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Salute

L’epidemia sommersa di epatiti, solo una diagnosi su 10

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È stato fatto molto, ma ancora non è abbastanza. Per vincere le epatiti virali bisogna alzare ulteriormente l’asticella, ampliando l’accesso alla vaccinazione e ai trattamenti e, soprattutto, facendo emergere l’enorme sommerso. Secondo l’Oms, infatti, quasi il 90% dei malati non sa di esserlo. È questo il messaggio chiave che arriva in occasione della Giornata mondiale dell’epatite che si celebra il 28 luglio. “È necessario mettere in campo tutte le azioni possibili per contrastare questa malattia e proteggere la salute del fegato, essenziale per la vita”, ha detto il ministro della Salute Orazio Schillaci che ha definito la malattia “una grave minaccia per la salute pubblica”. Le epatiti sono causate da cinque virus (virus dell’epatite A, B, C, D, E).

I virus A ed E causano infezioni acute, mentre quelli B e C possono causare infezioni croniche, che danneggiano irreversibilmente il fegato ed evolvere in tumore. Il virus D causa infezioni solo in presenza del virus B. Nel mondo, le epatiti colpiscono ogni anno 3 milioni di persone e ne uccidono 1,1 milioni. Tuttavia, “sappiamo che questi numeri sono sottostimati”, afferma il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità Tedros Adhanom Ghebreyesus. Secondo l’Oms, quasi il 90% delle persone con epatite non sa di essere malato. In particolare, ha avuto una diagnosi solo il 10% delle persone con epatite B e riceve le cure solo il 2%. Tra le persone con epatite C, solo il 21% ha una diagnosi e il 13% ottiene le cure, che potrebbero portare alla guarigione completa. Non fa eccezione l’Italia, che è stata il passato il paese con più forte presenza di infezioni, ricorda l’Istituto Superiore di Sanità. Il dato è confermato dall’altissimo numero di trattamenti antivirali somministrati dal 2015 a oggi contro l’epatite C: oltre 250 mila. Oggi, l’incidenza dell’Hcv si è stabilizzata intorno a 0,1 casi ogni 100 mila abitanti.

Resta però un enorme numero di persone affette da epatite C che non sono consapevoli dell’infezione: circa 300 mila. “Serve un ulteriore sforzo per raggiungere l’obiettivo dell’eliminazione”, afferma l’Iss. Lo screening è lo strumento principale per farlo. In Italia esiste uno screening per la fascia di popolazione nata tra 1969-1989, che si aggiunge a quello per alcune popolazioni a rischio. Tuttavia, dal monitoraggio effettuato da Iss e ministero della Salute, emerge che a fine 2022 solo 8 Regioni avevano attivato lo screening per la popolazione generale, mentre 14 Regioni hanno attivato lo screening attivo per gli utenti in carico ai Serd e 11 hanno definito le procedure per lo screening nelle carceri. “È fondamentale aumentare la platea delle persone che possono accedere allo screening per l’epatite C, oltre a promuovere campagne di comunicazione e di sensibilizzazione”, afferma l’Iss. Con uno screening rapido, allargato alla persone nate tra il 1948 e 1988, secondo un’analisi realizzata dalla Piattaforma italiana per lo studio delle terapie delle epatiti virali (Piter), si potrebbero evitare nei prossimi 10 anni 5.600 decessi, 3.500 tumori del fegato e oltre 3.000 scompensi epatici.

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Neonata con rara malformazione nata a Salerno e gestita con competenza dai medici

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Parto eccezionale all’ospedale di Salerno. Una donna di 38 anni è stata dimessa dal Reparto di Gravidanza a Rischio dell’Aou San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona, diretto dal dottor Mario Polichetti, dopo aver dato alla luce una neonata con una rarissima malformazione. La paziente era stata trasferita dall’ospedale di Polla al Ruggi dove ha partorito sua figlia che sta bene anche se è tuttora ricoverata nel reparto di Neonatologia, diretto dalla dottoressa Graziella Corbo, per ulteriori controlli. La neonata, di quasi 3 chili, è portatrice di una condizione genetica molto rara, denominata ‘Situs Inversus’, ovvero un collocamento anomalo degli organi del torace e dell’addome con inversione di posizione, rispetto alla loro sede usuale.

La piccola paziente, ha infatti il cuore, lo stomaco e la colecisti a destra ed una malformazione della vena cava, vicariata dalla vena emiazygos. “Il parto in questione – spiega Polichetti – è un evento davvero straordinario e deve essere gestito con estrema competenza, per evitare eventuali complicazioni, ma siamo fieri ed orgogliosi che si sia concluso nel migliore dei modi”.

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Salute

Una vita più lunga di 5 anni con le giuste abitudini

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Quando si tratta di longevità, il patrimonio genetico è importante. Lo stile di vita, però, lo è altrettanto, ed è in grado di compensare gli svantaggi derivanti da una cattiva predisposizione genetica. Anche le persone che hanno un profilo genetico che le espone a un maggior rischio di morte prematura, infatti, possono ribaltare la sorte e guadagnare oltre 5 anni di vita aderendo a stili di vita sani: non fumare, evitare l’alcol, avere una corretta alimentazione, svolgere attività fisica. A questo risultato è giunto uno studio internazionale pubblicato sulla rivista BMJ Evidence- Based Medicine. La ricerca ha coinvolto oltre 350 mila persone, classificandole sulla base del loro profilo genetico e dello stile di vita.

La prima scoperta a cui sono giunti i ricercatori è che le abitudini hanno un peso maggiore della genetica sull’aspettativa di vita: le persone con stili di vita dannosi avevano un rischio di morte prematura (prima dei 75 anni) del 78% più alto rispetto a quelli con stili di vita sani. La genetica, invece, aumenta solo del 21% le probabilità di morte precoce. Le cose si complicano notevolmente quando una persona con profilo genetico negativo ha stili di vita non sani: il tal caso il rischio di morire prima di compiere i 75 è più che doppio. Ciò che è più importante, però, è che quando una persona con una cattiva genetica aderisce a stili di vita sani il suo rischio si riduce del 54%.

Tradotto in anni, ciò equivale a 5,2 anni di vita guadagnati. “Le politiche di sanità pubblica per favorire stili di vita sani potrebbero costituire un potente complemento all’assistenza sanitaria e diminuire l’impatto dei fattori genetici sulla durata della vita umana”, scrivono i ricercatori. Nelle stesse ore in cui veniva pubblicato lo studio, un’altra ricerca – in tal caso condotta dall’Ufficio europeo dell’Oms – ha confermato che, per quel che riguarda gli stili di vita, la pandemia ha avuto un effetto distruttivo, soprattutto nei bambini.

La ricerca ha mostrato che, durante la pandemia, per il 35% dei piccoli tra 7-9 anni è aumentato il tempo trascorso a guardare la Tv, a usare videogiochi o social media; per il 28% si è ridotto il tempo trascorso nelle attività all’aperto. È inoltre raddoppiata, passando dall’8 al 16%, la percentuale di bambini percepiti in sovrappeso dai genitori. Per alcuni aspetti, le cose sono andate anche peggio in Italia, che è stato uno dei Paesi in cui si è più ridotto il tempo trascorso fuori (-40%) e si è registrato un più ampio aumento del sovrappeso percepito dai genitori, passato dal 10 al 25%. È anche calato il consumo di frutta e verdura e aumentato quello di snack dolci e salati. “Non possiamo permetterci di ignorare queste tendenze: nella nostra Regione, 1 bambino su 3 è in sovrappeso o obeso e già il consumo di frutta e verdura è basso”, ha detto Kremlin Wickramasinghe, esperto dell’Oms Europa. “Spero che questo rapporto faccia scattare l’allarme”.

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Salute

Borotalco al cancro, J&J propone 6,5 mld di dollari per chiudere le cause sul cancro

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Il colosso farmaceutico americano Johnson & Johnson ha presentato un piano per porre fine alle cause civili sul talco accusato di provocare il cancro in base al quale è disposto a pagare circa 6,5 ;;miliardi di dollari. “Questo piano è il culmine della nostra strategia di risoluzione consensuale annunciata in ottobre”, ha spiegato Erik Haas, vicepresidente degli affari legali di J&J, citato in un comunicato stampa. “Da quella data, il gruppo ha lavorato con gli avvocati che rappresentano la stragrande maggioranza dei ricorrenti per trovare una soluzione a questa controversia, che anticipiamo con questo piano”, ha detto. Secondo il piano, J&J ha accettato di pagare circa 6,475 miliardi di dollari in venticinque anni per reclami relativi a problemi ovarici (99,75% dei reclami attuali).

Gli altri disturbi riguardano il mesotelioma, soprannominato ‘cancro da amianto’, e vengono trattati separatamente. Il piano proposto prevede un periodo di tre mesi durante il quale i ricorrenti saranno informati della sua esistenza. Sarà convalidato se il 75% lo accetterà. Il gruppo precisa che gli avvocati dei ricorrenti che hanno collaborato al suo sviluppo “lo appoggiano”. Il talco è accusato di contenere amianto e di provocare il cancro alle ovaie. Cosa che l’azienda continua a smentire, anche se l’ha ritirato dal mercato nordamericano. Haas ha denunciato in questo senso la “distorsione degli studi scientifici”. Una sintesi degli studi pubblicati nel gennaio 2020 e riguardanti 250.000 donne negli Stati Uniti non ha trovato un legame statistico tra l’uso del talco sui genitali e il rischio di cancro alle ovaie.

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