Che lo Spazio non sia più appannaggio dalle grandi potenze mondiali, come avvenuto per oltre mezzo secolo, ossia dagli albori dell’esplorazione, quando era conteso essenzialmente tra USA e URSS, lo si è definitivamente capito dalla “privatizzazione” dei servizi di lancio affidati dalla NASA, appunto tramite il governo a stelle e strisce, all’azienda privata SpaceX di Elon Musk.
Invero, negli ultimi decenni abbiamo anche assistito alla graduale ed inesorabile affermazione di tanti altri player mondiali, tra cui sicuramente Cina, Unione Europea, Canada, Inghilterra, India ecc.. La Space Economy è divenuta così il primo settore produttivo mondiale, capace di generare un fatturato annuo complessivo di circa quattrocento miliardi di dollari (Rif. anno 2020), con trend in costante aumento, attorno al quale gravita, è proprio il caso di dirlo, la fabbricazione e diffusione di una miriade di prodotti e servizi, che usiamo quotidianamente e dei quali non possiamo più far a meno. Si pensi alle tecnologie legate al GPS/GALILEO – sistema GNSS, ma anche ai nuovi materiali adattati all’industria meccanica e metallurgica, alla I.A. quanto ai nuovi farmaci e cure mediche testate in orbita, con un elenco che si allunga fino a perderne il conto.
Ma con la “commercializzazione dello spazio” si rimarcano, ormai come urgenti, tutte quelle problematiche non più passibili di essere ricondotte e disciplinate dall’originario impianto normativo, rappresentato quasi esclusivamente da un ristretto novero di convenzioni internazionali, emanate tra gli anni Sessanta e Settanta del trascorso Secolo.
Implicazioni non solo politiche, economiche e finanziarie, ma anche giuridiche e morali, necessitano di nuovi approcci per la loro regolamentazione, soprattutto in merito allo sfruttamento, anche da parte dei privati, delle risorse spaziali a noi più prossime.
Un importante segnale in tal senso ci giunge proprio dalla “multa spaziale” di centocinquantamila dollari, che la statunitense Federal Communications Commission ha inferto ad una società nazionale, per non aver ella provveduto alla rimozione di un suo satellite che, ormai in disuso, si è aggiunto alle migliaia di pericolosissime componenti di quella che viene definita “Orbital Debris” spazzatura spaziale, fenomeno che affligge ormai anche l’orbita bassa, e capace di danni incalcolabili, soprattutto per l’elevato rischio di collisioni con strutture ancora operative ed impatti con navi spaziali ed astronauti.
Dunque, la questione della disciplina dello Spazio utilizzabile è tutt’altro che semplice, e va inserita nel più complesso ed articolato scenario internazionale che oggi viviamo, in prevalenza non regolamentato, dove appunto già operano operatori pubblici e privati di diverse nazionalità. In questo quadro, la prima “multa stellare” alimenta l’importante ed interessantissimo campo di confronto e approfondimento, dove bisogna iniziare a risolvere tutte le nuove o rinnovate problematiche del caso, senza ulteriori rimandi, poiché anche se il Cosmo è per definizione infinito, i punti di interesse economico per l’umanità sono comunque circoscritti a settori ben delineati, tra cui sicuramente l’occupazione ed uso delle orbite per il posizionamento di satelliti, stazioni spaziali e punti di ripartenza per il Sistema Solare, lo sfruttamento del suolo della Luna e di Marte, l’estrazione di minerali come oro e platino dagli asteroidi i transito.
Il problema dunque non sarà solo di capire come ottenere profitti da tali nuove economie, ma anche di disciplinare e preservare ciò che andremo di certo a sfruttare e contaminare nel breve periodo, con la speranza di creare meno danni alle future generazioni, rispetto ai benefici che tentiamo di ottenere, perché fino ad ora, sul nostro Pianeta, noi terrestri non ci siamo di certo sempre riusciti al meglio.