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Salute

L’appello del professor Paolo Ascierto: il virus non è sconfitto, siate responsabili perchè vanifichiamo tutto

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Eil professore Paolo Antonio Ascierto lospite di Juorno Live Interview. Oncologo e ricercatore di fama internazionale, direttore dellUnità di Melanoma, Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative dellIstituto Pascale di Napoli, il professor Ascierto è finito sotto le luci della ribalta per lintuizione, scaturita dal confronto con i colleghi cinesi, di impiegare il Tocilizumab per curare la complicanza polmonare da Covid-19. A breve lAifa renderà noti i risultati della sperimentazione, necessaria per verificare la reale efficacia del farmaco. Ascierto intanto è finito sui giornali di mezzo mondo, ricevendo apprezzamenti dalla comunità scientifica internazionale. Il professore però non s’è fatto distrarre dallattenzione mediatica e ha continuato a lavorare senza sosta. A Juorno ha parlato di Fase 2, Tocilizumab, vaccino. Unintervista ricca di spunti interessanti che vi riproponiamo di seguito.

Professore, cosa può dire ai cittadini sulla Fase 2?

Guardo alla Fase 2 con preoccupazione, perché potrebbe esserci una seconda ondati di contagi. Nei giorni scorsi c’è stato un rompete le righe. Qui in Campania siamo stati molto bravi, ma ciò non significa che il pericolo è scampato. Non dobbiamo abbassare la guardia. Se proprio dobbiamo uscire, indossiamo la mascherina, rispettiamo il distanziamento sociale, evitiamo assembramenti. Queste misure devono rappresentare una costante nella nostra vita, almeno fin quando non avremo un vaccino e dunque unimmunizzazione di massa.

Quali feedback ha ricevuto dalla comunità scientifica internazionale sul Tocilizumab?

Allindomani del 7 marzo, giorno in cui iniziammo il trattamento sui primi pazienti, c’è stato un interesse internazionale, da parte di colleghi americani, israeliani, russi, francesi, spagnoli e inglesi. Luso del Tocilizumab sui pazienti affetti da Covid-19 ha suscitato molto interesse. Tuttora ci sentiamo ogni settimana con i colleghi americani per fare il punto della situazione.

Tocilizumab, la sperimentazione di Ascierto va avanti: ottimista ma cauto, il vaccino arriverà ma occorre pazienza

Come nasce lidea di impiegare il Tocilizumab per curare la polmonite interstiziale?

Lidea nasce dal nostro lavoro quotidiano, il trattamento dei melanomi, per i quali c’è stata una grossa rivoluzione negli ultimi dieci anni grazie allavvento dellimmunoterapia. I farmaci utilizzati nellimmunoterapia provocano degli effetti collaterali dovuti alla iperattivazione del sistema immunitario; fra questi, la polmonite interstiziale. Avrete poi sentito parlare dellinnovativo trattamento delle cellule Car-T in ematologia, nel quale i linfociti T sono ingegnerizzati e trasformati per uccidere le cellule tumorali. Il 70% dei pazienti finiscono però in terapia intensiva, perché questi linfociti armati producono talmente tante sostanze per uccidere le cellule leucemiche, da provocare importanti effetti collaterali. Questa condizione si chiama tempesta citochinica. In particolare c’è una citochina, lInterleuchina 6, che è fondamentale. Il Tocilizumab, che agisce bloccando il recettore dellInterleuchina 6, ha risolto il problema degli effetti collaterali nel trattamento con cellule Car-T. In buona sostanza, la complicanza polmonare del Covid è dovuta proprio alla tempesta citochinica. Da qui lidea di ricorrere al Tocilizumab.

Quando saranno disponibili i primi dati dello studio clinico sul Tocilizumab?

Molto presto, è questione di giorni. Dal 7 al 19 marzo abbiamo utilizzato il farmaco in regime off label. Il 19 marzo è partito lo studio clinico, la cosiddetta fase 2, che ha arruolato 330 pazienti in appena 24 ore. Lobiettivo della sperimentazione è quello di verificare se il farmaco è stato in grado di ridurre la mortalità ad un mese di questi pazienti, rispetto alla mortalità storica, quella cioè riferita ai pazienti non trattati con il Tocilizumab. Lultimo paziente è stato trattato il 23 marzo; in questo momento c’è la raccolta dati, a cui farà seguito lanalisi; dopodiché lAifa darà i risultati.

Che cosa ne pensa della possibilità di far eseguire i test rapidi anche ai laboratori privati?

Sono favorevole. Partiamo da un presupposto: la condizione ideale sarebbe quella di fare il tampone a tutti, ce lo insegna lesperienza della Corea, così come quella del Veneto. Non essendo possibile fare il tampone a tutti in questo momento, ben vengano i test rapidi. La sierologia non è affidabile quanto il tampone, ma è comunque in grado di fornirci uninformazione importante.

Come spiega la differenza nel numero di contagi fra Nord e Sud del Paese?

Io sono convinto che qui al Sud siamo stati molto bravi nel rispettare lisolamento. Al Nord il virus ha circolato tantissimo perché sono stati colti di sorpresa, mentre noi siamo stati anche fortunati, perché osservando ciò che accadeva al Nord abbiamo avuto la possibilità di prepararci. E però è vero anche che al Nord c’è stata maggiore circolazione, non si sono fermati come ci siamo fermati noi.

Come si è presentata la sanità pubblica italiana nella lotta al virus? Le do un dato, 156 medici morti per Covid-19.

In Italia abbiamo sottovalutato ciò che stava accadendo in Cina. Quando il virus è arrivato, ci siamo fatti trovare impreparati. Gli ospedali ad un certo punto sono diventati la maggiore sorgente di infezione, perché hanno incominciato a ricoverare tutti; non c’è stata una prioritizzazione dei pazienti. Ai medici infettati, peraltro, hanno imposto di continuare a lavorare; anche se stavano bene erano sorgente di infezione. Ci sono state delle situazioni che hanno penalizzato gli operatori sanitari.

Il Coronavirus è arrivato alluomo facendo il salto di specie. Possiamo fare qualcosa per non farci trovare impreparati la prossima volta?

In passato ci sono state situazioni molto simili, come la SARS e la MERS, ma si è trattato di epidemie che non ci hanno toccato. Nellimmaginario di molti di noi questa volta sarebbe andata allo stesso modo: una situazione grave ma che non ci riguarda. Casi di passaggio del virus dallanimale alluomo ce ne sono già stati e quasi tutti hanno origine in Oriente. Questa esperienza ci insegnerà a non sottovalutare le epidemie da qui in avanti. Le emergenze biologiche rappresenteranno le emergenze del futuro.

Crede che il Paese fosse pronto per lingresso nella Fase 2?

Credo si sia dovuto trovare un compromesso fra questione sanitaria e crisi economica. Come medico, dico che forse avremmo dovuto stare fermi ancora per un po; è chiaro però che accanto alla necessità di contenere i contagi, cera lesigenza economica di far ripartire un Paese in sofferenza. Nel momento in cui si è deciso di ripartire, cerchiamo di farlo in maniera intelligente e responsabile. Non possiamo permetterci di abbassare la guardia.

Da scienziato, ritiene che forse era il caso di riaprire con tempi differenziati per aree geografiche?

Non si può fare di tutta lerba un fascio, su questo sono daccordo. Ci sono regioni del Sud in cui il rischio di contagi è decisamente inferiore alle regioni del Nord. La riapertura per fasce geografiche è qualcosa di auspicabile. Se ci sono delle regioni ad alto rischio, ci penserei due volte prima di riaprirle.

Dopo unemergenza del genere, una domanda sorge spontanea. Quanto è importante per un Paese investire nella ricerca?

La ricerca è il miglior investimento che noi possiamo fare per i nostri figli. Purtroppo da dieci anni a questa parte, in Italia e allestero, i fondi per la ricerca sono regolarmente tagliati a causa della crisi. La ricerca è una risorsa; è dalla ricerca che arrivano le idee per risolvere i problemi in situazioni di emergenza.

Che cosa ne pensa del trattamento con plasma dei guariti?

Ha una sua validità. Il plasma dei convalescenti è ricco di anticorpi e la possibilità che questi anticorpi vadano a neutralizzare il virus è alquanto concreta. La premessa fondamentale, qui come per il Tocilizumab, è che lefficacia di ogni trattamento deve essere verificata attraverso una sperimentazione.

Secondo lei come hanno raccontato i media italiani questa pandemia?

Credo che ci siano due fattori da considerare. Il primo è che ci troviamo dinanzi ad un virus giovane, apparso sulla faccia della terra a metà dicembre. Di fatto non si conoscono molte cose che sono invece note per altri virus. Il secondo elemento decisivo è che ciò che accadeva in Cina è stato sottovalutato e ridimensionato. Questi due fattori hanno orientato la comunicazione sul Coronavirus.

Qual è liter che dovrebbe condurci al vaccino?

I tempi per il vaccino non sono brevi. Al momento ci sono trenta aziende che lo stanno sviluppando e questo è un bene, perché non è detto che il primo vaccino sarà il migliore. Il test sugli animali serve a comprendere se il vaccino è in grado di produrre anticorpi in una quantità che sia realmente neutralizzante. Si parte dal topo, per poi passare al furetto e alla scimmia. Ogni passaggio ci da delle informazioni; poi si arriva alluomo. Anche qui si deve verificare se c’è la produzione degli anticorpi necessari. Trovato il dosaggio ottimale, si sperimenta su un numero maggiore di pazienti per osservare se ci sono effetti collaterali. Si arriva così alla fase 3, in cui bisogna verificare se c’è effettivamente la protezione dal virus. Ve lho raccontato in un minuto, ma per fare tutto ciò ci vuole almeno un anno.

Ci sono persone che sono già preoccupate per la pericolosità di un vaccino che ancora non esiste. Può rassicurarle in qualche modo?

Come ho già detto in unaltra intervista, sarò fra i primi a vaccinarsi. Quando credi in qualcosa, devi essere il primo ad immolarti per la causa, dimostrando che non ci sono problemi ma solo benefici.

Secondo lei un sistema sanitario centralizzato avrebbe consentito una risposta più tempestiva ed efficace in unemergenza del genere?

Credo che sia necessaria unazione di coordinamento più efficace; forse abbiamo bisogno di una task force permanente per le emergenze biologiche, così come ce labbiamo per le emergenze causate da terremoti o altre calamità naturali. Un gruppo di persone che si mettere a studiare e che sa cosa fare nel momento in cui arriva il virus.

Dopo otto settimane di clausura, c’è stato un allentamento della pressione psicologica. Ha un appello da rivolgere a quelli che si assembrano per le strade, a Milano come a Napoli o a Palermo, convinti che lemergenza sia finita?

Non c’è nessun rompete le righe: il rischio di una nuova ondata di contagi è elevato. In questo momento le terapie intensive non sono più in sofferenza, un dato buono, ma non significa che il pericolo è scampato. Siamo a centro metri dal traguardo, non vanifichiamo tutto quello che abbiamo fatto di buono in due mesi. Sono sicuro che presto tutto passerà e questo sarà solo un brutto ricordo.

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Politica

Regioni contro piano pandemico. Ministero, ‘confronto’

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Il piano pandemico 2025-2029 messo a punto dal governo potrebbe rivelarsi una nuova fonte di frizione tra il ministero della Salute e le Regioni. Rinviato all’esame della Conferenza delle Regioni, ha infatti ricevuto un netto stop dalla commissione Salute della Conferenza: è “ridondante”, “manca la catena di comando” ed è dunque necessaria una sua “revisione e ristrutturazione”. Critiche alle quali il dicastero risponde, ma aprendo al dialogo e con la richiesta di un “confronto immediato”.

Le osservazioni sul piano sono contenute in una nota della Commissione: il ‘Piano strategico-operativo di preparazione e risposta ad una pandemia da patogeni a trasmissione respiratoria a maggiore potenziale pandemico 2025-2029’, proposto dal ministero della Salute, “risulta “eccessivamente discorsivo, ridondante e di difficile consultazione” e “non presenta una catena di comando chiara e definita”, si legge. Le Regioni chiedono pertanto di “renderlo molto più sintetico e schematico per facilitarne la fruizione, evitando ridondanze e ripetizioni di concetti”. Critico il tema della catena di comando: il piano si limita “ad elencare sommariamente i vari possibili attori”. Inoltre, “non assume alcun valore decisionale né orientativo per le Regioni, ma rimanda a decisioni successive, non affronta gli aspetti relativi alla gestione della privacy e non propone scenari coerenti e sostenibili con la risposta che il Piano dovrebbe invece proporre”.

La Commissione Salute richiede anche lo stralcio di alcune parti e la loro inclusione in un documento successivo “concordato con le Regioni”. Si richiedono poi maggiori dettagli per “l’utilizzo del finanziamento soprattutto per l’assunzione di personale al fine di rafforzare le strutture regionali che si occupano della preparedness pandemica”. La nota è del 18 aprile scorso e si convoca una riunione tecnica in videoconferenza per il 21 maggio. Alla bocciatura delle Regioni risponde Maria Rosaria Campitiello, capo dipartimento prevenzione, ricerca ed emergenze sanitarie del ministero della Salute: “Apprendiamo delle nuove sopraggiunte esigenze rappresentate dalla Commissione salute in merito al nuovo piano pandemico, e per questo chiederò immediatamente un confronto con la Commissione, confidando che si possa arrivare nel più breve tempo alla chiusura del testo del nuovo piano nell’interesse della salute pubblica degli italiani”. Il piano, sottolinea, “è frutto di un lungo percorso di condivisione anche con i rappresentanti delle Regioni, le cui richieste sono state nella maggior parte recepite nella stesura del documento”.

Campitiello ricorda inoltre che l’ultima legge di bilancio stanzia i fondi necessari per l’attuazione del piano aggiornato: si tratta di 50 milioni di euro per l’anno 2025; 150 milioni per il 2026 e 300 milioni annui a decorrere dal 2027. Il nuovo piano – inviato alla Conferenza delle Regioni lo scorso febbraio e che introduce delle modifiche rispetto alle bozze precedenti – prevede, tra le misure indicate, l’impiego dei vaccini ma non come unico strumento per contrastare la diffusione dei contagi, restrizioni alla libertà personale solo in alcuni casi e unicamente di fronte a una “pandemia di carattere eccezionale”, ma senza ricorrere ai Dpcm come invece è avvenuto negli anni del Covid. Previsti anche test, isolamento dei casi, tracciamento dei contatti e la messa in quarantena degli individui esposti, così come la nomina di un Commissario straordinario. Il piano ipotizza poi 3 scenari, due dovuti a virus influenzali e considerati più probabili e il cosiddetto worst-case, il peggiore possibile, poco probabile ma che non può essere escluso. In quello più grave si stimano fino a 3 milioni di ricoveri e oltre 360mila persone in terapia intensiva.

“Le Regioni stroncano il piano del governo, ma danno l’ok alle misure di Conte”, commenta Andrea Quartini, capogruppo M5s in Commissione Affari Sociali: “Quello che non viene nominato dalla Commissione Salute – sottolinea – sono infatti le misure contenute nel piano, quelle su cui l’esecutivo ha fatto copia-incolla dagli strumenti messi in campo dal governo Conte durante il Covid e che vengono evidentemente giudicate positivamente”.

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Salute

Curare l’ipertensione riduce rischio demenza e declino mentale

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Combattere la pressione alta riduce del 15% il rischio di demenza e del 16% quello di declino cognitivo: lo rivela uno studio clinico di fase 3 che ha coinvolto quasi 34.000 pazienti, i cui risultati sono resi noti su Nature Medicine, evidenziando che un controllo più intensivo sui pazienti ipertesi, potrebbe ridurre l’impatto globale della demenza. Lo studio è stato condotto da epidemiologi e clinici dell’università del Texas a Dallas. Si stima che il numero globale di persone colpite da demenza raggiungerà 152,8 milioni entro il 2050.

Diversi studi hanno evidenziato che adottare uno stile di vita sano, dalla dieta all’attività fisica regolare, potrebbe essere il modo più efficace per ridurre l’aumento dei casi a livello globale. Si è anche visto che le persone con ipertensione non trattata hanno un rischio maggiore del 42% di ammalarsi nel corso della vita rispetto ai coetanei sani. Questo lavoro, però, è proprio uno studio clinico per testare l’effetto dei farmaci antipertensivi sul rischio di demenza. Diretto da Jiang He, lo studio ha valutato l’efficacia di un intervento condotto da operatori sanitari sul controllo della pressione, sulla demenza e sulla compromissione cognitiva, in 33.995 pazienti ipertesi in Cina.

I pazienti avevano almeno 40 anni, vivevano in zone rurali e soffrivano di ipertensione non gestita. I pazienti sono stati divisi in due gruppi: 17.407 pazienti hanno ricevuto farmaci antipertensivi e sono stati seguiti dal personale sanitario con consigli anche a casa relativi allo stile di vita (inclusi perdita di peso, riduzione del sale nella dieta e del consumo di alcol) e aderenza alla terapia farmacologica. I partecipanti nel gruppo di controllo sono stati formati nella gestione della pressione arteriosa ma con monitoraggi solo ambulatoriali. Nel corso di 48 mesi, gli autori hanno osservato che il gruppo di intervento ha ottenuto un miglior controllo della pressione sanguigna, con un numero maggiore di pazienti che ha raggiunto i livelli target rispetto al gruppo di controllo. Ma soprattutto è emerso che una gestione intensiva della pressione riduce sostanzialmente il rischio di demenza di qualsiasi tipo (non solo Alzheimer) del 15% e quello di declino cognitivo del 16%. Secondo gli autori questo tipo di intervento dovrebbe essere ampiamente adottato e ampliato per contribuire ad alleggerire il carico globale della demenza.

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Cronache

Aneurisma della vena renale: intervento da record al Santobono su un 17enne

Salvato il rene con un’operazione mininvasiva: è il primo caso al mondo in età adolescenziale.

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Un intervento mai eseguito prima al mondo su un paziente adolescente è stato portato a termine con successo all’Ospedale Santobono di Napoli. Un ragazzo di 17 anni è stato operato d’urgenza per un raro aneurisma della vena cava-renale, una patologia riscontrata finora solo in pochi casi al mondo, e sempre in età adulta. La straordinaria operazione ha permesso di salvare il rene, evitando l’asportazione dell’organo grazie all’utilizzo della chirurgia laparoscopica, tecnica mininvasiva d’eccellenza.

Il primo caso al mondo trattato in età pediatrica

Il giovane era stato trasferito d’urgenza da un altro ospedale dopo che la dilatazione anomala della vena renale destra, fino alla congiunzione con la vena cava, aveva compromesso seriamente la funzionalità renale. L’intervento è stato eseguito dal dottor Giovanni Di Iorio, direttore della Struttura complessa di Urologia pediatrica del Santobono, con la sua equipe altamente specializzata. Nessuno dei casi simili descritti in letteratura scientifica aveva mai consentito di salvare il rene. In questo caso, invece, è stata possibile una ricostruzione minuziosa della vena renale, senza occlusione e senza asportazione dell’organo.

Chirurgia mininvasiva e recupero record

L’intervento, reso ancora più complesso dalla posizione delicata dell’aneurisma e dalle sue dimensioni, è stato eseguito in laparoscopia, tecnica che ha ridotto notevolmente il dolore post-operatorio e permesso un recupero rapido. «Abbiamo scelto un approccio mininvasivo avanzato, grazie all’esperienza del nostro team e al supporto dell’equipe anestesiologica, riuscendo a garantire al paziente una soluzione efficace e sicura», ha dichiarato il dottor Di Iorio.

Una nuova frontiera per la chirurgia adolescenziale

«La fascia adolescenziale è spesso in una terra di mezzo tra pediatria e medicina per adulti», ha spiegato Rodolfo Conenna, direttore generale del Santobono-Pausilipon. «Per questo stiamo lavorando per ampliare i nostri percorsi assistenziali dedicati ai giovani fino ai 18 anni». Tutte le competenze acquisite saranno trasferite nel nuovo ospedale Santobono, in costruzione a Napoli Est, con spazi più ampi, nuove tecnologie e una forte spinta sulla ricerca scientifica.

Il giovane paziente, ora in ottime condizioni cliniche, sarà a breve dimesso e continuerà il percorso di recupero con un monitoraggio specialistico costante da parte del team del Santobono.

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