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L’arte ci indicherà il mondo che verrà

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Arte è ciò che il mondo diventerà, non ciò che il mondo è

(Karl Kraus 1874-1936)

Mentre noi ci interroghiamo su cosa ci sarà quando nella fase 2 cominceremo ad uscire , quali rapporti futuri si potranno instaurare e quali saranno ancora saldi di quelli che avevamo costruito negli anni, mentre ci interroghiamo su cambierà nelle nostre menti e come il mondo si sarà trasformato e su come i nostri vicini avranno interiorizzato questa quarantena, un periodo irreale  che ci ha tenuti distanti, isolati, e diffidenti nei riguardi degli altri, anche delle persone a noi più prossime. Mentre ci interroghiamo su questi quesiti e immaginiamo i nostri prossimi passi come se fossero i primi, ci sono loro, gli artisti, che immancabilmente hanno metabolizzato questo tempo, l’hanno analizzato, anche inconsciamente, l’hanno utilizzato, sviscerato, ci hanno fatto i conti e si sono fatti consigliare da esso, questo tempo per loro è stato un tempo di ricerca interiore per farsi dire da questi silenzi che ci hanno accompagnato cosa si potesse fare per affrontarli e per conviverci, per fronteggiarli e coesistere per uscirne creando, creando le loro opere che ci indicheranno il mondo che verrà, lasciandoci alle spalle quello che abitammo.

Donatella Spaziani

Roma 16/4/2020

 

I primi giorni ero elettrizzata,

poco dopo distrutta.

In seguito giorni e giorni neutri;

In cui avrei potuto fare tutto,

ma non ho fatto nulla.

Lavoro con fatica.

Non riesco ad attivarmi.

Il mio corpo soffre la mancanza di movimento

e il cervello si rannicchia in angoli di memorie

che è meglio dimenticare.

Ogni giorno è un’altalena di emozioni che corrono sempre in due sole direzioni:

disperazione-fiducia.

Mi deludo quotidianamente,

ma non mollo.

La Dea Fortuna ora ci deve fare un regalo globale,

abbiamo tutti bisogno di giustizia.

Dino Izzo

Tutti hanno detto di tutto. Adesso anch’io, i tutti allora erano quasi tutti.

E odio l’appellativo giornalistico “gli invisibili”. Farò qui un breve diario della mia giornata dopo quaranta in quarantena. Mi alzo dal letto –  già! –  un giro in casa, forse più di uno, ma non per controllo, niente è cambiato dalla sera prima, ma serve a occupare il tempo. Ripenso alle riflessioni sul tempo di Antonio Neiwiller. Faccio una colazione, biscottini nel latte, tre/quattro, un altro giro in casa, mi fermo su qualche particolare, sposto qualcosa, penso pensieri che non pensano. Inizia la toelettatura, evitando accuratamente lo specchio, anche quando mi sbarbo è un altro che rado. Tolgo il pigiama e mi vesto con abiti da casa, così chiamati perché non uscirei con quelli. Sono pronto! A che? Mi reco (quattro passi) nell’angolo di casa adibito a studio di pittore. Din din notifica Whatsapp Guardo i materiali, prendo una tela, mi fumo una sigaretta sulla soglia del balcone, a destra e sinistra non c’è nessuno, è sempre una sorpresa, ogni giorno è una sorpresa, ripeto, anche mentalmente, non c’è nessuno! Vorrei “inguacchiare” un po’…no adesso leggo i giornali, mi seggo comodo al computer. Ho perso/guadagnato altre due ore.

Tre din din notifiche Whatsapp. Che mangio oggi? Fumo una sigaretta sulla soglia del balcone, a destra e sinistra non c’è nessuno, è sempre una sorpresa, ogni giorno è una sorpresa, ripeto, anche mentalmente, non c’è nessuno! Din din notifica Whatsapp. Ritorno nello studio, qualche segno con la grafite, ne potrei fare tanti, ma i segni non cadono correttamente dal braccio. Non ho deciso come sfamare una appetito latitante. Solo frutta, ecco! Noccioline, patatine, qualche altra schifezza, ma poi frutta. Accendo la tv, ma quando mai di giorno accenderla, una bestemmia, forse il regionale, poi mi fermo a guardare “Cortesie per gli ospiti”, cos’è? incuriosito seguo e fumo e penso, din din notifica Whatsapp. Sono stanco mi riposo quel poco che serve (due ore). Arrivano i telegiornali dalle diciannove in poi, Tg3, TgR, Mentana, poca cronaca. La cena, din din notifica whatsapp. Le serie tv, il nuovo cinema, in fondo da quando sono sveglio non pensavo che raggiungere la puntata successiva! Vado a letto, sono le quattro, altrimenti domani mi accorcio la giornata!

Domani è festa andrò a far spesa

Antonella Raio

In questo strano periodo di sospensione intimista, mi ritrovo spesso a pensare a Neil Armstrong. Lo immagino subito dopo la famosa passeggiata sulla luna, in attesa di poter rientrare sulla terra. Neil non sapeva quando sarebbe arrivato l’ok di rientro dalla Nasa, ne sapeva se tutto sarebbe andato bene, era nello spazio sospeso in un’attesa senza tempo. Immagino Neil guardare la terra da lassù, penso che in quel momento abbia provato amore, per quella bellissima palla blu fluttuante nello spazio. Una volta tornato sulla terra, suppongo che Neil sia stato felice nel poter respirare senza maschera e toccare ogni cosa senza la protezione dei guanti. Penso che per un attimo, Neil abbia capito che la terra è l’unico pianeta, nella nostra galassia conosciuta, in cui c’è una libertà leggera d’azione. Cosa avrà provato Neil, nel rivedere un animale, dopo tutto quel silenzio nello spazio?  non so se abbia incontrato per prima un uccello o un cane, non lo so, ma so cosa avrei provato io se fossi stata in Neil, mi sarei sentita grata per tutta la varietà di vita che c’è sulla nostra terra. In questo periodo mi piace pensare che Neil Amstrong, anche solo per un attimo, abbia capito l’immensa responsabilità dell’umanità rispetto alla vita. Perché solo sulla terra, in questa galassia conosciuta, c’è una varietà miracolosa di specie viventi. In questo mio momento di isolamento, sto provando a guardare ogni cosa come se fosse la prima volta, come se fossi Neil, come se fossi appena tornata e rivedessi la terra. L’unica cosa che mi sento di fare, in attesa di ritrovare l’altro, è ringraziare la terra per il miracolo che fa ogni giorno e ogni notte, dall’inizio del tempo

Eugenio Giliberti

Elogio dell’intempestivo

“Divenne impressione generale, in quella terribile epidemia, che, sorpresi una volta dalla invasione non si dovesse mutar aria, né dalla città alla campagna, né dalla campagna alla città”. Sono parole di Antonio Ranieri, siamo negli anni trenta dell’ottocento e sembra oggi. E’ tutto molto serio: il ritiro obbligato, il peso delle scelte, gli scontri tra economia e sicurezza, la paura di chi improvvisamente si vede al bordo della vita con un tubo ficcato in gola.

Tanto serio ma anche eterno. Un ritorno dal passato e una promessa minacciosa per il futuro. La morte a migliaia ci obbliga a riconoscere la nostra fragilità, la nostra perenne condizione di sopravvissuti. Di nuovo, come per i terremoti o i bombardamenti o le grandi epidemie del passato. Non saprò fare cronaca di questo tempo di negazione del tempo, di parziale autorizzata e collettiva incoscienza.  Forse ne raccoglierò sedimenti. Ma vivo questi giorni chiusi in pensieri che si fanno gelosi, ancora di più ora, al sentire di nuovo voci, e rumori di automobili, e più gente per strada Ho preso tempo. Mi sono accomodato volentieri alla clausura a cui l’epidemia ci ha costretto, ho poi ripreso a disegnare i progetti interrotti. Ho desiderato coltivare amicizie recenti e antiche come non mi capitava. Ho approfittato del silenzio ma ora la mia quiete sente il pericolo e protesta già la sua perdita. Perché è lei la mia compagna prediletta, dove ogni gesto, ogni segno, proviene da un deposito asincronico e rimanda a un’esperienza primitiva:

la quiete dei miei pensieri intempestivi

Pier Paolo Patti

Scrivere di (e in) questa condizione inedita che siamo obbligati ad accettare, non è cosa facile. Riflettere su come la propria ricerca artistica cambi e si relazioni con l’attualità, è ancor più difficile. Immagino la mia attività creativa camminare ed evolversi autonomamente, squarciando  la quotidianità, facendo confluire in una unica azione molteplici campi di in cui muoversi e indagare.

Riflettere e creare.

E allora l’arte, il gesto, l’intuizione può diventare pratica necessaria per comprendere più e meglio quale sia il proprio ruolonella società, il ruolo di artista, di uomo contemporaneo, di critico. In questo tempo contorto e sospeso sembrerebbe necessario porsi dei quesiti, sarebbe per giunta facile, avendo tempo e temi importanti su cui lavorare, ma nel momento esatto in cui costruisci qualcosa o formuli un’idea, tutto crolla. Chi e come fruisce – in questa condizione – l’arte contemporanea? Dove si può ascoltare? Come si può toccare?

Interrogativi condivisibili da tutti che spingono a chiederci quale sia il ruolo dell’arte contemporanea oggi, adesso, in questo preciso momento storico. O meglio, chiedersi e capire che ruolo avesse l’arte prima di questa pandemia, cosa fosse diventata e a quale costo. Nella scala delle “priorità” di questo Paese e della politica, l’arte sembrerebbe non esistere. In una ipotetica lista non è escludibile trovarla all’ultimo posto e magari dopo le sale slot: non ci sarebbe nulla di cui meravigliarsi. Certo, la pratica artistica è anche crescita personale, interiore; è condivisione di pensiero e azione, è urgenza di esprimere la propria visione del mondo, ma parlare solo a se stessi non serve a capire le cose, senza gli spazi del confronto il ruolo sociale dell’arte non esiste. È il tempo questo di capire esattamente che ruolo hanno costruito negli anni le gallerie, le riviste specializzate, i curatori, i piccoli musei, le fondazioni, le istituzioni dedicate: è tempo di ripensare seriamente a tutto il sistema, ripartendo dalla centralità dell’arte, dalle idee. Nel momento in cui le attività espositive, curatoriali e di fruizione critica dell’arte vengono di colpo sospese, l’Opera perde il senso stesso della sua esistenza vanificando i motivi per i quali è stata creata. Chiuso il circo delle fiere e degli apertivi siamo rimasti soli, perché negli ultimi 25 anni il sistema dell’arte è diventato altro lasciandoci orfani di contenuti.

È questa l‘occasione di ritornare a parlare di questi temi e, avendo tempo a disposizione, anche di lavorare molto cambiando l’approccio e l’approdo: è il tempo di immaginarsi nello “spazio” diversamente. Ci troviamo a vivere tempi indefiniti che la quotidianità ti nega continuamente e ci si ritrova a tirar fuori vecchi progetti fermi; si sperimentano nuove forme di condivisione digitale, si ritorna al piacere di creare senza nessun altro obbiettivo oltre quello di esprimersi e sperimentare i limiti di cui stiamo parlando. Oggettivamente questo tumulto incessante ritorna sempre al duro confronto con la realtà, fosse anche solo per una matita che non hai perché la cartoleria è chiusa da più di un mese.

È una “prova” a tutti gli effetti: spazio e tempo per la ricerca artistica e spirituale ma in cambio di tutto il resto. Prendere o lasciare, io ho deciso di ripartire dalle idee, dai contenuti, credo possa essere una grande occasione per tutti.

Giovanni Frangi

Sono abbastanza fortunato perché vivo in una casa abbastanza grande e ho fatto in tempo a organizzare uno studio in una stanza, trasformando un calcetto in tavolo da lavoro. Bastava una bella asse di legno. Non ho mai lavorato a casa, perché ho sempre preferito dividere i miei spazi tra lavoro e non lavoro. Ma in questo caso sono riuscito a recuperare in tempo da via Spartaco un po’ di materiale che mi serve, e ho potuto iniziare a lavorare su delle carte. Voglio fare delle suite con dei lavori tutti della stessa dimensione, 35 x 45, mantenere la stessa dimensione mi ha sempre aiutato.

Per me il lavoro è sempre stata una valvola di sfogo e se non lavoro sto male, mi sento a disagio e a maggior ragione in questo periodo in cui il mondo in poche settimane è cambiato e facciamo fatica a capire il motivo  per cui la natura possa essere cosi crudele.

Qualcosa si è spezzato, e non so bene come faremo?

Ogni tanto penso che ho sempre trovato l’ energia nell’ossessione della natura e non avevo mai visto la natura come nemica. Come pericolo. Forse i miei boschi del Richiamo della foresta potevano essere insidiosi. Ma in generale il mio mondo scende da Cy Twombly, da Monet. Invece oggi il solo artista che mi viene in mente e che ha capito come la natura possa essere crudele sia Grunewald, guarda le bestie feroci, i mostri malefici della Tentazione di Sant’Antonio. Il più grande pittore tedesco che ci sembrava eccessivo nel mostrare una visione del mondo cosi violenta oggi ci aiuta per cercare di capire quello che sta succedendo.

Ma io continuo nella mia strada, adesso ho iniziato una serie di lavori su carta ispirati a delle immagini che avevo in studio scattate dieci anni fa, che sono finite in un mazzo di foto che ho preso cosi alla rinfusa pensando che mi potessero essere utili. Sono alcune foto di una pianta che si chiama Jacaranda, una pianta che proviene dall’Argentina e che a Milano la trovi un po’ dappertutto nelle strade e fiorisce proprio nel mese di aprile. Sono dei fiori viola e questi erano in piazza Cairoli di fronte al Castello Sforzesco.

 

 

 

Fotogiornalista da 35 anni, collabora con i maggiori quotidiani e periodici italiani. Ha raccontato con le immagini la caduta del muro di Berlino, Albania, Nicaragua, Palestina, Iraq, Libano, Israele, Afghanistan e Kosovo e tutti i maggiori eventi sul suolo nazionale lavorando per agenzie prestigiose come la Reuters e l’ Agence France Presse, Fondatore nel 1991 della agenzia Controluce, oggi è socio fondatore di KONTROLAB Service, una delle piu’ accreditate associazioni fotografi professionisti del panorama editoriale nazionale e internazionale, attiva in tutto il Sud Italia e presente sulla piattaforma GETTY IMAGES. Docente a contratto presso l’Accademia delle Belle Arti di Napoli., ha corsi anche presso la Scuola di Giornalismo dell’ Università Suor Orsola Benincasa e presso l’Istituto ILAS di Napoli. Attualmente oltre alle curatele di mostre fotografiche e l’organizzazione di convegni sulla fotografia è attivo nelle riprese fotografiche inerenti i backstage di importanti mostre d’arte tra le quali gli “Ospiti illustri” di Gallerie d’Italia/Palazzo Zevallos, Leonardo, Picasso, Antonello da Messina, Robert Mapplethorpe “Coreografia per una mostra” al Museo Madre di Napoli, Diario Persiano e Evidence, documentate per l’Istituto Garuzzo per le Arti Visive, rispettivamente alla Castiglia di Saluzzo e Castel Sant’Elmo a Napoli. Cura le rubriche Galleria e Pixel del quotidiano on-line Juorno.it E’ stato tra i vincitori del Nikon Photo Contest International. Ha pubblicato su tutti i maggiori quotidiani e magazines del mondo, ha all’attivo diverse pubblicazioni editoriali collettive e due libri personali, “Chetor Asti? “, dove racconta il desiderio di normalità delle popolazioni afghane in balia delle guerre e “IMMAGINI RITUALI. Penitenza e Passioni: scorci del sud Italia” che esplora le tradizioni della settimana Santa, primo volume di una ricerca sui riti tradizionali dell’Italia meridionale e insulare.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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