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Corona Virus

La grande serrata, le città chiuse contro il virus

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Il lungo rosario di serrande abbassate a Torino. Milano ovattata in un silenzio interrotto da pochi bus, in cui si vede solo la sagoma del conducente. Roma come una domenica d’agosto senza turisti, e la sua grande bellezza esposta all’occhio di quei pochi in mascherina intenti a sanificare il suolo di sampietrini. Napoli, senza bar e odore di caffe’, che sembra ancora dormire. E ovunque i vigili urbani di fronte al traffico inesistente, animato solo da sparuti passanti dal passo veloce: gli unici che hanno “comprovate ragioni” per circolare. E’ il primo giorno della serrata italiana, dove le citta’ nude assomigliano ad un quadro di Hopper: un vuoto in cui si ha sempre l’impressione che qualcosa stia per accadere. E che sembra ripetersi all’infinito. Fuori dalla porta di casa sono piu’ che tangibili gli effetti del nuovo decreto emanato dal Presidente del Consiglio. Mentre le citta’ lentamente si spengono sempre di piu’, si moltiplicano le disinfettazioni delle strade, di porti, stazioni e mezzi di trasporto veloci e locali, dove si contano nove passeggeri in meno su dieci rispetto solo a 24 ore fa. Chiudono man mano anche gli aeroporti, da quello di Ciampino allo stop, previsto il 17 marzo, del terminal 1 di Fiumicino e quello imminente di Linate e altri hub su tutto il territorio nazionale, secondo un annunciato decreto del Ministero dei Trasporti. Nella Capitale, per decisione del vicario di Roma, anche le chiese chiudono i battenti e tutti gli edifici di culto resteranno interdetti ai fedeli fino al 3 aprile. Restano ad accogliere le persone solo gli uffici, le farmacie e parafarmacie, le edicole, i tabaccai e i benzinai.

Lo shopping non esiste piu’, a partire dalle sue vie piu’ storiche che da sempre caratterizzano il Paese: da via Montenapoleone a Milano a via Condotti a Roma i negozi di abbigliamento sono tutti chiusi, cosi’ come ovunque i centri benessere, parrucchieri o estetisti. Nel capoluogo lombardo, in piazza Duca d’Aosta su cui si affaccia la stazione centrale, non c’e’ vita. Le poche persone che si trovano per strada, nella citta’ che fa della vita agile e veloce la propria cifra, hanno un passo lento, sguardi bassi, molti sono in strada solo per portare in giro il cane, evitano di incrociarsi. Oggi non ci si potra’ incontrare neanche ai mercati rionali, inseriti dopo le recenti polemiche, tra le attivita’ vietate. Venezia sembra voler mantenere il ritmo di prima. Bar e negozi sono sprangati senza eccezioni, ma per le calli la gente si muove gia’ di primo mattino.

A Piazzale Roma l’atmosfera e’ surreale, complice una fitta nebbia che crea ulteriori problemi: molte linee di vaporetti saltano, altre hanno tragitti acquei ridotti. Girando per la citta’ tutti espongono il cartello che annuncia la chiusura. A Torino i negozi hanno rinunciato a illuminare le vetrine. E il gesto suona come un monito: “qui non c’e’ piu’ niente da vedere, state a casa”. I tram e gli autobus, vuoti nonostante l’ora di punta, marciano spediti approfittando dell’insolita penuria di traffico. I passanti si contano sulle dita. Nella Napoli chiusa per coronavirus non si sentono nemmeno gli schiamazzi delle bande di ragazzini che oltraggiano solitamente i grandi spazi della Galleria Umberto per giocare a pallone. Gli unici presenti sono solo alcuni senza casa avvolti a terra nelle coperte. A pochi passi dalla Galleria, vicino a Piazza Plebiscito, a quest’ora gia’ tradizionalmente affollata, chiusi bar e locali storici che dalle prime ore del mattino servivano decine di caffe’ – un vero e proprio rito per i napoletani – e che ora appaiono con le serrande chiuse. Stesse immagini a Palermo, Catanzaro e a Bari. Qui i passanti hanno quasi tutti le mascherine e alcuni anche con i guanti. Qualcuno, approfittando della giornata di sole, e’ seduto sulle panchine di fronte al mare, sia pure col volto coperto dalla mascherina. Mentre altri corrono sul Lungomare, molto meno affollato del solito, per “tenersi in forma”. Nell’hinterland di Trieste un mezzo bianco della Protezione civile transita nelle strade deserte lanciando un monito dagli altoparlanti: “Avvisiamo la popolazione che e’ stato disposto il divieto di uscire da casa se non per esigenze lavorative autocertificabili…”. La voce metallica ha un che di lugubre, riaffiorano vecchie paure di confine: il coprifuoco. Non e’ la guerra, ma il primo giorno di un Paese che, contro la minaccia invisibile del virus, ha cominciato a lottare. Silenziosamente.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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