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L’olimpionico Jacobs: “Io vinco ma voi portate i figli a fare atletica”

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“Ho quasi paura a tornare in Italia, chissa’ cosa mi aspetta: solo li’ mi rendero’ veramente conto di cio’ che ho fatto. Sara’ un’emozione fantastica, intanto mi auguro che l’esempio che abbiamo dato i miei compagni e io spinga da settembre tanti genitori a portare i figli al campo di atletica”. Da Casa Italia a Tokyo arriva l’appello di Marcell Jacobs, reduce da un’altra notte insonne (“siamo tornati alle tre e mezza, e al Villaggio erano in tanti che ci aspettavano per festeggiare”) dopo la vittoria nella finale olimpica della 4X100, ma pienamente consapevole, se non del pieno significato delle sue imprese, almeno del fatto che possano fare da volano per l’atletica leggera. “Questo sport richiede tanti sacrifici – dice il doppio olimpionico dello sprint – ma e’ una palestra di vita che ti insegna a non mollare mai, anche quando ci sono grandi difficolta’, come dimostra la mia esperienza: guardate dove sono arrivato rimboccandomi sempre le maniche. Quando tornero’ ad allenarmi vorrei vedere intorno a me tanti ragazzini, e spero che cio’ che abbiamo fatto sia un esempio per tutti quelli che dall’Italia ci hanno spinto e che adesso, magari, si avvicineranno all’atletica”. Del resto, e’ gia’ successo proprio con chi ha vinto ieri, come racconta Fausto Desalu, la ‘freccia’ di Castel Maggiore. “Io mi sono avvicinato all’atletica proprio grazie alle Olimpiadi – racconta -: vedevo gli atleti salire sul podio e mi commuovevo. Poi pensavo che avrei voluto provare la loro stessa emozione e mi dicevo che ci sarei riuscito. E’ andata proprio cosi’, ho provato qualcosa di indescrivibile e al villaggio siamo stati accolti come degli eroi: bellissimo. E lo e’ stato cosi’ tanto perche’, come ha detto Marcell, lo sport e l’atletica sono una palestra di vita”. Che ha portato questo quartetto al raggiungimento dell’incredibile, una vittoria capolavoro dello spirito e della forza di unione. “Si’, siamo un gruppo super unito – dice Jacobs – prima della gara ci siamo guardati negli occhi e abbiamo capito che avremmo potuto fare qualcosa di grande, poi e’ successo. Adesso mi portero’ in Italia qualcosa di unico, e il ricordo perenne della bandiera tricolore, quella che mi sono messo sulle spalle”. Quanto ai sospetti “degli invidiosi”, l’olimpionico ha ancora qualcosa da dire: “Kerley (l’americano argento ndr) ha detto che non sapeva chi fossi? Strano, perche’ tempo fa mi mando’ un messaggio per dirmi che avrei potuto correre in 9″80. Il nutrizionista indagato? nemmeno rispondo, ero gia’ seguito da un altro professionista”. Piuttosto e’ bello parlare dei complimenti di De Grasse, il campione dei 200, primo ad andare a congratularsi con gli azzurri che avevano soffiato, a lui, al Canada e anche alla Gran Bretagna, l’oro della staffetta. “Con un sorriso ci ha voluto dire ‘Mannaggia, gli italiani un’altra volta’ – scherza Jacobs -. Ma tutti gli avversari si sono complimentati perche’ abbiamo fatto qualcosa di incredibile. Gia’ prima della gara avevo avvertito che era cambiata la percezione degli altri nei nostri confronti”. L’importante e’ che l’effetto delle vittorie di Tokyo non si disperda, non solo per il rispetto degli avversari (“voglio confermarmi ai Mondiali di Eugene dell’anno prossimo, non vedo l’ora di andare li’, dove penso rivedro’ anche mio padre perche’ e’ stato importante recuperare il mio rapporto con lui. Poi pensiamo ai Giochi di Parigi”) ma anche in Italia fra la gente. “Noi piu’ di questo non possiamo fare, ora dipende piu’ da voi giornalisti”, chiosa Filippo Tortu a chi gli chiede se ora il calcio riprendera’ il sopravvento sui giornali. Intanto i quattro eroi di Tokyo si godono il trionfo “perche’ spiegare un miracolo e’ impossibile”, dice Tortu a una reporter inglese che gli chiede come mai la velocita’ sia diventata made in Italy. Allora cerca di farlo capire Jacobs: “e’ successo grazie al duro lavoro e a tante batoste”. Gia’, fare sport serve a questo, a rialzarsi dopo una sconfitta, a non mollare mai continuando ad inseguire i propri sogni. Se poi non si realizzeranno, i sacrifici saranno comunque serviti a diventare, se non campioni come Jacobs e i suoi compagni, persone migliori.

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Napoli bello, Roma fortunata: è pari al Maradona

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– Napoli e Roma si annullano nella sfida valevole per la 34 giornata di Serie A. Al Maradona finisce 2-2 una bella sfida, accesa ed emozionante soprattutto nella ripresa: apre Dybala su rigore, Olivera e Osimhen (altro rigore) la ribaltano, poi nel finale il prezioso ritorno al gol di Abraham permette ai giallorossi di tornare a casa con un punto abbastanza importante per la corsa alla Champions League. La squadra di De Rossi sale a 59 punti restando a -4 dal Bologna, ma vede accorciare l’Atalanta che ora e’ dietro di sole due lunghezze e con una gara da recuperare. Amaro in bocca invece per gli uomini di Calzona, che scivolano a -5 dal settimo posto della Lazio.

La prima nitida occasione del match capita al 6′ in favore dei giallorossi (sara’ l’unica del primo tempo), quando da corner del solito Dybala arriva una sponda area di Mancini che pesca Pellegrini, il cui colpo di testa termina di poco alto sopra la traversa. Dopo una prima parte di gara giocata a ritmi bassi da ambo le squadre, i partenopei provano a crescere dalla mezz’ora: Osimhen tenta da posizione defilata trovando la respinta di Svilar, graziato invece poco piu’ tardi da Anguissa che sbaglia tutto a tu per tu.

Al 40′ si fa vedere Kvaratskhelia con il suo classico destro a giro, deviato in tuffo ancora da un attento Svilar, mentre a pochi istanti dal riposo un colpo di testa di Di Lorenzo sfila di poco a lato. Nella ripresa il Napoli continua nella propria produzione offensiva, ma al 56′ e’ ancora decisivo un intervento di Svilar ad evitare il possibile vantaggio di Lobotka. Passano un paio di minuti e, dall’altra parte, e’ invece la Roma a trovare l’episodio per sbloccare: Azmoun va giu’ in area a contatto con Jesus, l’arbitro fischia il penalty e Dybala lo trasforma alla perfezione nell’1-0 ospite.

Gli azzurri non ci stanno e al 64′, grazie ad un pizzico di fortuna, la pareggiano con Olivera: l’esterno calcia di mancino da fuori area, Kristensen devia e di fatto mette fuori causa Svilar che stavolta non puo’ nulla. Il match prende ritmo e i partenopei in particolare ritrovano morale, sfiorando il vantaggio al 73′ con Osimhen, che svernicia Mancini in velocita’ ma trova un miracoloso Svilar davanti a se’. Nel finale succede di tutto: Osimhen porta avanti il Napoli grazie ad un calcio di rigore fischiato dopo un contatto tra Renato Sanches e Kvaratskhelia (decisivo intervento del Var), poi all’88’ la Roma trova il nuovo pari con un colpo di testa di Abraham, che segna dopo una sponda aerea da corner di Ndicka ed esulta dopo un altro intervento del Var (gol inizialmente annullato per offside).

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30 anni senza Ayrton Senna, nel mondo saudade senza fine per un mito dell’automobilismo

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“Un giorno che non sarà mai dimenticato dai brasiliani” titolava ‘O Globo’. E non era per celebrare la vittoria in uno dei cinque mondiali conquistati dalla nazionale del paese dove il futebol’ è un’autentica religione. No, era riferito al prossimo 1 maggio, quando saranno 30 anni dalla scomparsa, quel tragico giorno del 1994 a Imola, di Ayrton Senna. Un idolo nel suo paese, ma una icona mondiale il cui mito vive anche nelle generazioni che i prodigi del pilota non hanno potuto ammirare. Per capire cosa significhi tuttora per i suoi connazionali il ‘tricampeao’ del mondo della formula uno, morto a soli 34 anni, basta andare al cimitero di Morumbi (il quartiere dell’alta borghesia di San Paolo, di cui Senna faceva parte) dove è sepolto.

Caro Ayrton, un libro di Anna Maria Chiariello a 25 anni dalla scomparsa del grande Senna

Lì, vicino alla lapide coperta dai fiori, c’è un albero che ‘custodisce’ le testimonianze lasciate dai visitatori in onore del loro idolo scomparso tragicamente e troppo presto, ci sono anche pezzi di carta con preghiere e invocazioni, quasi degli ex voto con scritto “proteggimi” o “fammi trovare un lavoro”. Proprio così, perché Senna per tanti è una divinità, e non è certo un’esagerazione il detto secondo cui non esiste brasiliano dai 40 anni in poi che non si ricordi cosa stesse facendo in quel momento, quando da Imola arrivò la terribile notizia. Ayrton Senna è un sentimento, non solo saudade ma fede, amore, qualcosa, anzi qualcuno, che non potrà mai essere dimenticato, e in Brasile ancora oggi le sue 161 gare disputate vengono analizzate una per una, per capire quale fosse il suo segreto, oltre al talento che Dio, nel quale Ayrton credeva fortemente, gli aveva donato.

Sono giorni che a Rio, San Paolo, Porto Alegre e in ogni altro angolo del Brasile si parla e si scrive di Senna, non solo dei 30 anni dalla sua morte, ma anche, è successo a marzo, dei 40 anni dal suo esordio in F1 con la Toleman, e subito “fu l’inizio di un amore – hanno scritto i giornali locali – e della sua consacrazione”. I grandi network nazionali hanno ricordato che Senna è stato il modello di Lewis Hamilton, sette volte campione del mondo, che non ha mai nascosto l’amore per il Brasile e per quel fenomenale campione di cui possiede un casco, mentre il fenomeno di oggi, Max Verstappen ha ricordato che “le vetture di allora erano molto differenti, e sono certo che se Senna corresse oggi guiderebbe in modo diverso. Ma vincerebbe ugualmente”.

Al Corinthians, squadra del cuore del pilota è stato chiesto, in vista del trentennale di Imola, per onorare le memoria del suo tifoso così speciale di riutilizzare la maglia di qualche stagione fa, quando al posto della scritta dello sponsor sul petto dei giocatori del ‘Timao’ era stato stampato l’autografo di Senna. Intanto alcuni facoltosi appassionati stanno partecipando all’asta per acquistare la Honda NSX che Ayrton utilizzava per spostarsi nei periodi che trascorreva in Portogallo.

Apparteneva ad una persona di nazionalità britannica, di cui non si è fatto il nome, che ora l’ha messa in vendita, al prezzo base di 500mila sterline, circa 580mila euro. In Brasile non se la vogliono far sfuggire, e sarà una sfida all’ultimo real. Intanto, e soprattutto, rimane quel volto che è anche su tanti murales, amato da tutti e sinonimo di 41 gran premi vinti e tre titoli mondiali. Una striscia che avrebbe potuto continuare chissà fino a quando, ma il destino ha deciso diversamente. Di sicuro Ayrton Senna continua a vincere nei cuori della gente.

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Tifosi del Napoli in silenzio 17′: poi cori contro De Laurentiis, Calzona e squadra

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Un’atmosfera insolita ha avvolto lo stadio Diego Armando Maradona durante l’ultimo incontro di Serie A tra il Napoli e la Roma. I tifosi del Napoli, in particolare quelli delle curve, hanno scelto una forma di protesta silenziosa per esprimere il loro dissenso verso la direzione del club in una stagione che si sta rivelando particolarmente difficile.

L’incontro è iniziato in questo clima quasi surreale. Il Napoli, attualmente ottavo in classifica, sta vivendo una delle sue stagioni più turbolente, segnata da risultati deludenti come l’ultima sconfitta contro l’Empoli. La scelta di non cantare è stata un modo per i tifosi di evidenziare il loro malcontento e la loro insoddisfazione per come le cose stanno procedendo sia sul campo sia fuori.

Il silenzio dei tifosi è stato interrotto solo al 17esimo minuto, quando è scaturito un coro contro il presidente Aurelio De Laurentiis.Questo tipo di manifestazione pacifica, ma estremamente eloquente, evidenzia la frattura crescente tra la base dei tifosi e la leadership del Napoli.

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