «È l’ennesimo collega di grande livello messo ai margini in un progressivo svuotamento di identità e professionalità». E concludono con un appello: «Auspichiamo che questa emorragia si arresti, e che la Rai possa recuperare la sua centralità informativa e culturale».

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Politica

L’ex ministro De Lorenzo torna a percepire il vitalizio: sono stato un perseguitato politico

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Francesco De Lorenzo (foto Imagoeconomica in evidenza), 87 anni, ex ministro della Sanità della Prima Repubblica, torna a percepire il vitalizio parlamentare grazie alla riabilitazione concessa dal Tribunale di Sorveglianza di Roma. Una cifra importante tra arretrati e pensione, che giunge 31 anni dopo l’arresto per Tangentopoli e una condanna definitiva a 5 anni per associazione a delinquere e corruzione.

«Ho pagato più di tutti, ho subito una persecuzione»

«Sono stato il capro espiatorio perfetto» ha dichiarato De Lorenzo al Corriere del Mezzogiorno, rivendicando la correttezza del proprio operato. Secondo l’ex ministro, i magistrati dell’epoca avrebbero voluto colpire un simbolo e lui si prestava bene al ruolo, specie dopo la riforma della sanità che vietava il doppio lavoro ai medici. «Non ho mai preso una lira per me – ha aggiunto – la Cassazione ha riconosciuto che i soldi finivano interamente al Partito Liberale».

«Vitalizio? È un diritto, come stabilito dalla Boldrini»

De Lorenzo ha ribadito che la richiesta del vitalizio è legittima: «La delibera del 2015 firmata da Laura Boldrini prevede la restituzione in caso di riabilitazione. Io l’ho ottenuta, come altri prima di me». A pesare sulla sua memoria, anche la condanna della Corte dei Conti per danno d’immagine: «Ho dovuto vendere la mia casa di Napoli per affrontare le conseguenze economiche di quella sentenza, pur non avendo causato alcun danno erariale».

Tangentopoli e il crollo della Prima Repubblica

Arrestato a Napoli nel 1994, De Lorenzo fu al centro di uno dei più noti scandali di Tangentopoli. «Durante la stagione giudiziaria serviva un terzo nome dopo Craxi e Andreotti, e io ero perfetto», ha detto. Ricorda con amarezza il clima di quegli anni: «Mi ritrovai contro i medici per la riforma e contro i malati per i tagli alla sanità. Il bersaglio ideale».

«Non ho mai tradito per salvarmi»

«Mi venne chiesto di accusare altri ministri, anche Berlusconi – racconta – ma non l’ho mai fatto». Critico nei confronti della magistratura, De Lorenzo ha sottolineato le irregolarità nel suo arresto e nella gestione del processo. «I miei coimputati si avvalevano della facoltà di non rispondere. Il mio processo è stato un coro di muti».

Rapporti con il passato: «Non sento più nessuno»

Con i vecchi compagni di partito come Paolo Cirino Pomicino e Giulio Di Donato i contatti si sono interrotti: «Ho chiuso ogni rapporto con loro», ha ammesso De Lorenzo. Nonostante l’età, conserva ancora una voce lucida e battagliera: «Sono malato di giustizia, non dimentico quello che ho subito».

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Politica

Addio a Giancarlo Gentilini, lo “Sceriffo” di Treviso simbolo della Lega Nord

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È morto a 95 anni Giancarlo Gentilini (foto Imagoeconomica in evidenza), storico sindaco e vicesindaco di Treviso, conosciuto come “lo Sceriffo” per la sua spilla simbolo di ordine, disciplina e rispetto delle leggi. Figura centrale della Lega Nord, è stato per vent’anni un riferimento assoluto per la città e per il movimento federalista e nordista. Gentilini si è spento ieri all’ospedale di Treviso, dopo un improvviso malore. Aveva appena trascorso le festività pasquali con familiari e amici.

Dal 1994 un’era politica fuori dagli schemi

Eletto per la prima volta nel 1994, in piena frattura con la Prima Repubblica, Gentilini ha rappresentato il primo grande esperimento amministrativo della Lega Nord in Veneto. La sua leadership ha ispirato generazioni di sindaci padani. Rimasto in carica fino al 2013, ha saputo imprimere un’impronta personale, carismatica e controversa al governo della città, definendosi “al servizio del mio popolo”.

Una vita di provocazioni e polemiche

Uomo fuori dagli schemi, Gentilini è stato amato e odiato. Amatissimo dal suo elettorato, detestato dalle opposizioni per uscite spesso offensive: frasi contro immigrati, rom, comunità omosessuale, disegni di teschi agli incroci pericolosi e panchine rimosse per evitare che vi si sedessero stranieri. La sua comunicazione era brutale, talvolta al limite del razzismo, ma efficace. Una figura che ha spesso messo in difficoltà anche la sua stessa Lega, incapace di contenerne la dirompenza.

L’ultimo capitolo di una vita sorprendente

Nel 2017 ha perso la moglie, e l’anno successivo, a 89 anni, si è risposato. Un uomo che non ha mai smesso di sorprendere, nel bene e nel male. Sempre fedele alla sua immagine, sempre diretto, spesso divisivo, ma instancabile e coerente con il proprio sentire.

Il cordoglio delle istituzioni

Tra i primi a ricordarlo, Luca Zaia, presidente del Veneto: «È stato un grande amministratore, ha saputo intercettare i sentimenti del popolo. Ha fatto la storia di Treviso e del Veneto». Lorenzo Fontana, presidente della Camera, ha parlato di «dedizione totale alla città». Il sindaco di Treviso, Mario Conte, ha espresso il dolore dell’intera comunità: «Il nostro Leone è andato avanti. Ha scritto la storia».

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