Sono arrivati i nuovi modelli DR Automobiles Groupe: sono nove le preview al Dealer Day di Verona. Nella tre giorni dedicata agli operatori del settore automotive, il gruppo molisano espone in anteprima alcune preserie dei quattro brand EVO, DR, Sportequipe e Tiger.
Evo 6
EVO
Oltre alla EVO 3, EVO 5 e EVO 7, già a listino, i visitatori del Dealer Day potranno ammirare da vicino la nuova EVO 6, che andrà ad arricchire la gamma EVO a partire dal secondo semestre del 2024.
Linee moderne, completamente rinnovate rispetto alla precedente EVO 6.
Soprattutto il frontale, con una grande calandra e i gruppi ottici superiori assottigliati, ne caratterizza il look.
Le maniglie integrate nelle portiere anteriori e posteriori contribuiscono a conferirle un design complessivamente molto pulito.
Nell’abitacolo, molto spazioso e confortevole, spicca la plancia con un dual screen: il touch infotainment centrale (10,1”) e l’ampio display del computer di bordo (10,25”).
La dotazione di serie è ricchissima. Un vero plus il grande tetto panoramico.
Lunga 4,6 mt. con un passo generoso di 2,7 mt., è spinta da un 1.5 turbo benzina (o Thermohybrid benzina/GPL) ad iniezione diretta da 177 CV abbinato ad un cambio DCT a 7 rapporti.
È dotata di numerosi sistemi di assistenza alla guida tra cui il sistema di sicurezza attiva per evitare collisioni frontali e laterali e quello di parcheggio automatico.
DR 3.0 Executive
DR
Tre anteprime assolute invece per il marchio DR.
A Verona fa la sua prima apparizione in pubblico la nuova DR 3.0 Executive, che andrà ad affiancare l’attuale versione di DR 3.0. Linee ed interni completamente rinnovati, molto più sportiveggianti ed accattivanti. Non cambia nulla invece dal punto di vista della motorizzazione, resta il 1.5 benzina aspirato da 116 cv, anche benzina/GPL.
Al debutto anche la DR 6.0 1.6 TGDI.
Stesso allestimento e ricca dotazione di serie dell’attuale DR 6.0 MT e CVT ma con un motore turbo benzina (o Thermohybird benzina/GPL) ad iniezione diretta in grado di sprigionare ben 185 cavalli rispetto ai 154 delle versioni 1.5 turbo attuali.
DR 6.0 Plug-in Hybrid
Ma soprattutto a Verona è stata svelata la DR 6.0 Hybrid Plug-in da 315 CV.
È spinta da un motore termico 1.5 turbo benzina da 108 Kw e due motori elettrici (uno da 55 Kw, l’altro da 70 Kw) che, alimentati da un pacco batterie con tecnologia ternaria agli ioni di litio da 19,3 kWh, hanno un’autonomia complessiva di 80km.
Ha tre sistemi di recupero energia in fase di decelerazione. Inoltre i due motori elettrici recuperano energia anche in fase d frenata, in base all’intensità della stessa. In entrambi i casi l’energia meccanica viene convertita in energia elettrica in grado di ricaricare il pacco batterie.
Ma le batterie si ricaricano anche quando l’auto è ferma o in fase di parcheggio, con il motore termico acceso e al minimo.
Il sistema Hybrid della DR 6.0 ha diverse modalità di funzionamento:
– con un solo motore elettrico a basse velocità e con il pacco batterie carico;
– con entrambi i motori elettrici a velocità intermedie, con il pacco batterie carico;
– extended range, con due motori elettrici in serie, di cui uno ricarica le batterie, a basse velocità e con un basso livello di carica del pacco batterie;
– in parallelo, con il motore termico e i due elettrici, in fase di accelerazione;
– con il solo motore termico quando è basso il livello di carica del pacco batterie e la velocità è sostenuta.
Sono diversi i sistemi di assistenza alla guida:
– adaptive cruise control,
– segnalazione angoli ciechi;
– allarme collisione posteriore;
– allarme collisione anteriore;
– frenata di emergenza;
– assistenza al mantenimento di corsia;
– assistenza al cambio di corsia;
– avviso cambio corsia;
– anabbaglianti/abbaglianti intelligenti;
– allarme apertura portiere in caso di ostacoli;
– assistente di viaggio con rilevamento traffico;
Sportequipe 6
Sportequipe
Nuove linee, molto più sportive, nuove motorizzazioni e nuovi allestimenti di serie per le nuove Sportequipe 6 e Sportequipe 7 in preview a Verona.
Preannunciano la vera e propria rivoluzione che si concretizzerà in casa Sportequipe tra la fine del 2024 e gli inizi del 2025.
Entrambe sono spinte da un 1.6 turbo benzina (anche in questo caso saranno disponibili le versioni Thermohybrid benzina/GPL) ad iniezione diretta da 185 CV abbinato ad un cambio DCT a 7 rapporti.
Design innovativo e futuristico per la Sportequipe 6 (4,5 mt. di lunghezza, passo di 2,7 mt.), grazie ad un frontale che prevede i DRL molto assottigliati e ad altezza cofano, il resto dei gruppi ottici più in basso ad incastonare l’imponente griglia. Sulle fiancate le maniglie delle portiere sono a scomparsa.
Presenta tante novità anche dal punto di vista degli allestimenti interni con alcune peculiarità, come il paddle del cambio al volante, il generoso schermo touch al centro della plancia, i piccoli monitor sulle portiere anteriori con informazioni sulla temperatura e il livello di particolato all’interno dell’abitacolo, la ricarica wirless dello smartphone refrigerata.
Sportequipe 7
Un po’ più “classica”, seppur completamente rinnovata, sia nelle linee che nell’allestimento, la Sportequipe 7. Un 5+2 posti di 4,7 mt, molto confortevole con interni particolarmente eleganti e curati. Spicca il tetto panoramico ultrawide da 62”. Una consolle centrale sospesa integra leva del cambio e comandi touch del climatizzatore.
Numerosi sistemi di assistenza alla guida: adaptive cruise control, allarme collisione anteriore, posteriore e laterale; frenata di emergenza, assistenza al mantenimento di corsia, assistenza al cambio di corsia, avviso cambio corsia, anabbaglianti/abbaglianti intelligenti, assistente di viaggio con rilevamento traffico.
McPershon anteriori, multilink posteriori e cerchi in lega da 20” per entrambi i modelli.
Tiger 5
Tiger
Prima uscita in assoluto per il nuovo brand del gruppo, Tiger.
Dopo l’annuncio di qualche settimana fa circa l’acquisizione avvenuta nel 2022 dello storico marchio inglese, in anteprima a Verona tre dei sei modelli previsti in gamma.
La Tiger Five è un suv di 4,5 mt. spinto da un 1.5 turbo benzina da 177 CV abbinato ad un cambio DCT a 7 rapporti. Si può scegliere tra tre modalità di guida: Standard – Eco – Sportivo.
Design molto sportivo ed accattivante, con un frontale importante, dove spiccano i gruppi ottici con DRL e fari separati oltre ad una grande calandra. Cerchi in lega da 20”. Gli interi sono molto curati ed in linea con il design esterno. Sulla plancia spicca un unico display da 20,5” che include sia il quadro strumenti (10,25”) che l’infotainment (10,25”).
Tiger 6
La Tiger Six è un suv di 4,6 mt. spinto da un 1.5 turbo benzina da 174 cv con cambio DCT a 7 rapporti, che anche in questo caso permette di scegliere tra tre diverse modalità di guida: Eco – Comfort – Sport. Nel design della Tiger Six spicca il frontale anche se in generale le linee sono un po’ più arrotondate e morbide rispetto alla Tiger Five. Sulla plancia anche in questo caso domina il grande dual screen da 24,6” complessivi, tra quadro strumenti ed infotainment.
Tiger 7
La Tiger Seven è invece un monovolume 7 posti da 4,8 mt. dall’insolito design sportivo. Anche in questo caso il motore è 1.5 turbo ad iniezione diretta da 177 CV con cambio DCT a 7 rapporti.
L’ampio tetto panoramico è un vero plus che consente a tutti gli occupanti di questo vero e proprio salotto viaggiante di avere un’ampia visuale e di godere della luce esterna.
Sospensioni anteriori indipendenti McPherson e posteriori indipendenti multilink per tutti e tre i modelli.
Da lunedì i soci di Banco Bpm potranno aderire all’offerta di Unicredit ma in questo momento tutti si chiedono se conviene, gli azionisti di Piazza Meda, la Borsa e lo stesso Andrea Orcel, il ceo di Piazza Gae Aulenti. Agli azionisti converrebbe vendere sul mercato. Per ciascuna azione di Bpm consegnata, che nell’ultima seduta di Borsa valeva 9,74 euro consegnata, si ricevono 0,175 azioni UniCredit (che venerdì valevano 50,87 euro), uno sconto che va oltre l’8 per cento. Improbabile un rialzo di prezzo ora che Unicredit deve fare i conti con i paletti imposti dal governo e con l’acquisizione di Anima che senza il Danish Compromise – una normativa europea che consente alle banche di acquisire assicurazioni con un minor assorbimento di capitale – pesa sull’indice patrimoniale di Banco Bpm e la rende meno attraente. L’offerta però resterà aperta fino al 23 giugno e nel frattempo Unicredit cerca un dialogo con il governo.
Le prescrizioni, tra cui il mantenimento del rapporto prestiti/depositi in Italia, le filiali di Banco Bpm in Lombardia e l’uscita dalla Russia entro il gennaio 2026, hanno un impatto che gli analisti di Jp Morgan hanno provato a calcolare: cento milioni di minori sinergie sui ricavi derivanti dalla stabilità del rapporto prestiti/depositi; 47 punti base di impatto CET1 derivante dall’uscita dalla Russia equivalente a 1,4 miliardi di capitale; 300 milioni di minori sinergie sui costi su un totale di 0,9 miliardi di euro. E in caso di inadempimento o violazione delle prescrizioni, secondo indiscrezioni, rischierebbe una multa compresa tra 300 milioni e 20 miliardi di euro. La normativa stabilisce infatti che la sanzione amministrativa possa arrivare fino al doppio del valore dell’operazione, e non sia inferiore all’1% del fatturato cumulato dell’ultimo esercizio approvato. Mentre Orcel si interroga se ne valga la pena, le tecnicalità vengono portate avanti e dopo una lunga istruttoria il 24 aprile è stato notificato alla DG Competition l’operazione di fusione e una risposta è attesa entro il 4 giugno.
“Data la forte complementarietà, presumiamo che non vi sia alcun piano di riduzione degli sportelli di in Lombardia”, sottolineano gli analisti di Jp Morgan, ricordando che Banco Bpm ha una quota di mercato del 13% contro il 6% di Unicredit. Resta in ogni caso sotto la soglia del 25% richiesta dall’Antitrust europeo. Il gruppo combinato avrebbe quote di mercato in eccesso solo in Sicilia (27%); raggiungerebbe il 24% in Val d’Aosta e Molise, il 23% in Piemonte, il 21% in Veneto e Lazio. La via del dialogo va percorsa, anche se il ministro Giancarlo Giorgetti tiene il punto e, a margine dei lavori del Fmi, non mostra segni di ammorbidimento. “Il governo deve valutare l’interesse nazionale, che non sono le competenze della Bce o della dg competition, è l’interesse nazionale. Qui (negli Usa ndr) ho capito che l’interesse nazionale risponde ad un concetto abbastanza virile anche in materia economica. In Italia abbiamo un concetto di interesse nazionale un po’ più lasco. Io li invidio gli americani”, ha chiosato.
Con il 52,38% dei voti, l’assemblea dei soci di Generali ha scelto la lista di Mediobanca, confermando per il prossimo triennio Philippe Donnet(foto Imagoeconomica in evidenza) nel ruolo di amministratore delegato e Andrea Sironi come presidente. Una decisione che riafferma la linea della continuità e della stabilità nella governance della storica compagnia assicurativa triestina.
Affluenza e composizione del voto
L’assemblea, che ha registrato un’affluenza del 68,7%, è tornata in presenza per la prima volta dal 2019, riunendo oltre 450 azionisti presso il Generali Convention Center. A pesare sul risultato finale sono stati in particolare i voti degli istituzionali (circa il 17,5%) e un sorprendente apporto del retail (5%), mai così attivo. Anche la Cassa forense, con il suo 1,2%, ha votato a favore della lista Mediobanca.
Risultato del gruppo Caltagirone e confronto con il 2022
La lista Caltagirone ha ottenuto il 36,8% del capitale votante, confermando il ruolo di minoranza forte, ma non sufficiente a ribaltare gli equilibri. I fondi Assogestioni, con il 3,67%, non superano la soglia del 5% e quindi restano fuori dal consiglio. Il confronto con il 2022 mostra un equilibrio sostanzialmente stabile: allora Mediobanca aveva ottenuto il 56%, Caltagirone il 41%.
Il nuovo consiglio d’amministrazione
Il nuovo board sarà composto da 13 membri, con una struttura molto simile a quella uscente. Oltre a Donnet e Sironi, confermati nomi come Clemente Rebecchini, Luisa Torchia, Lorenzo Pellicioli, Antonella Mei-Pochtler, Alessia Falsarone. Tra le novità, Patricia Estany Puig e Fabrizio Palermo, ex ceo di Cdp e attuale ad di Acea.
Il ruolo di Unicredit, Delfin e gli altri azionisti
A sostenere Caltagirone si è aggiunta Unicredit, con il 6,5% su un portafoglio totale del 6,7%. Al suo fianco anche Delfin(9,9%) e probabilmente la Fondazione Crt (quasi 2%). Assente invece dai voti sulle liste Edizione della famiglia Benetton (4,83%), che ha scelto di astenersi, pur votando su altri punti all’ordine del giorno.
Donnet: «Ha vinto Generali»
«Oggi ha vinto Generali», ha dichiarato Donnet. «Il mercato si è espresso chiaramente: questa era la scelta per il futuro della compagnia come public company indipendente». Il presidente Sironi ha parlato di un consiglio «che ha lavorato con rispetto e responsabilità» e che continuerà a farlo anche nel prossimo mandato.
Alphabet archivia il primo trimestre sopra le attese degli analisti e avanza a Wall Street dove, nelle contrattazioni after hours, arriva a guadagnare oltre il 5%. L’utile netto è balzato del 46% a 34,5 miliardi di dollari rispetto ai 23,7 miliardi dello stesso periodo dello scorso anno. I ricavi sono saliti del 12% a 90,23 miliardi.
A spingere le attività core di ricerca e pubblicità di Google, i cui ricavi sono saliti del 10% a 50,7 miliardi, sopra le previsioni del mercato che scommetteva su un aumento più contento dell’8%. La divisione di cloud computing ha sperimentato un aumento dei ricavi del 28% a 12,3 miliardi, confermando la sostenuta domanda per i suoi data center e i servizi di network per il boom dell’IA. “La ricerca ha proseguito una crescita forte”, ha detto l’amministratore delegato Sundar Pichai, mettendo in evidenza la “rapida” crescita del cloud.
Le spese di capitale nei primi tre mesi sono balzate a 17,2 miliardi, leggermente sopra le previsioni di 17,1 miliardi. I risultati trimestrali sono stati accompagnati dall’annuncio di un piano di buyback da 70 miliardi di dollari e un aumento del dividendo trimestrale del 5% a 21 centesimi per azione. Google è il secondo colosso di Big Tech ad annunciare la trimestrale da quando è iniziata la guerra commerciale avviata da Donald Trump. Tesla nei giorni scorsi ha messo in guardia sull’impatto dei dazi sulle sue attività di batterie, che dipendono dai componenti dalla Cina.