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Cronache

La mafia si dà all’ippica, il boss controllava l’ippodromo di Palermo: 9 arresti per gare truccate

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Il Gip del Tribunale di Palermo, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, ha disposto nove misure cautelari, eseguite dai carabinieri, nei confronti di persone accusate a vario titolo di concorso esterno in associazione mafiosa, trasferimento fraudolento di valori aggravato in concorso e frode in competizioni sportive. Per otto è stata disposta la custodia cautelare in carcere, per uno i domiciliari. L’inchiesta, denominata convenzionalmente “COrSA NOSTRA”, ha accertato come la mafia controllasse l’ippodromo di Palermo. L’inchiesta, che ha riguardato fantini, titolari di scuderie e allenatori, ha svelato un sistema di gare truccate gestite da Cosa nostra che decideva quale cavallo dovesse vincere e intascava i soldi delle scommesse. Gli interessi della mafia sull’ippodromo di Palermo erano emersi gia’ in una indagine della dda che, nei mesi scorsi, porto’ all’arresto, tra gli altri, del boss di San Lorenzo Giovanni Niosi. I carabinieri, intercettando il capomafia, accertarono i suoi rapporti con alcuni personaggi molto conosciuti nel mondo dell’ippica a Palermo, come Giuseppe Greco, che avrebbe accompagnato piu’ volte Niosi a summit di mafia, Domenico Zanca e la giovane fantina Gloria Zuccaro, tutti arrestati oggi dai carabinieri.

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Cronache

Violentata fuori dalla discoteca, due fermati

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La serata di Ferragosto con gli amici in discoteca, i balli, i drink in uno dei locali più frequentati nella zona della movida estiva di Genova. E poi il buio e la brutalità di due sconosciuti, poco più che ragazzini. L’incubo di Gaia (nome di fantasia per tutelare la vittima) è finito sabato pomeriggio quando la squadra mobile genovese ha fermato i due autori della violenza sessuale di gruppo e delle lesioni aggravate. Si tratta di due italiani, di origini albanesi e capoverdiane, di 21 e 19 anni. Il più grande aveva comprato da poco due biglietti aerei. Sarebbe partito dall’Italia verso la Spagna per poi andare in Francia. Un giro troppo “articolato” che ha spinto la pm Valentina Grosso a emettere un decreto di fermo.

Lo stupro, è emerso, è stato ripreso con i telefonini. Tutto inizia la notte del tra il 14 e il 15 agosto. Gaia è con un gruppo di amici a ballare e bere in discoteca. I due ragazzini tentano di approcciare il gruppo, girano intorno alle donne. Ma vengono respinti più volte. A notte fonda la donna decide di tornare a casa. Non si accorge che i due la seguono e quando è fuori dal locale il più grande l’afferra per un braccio, fa un cenno col capo al suo amico, e insieme la trascinano poco lontano, in un luogo appartato e un po’ isolato. Gaia prova a reagire, ma i due hanno il sopravvento. La lasciano poi dolorante, in lacrime. A sentire i lamenti è un passante che la trova a terra rannicchiata.

Chiama i soccorsi e la donna viene portata all’ospedale Galliera, centro specializzato nelle violenze sulle donne. Viene attivato il protocollo rosa e le prime visite accertano quello che ha subito, mentre non è stato possibile ancora chiarire se sia stata anche drogata. Gli agenti della squadra mobile raccolgono poi il suo racconto. Gli investigatori partono dalle telecamere di videosorveglianza del locale e della strada e, anche grazie alle varie testimonianze, riescono a risalire al più grande. E’ già conosciuto perché autore di alcune rapine e scippi mentre il più piccolo è un operaio che è stato licenziato da poco. E’ la stessa Gaia che li riconosce poi tra una serie di fotografie che gli agenti le mostrano. Ma quando gli inquirenti scoprono che uno dei due sta lasciando l’Italia, le indagini accelerano e per i due scatta l’arresto. A inchiodarli sono state anche le immagini, durissime, di quella terribile notte riprese dai telefonini. I ragazzi sono adesso nel carcere femminile di Pontedecimo dove c’è una sezione dedicata ai sex offender.

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Cronache

Nessuna nuova prova per Olindo e Rosa e nessun complotto

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Non ci sono nuove prove nelle richieste di revisione della condanna di Olindo Romano e Rosa Bazzi, la coppia a cui per l’eccidio dell’11 dicembre del 2006, in cui furono uccise a sprangate e coltellate quattro persone, fu inflitto il carcere a vita. Lo hanno stabilito i giudici della Corte d’appello di Brescia, dopo le udienza in cui l’istanza era stata discussa l’estate scorsa al termine delle quali era sta dichiarata inammissibile.

Non esiste la pista alternativa, prospettata dalla difesa, della faida per lo spaccio di droga: “L’ipotetico movente legato a un regolamento di conti nell’ambito del traffico di sostanze stupefacenti è stato invano approfondito nella prima fase delle indagini e non ha trovato alcun riscontro”, scrive la Corte in 88 pagine. Nemmeno vi è stato un complotto. come adombrato dagli imputati, che avrebbe portato alla falsità di prove, o meglio della loro formazione. Oltre a ripercorrere come queste prove si sono formate, i giudici sottolineano che i precedenti gradi di giudizio hanno escluso, per esempio a proposito delle confessioni di Olindo e Rosa “qualsiasi illegittimità nell’operato dei pubblici ministeri che raccolsero le confessioni, registrandole”.

Vi è poi una questione che, per i giudici, spazza ogni dubbio: la testimonianza di Mario Frigerio, sopravvissuto miracolosamente alla strage (morì alcuni anni dopo) che la difesa riteneva viziata anche dall’inalazione del fumo che si sprigionò dopo che gli assassini appiccarono l’incendio all’appartamento in cui vivevano Raffaella Castagna, suo figlio Youssef, due anni, entrambi uccisi, e in cui morirono anche la madre della donna, Paola Galli, e una vicina di casa, Valeria Cherubini, moglie di Frigerio. Secondo i legali, il nome di Olindo sarebbe stato suggerito a Frigerio quando fu sentito in ospedale dal luogotenente dei carabinieri di Erba Luciano Gallorini. Per la Corte, però, “il dato dirimente con cui la difesa non si confronta è che la prova che ha concorso a formare il giudicato di condanna non è costituita dalla deposizione o dall’annotazione di Gallorini ma dalla testimonianza resa in dibattimento da Frigerio” .

La richiesta presentata dal sostituto procuratore generale di Milano Cuno Tarfusser è “prima ancora che carente sotto il profilo della novità della prova” inammissibile “per difetto di legittimazione del proponente” che era “privo di delega relativamente alla materia delle revisioni, riservata, secondo il documento organizzativo dell’ufficio, all’avvocato generale”. Lo stesso ufficio, trasmettendo la richiesta a Brescia, aveva chiesto l’inammissibilità. Dai giudici, infine, un’altra bocciatura di metodo: “Poiché una parte delle prove presentate sono rappresentate da interviste, la natura di documenti di tali interviste non vale a conferire loro il rango di prova ammissibile in sede processuale. Diversamente dal testimone escusso in giudizio, il soggetto intervistato non ha l’obbligo di dire la verità e non assume alcun impegno in tal senso. Al contrario è sicuramente condizionale dalla pubblicità che il mezzo garantisce e tende generalmente a compiacere l’intervistatore”. E non vi è nessuna tutela di fronte a domande “suggestive, insinuanti e insidiose”.

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Ambiente

Capodichino, sequestrati coralli portati illegalmente dalla Turchia

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Nell’ambito delle attività di contrasto ai traffici illeciti, i finanzieri della Compagnia di Capodichino, in collaborazione con i funzionari dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli – 1 SOT Napoli Capodichino, hanno intercettato un cittadino italiano proveniente da Istanbul che trasportava illegalmente 20 esemplari di corallo. Il materiale era privo della documentazione richiesta dalla Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione (CITES).

Durante i controlli, i coralli rinvenuti nel bagaglio del passeggero sono risultati appartenenti all’Ordine “Scleractinia Bourne”, classificazione nell’Appendice II della Convenzione CITES e nell’Allegato B del Regolamento CE 338/97. La mancanza di autorizzazioni valide per l’importazione ha portato al sequestro degli esemplari.

L’uomo è stato sanzionato con una multa che può variare da 3.000 a 15.000 euro, secondo quanto previsto dall’art. 2, comma 3, della Legge n. 150 del 07/02/1992. Il sequestro dei coralli è avvenuto in linea con le normative vigenti per la protezione delle specie a rischio di estinzione.

Le attività di controllo messe in atto dagli enti coinvolti mirano a garantire il rispetto delle regole internazionali per la tutela della fauna e della flora selvatiche, continuando a monitorare e reprimere i traffici illegali che minacciano gli ecosistemi.

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