Ignorati per settimane dal Governo, molti sindaci hanno alzato la voce. Il rischio, dicono, è che a causa dei mancati introiti fiscali di questi mesi di lockdown, presto potrebbero non essere in grado di garantire i servizi pubblici essenziali: illuminazione delle strade, trasporto pubblico, raccolta dei rifiuti. Prosciugata dall’assenza dei turisti anche la tassa di soggiorno, un’entrata fondamentale per la programmazione culturale delle nostre città. Gli assessori alla cultura ne hanno chiesto al Mibact il ristoro totale. Dal Governo è arrivata una riposta parziale col decreto Rilancio: tre miliardi per l’esercizio delle funzioni fondamentali degli enti locali (contro i sei richiesti dai Comuni) e un fondo da cento milioni per il ristoro parziale della tassa di soggiorno. Ma la partita non è ancora finita: dopo un accesso incontro con i sindaci tenutosi giovedì scorso, Conte si è impegnato a stanziare altri tre miliardi e ha promesso che non permetterà “che i Comuni vadano in dissesto”. Abbiamo approfondito la querelle Governo-Comuni con Eleonora de Majo, assessore alla cultura e al turismo del Comune di Napoli.
Lockdown e Fase due. In queste fasi dell’epidemia virale il ruolo del sindaco Luigi De Magistris è stato depotenziato da De Luca
Durante queste ultime settimane gli assessori alla cultura delle principali città italiane hanno fatto pressione sul Governo per il ristoro della tassa di soggiorno. Perché è così importante?
La tassa di soggiorno, venuta meno col blocco del turismo, rappresenta per i Comuni la principale fonte di finanziamento delle politiche culturali; ci consente di mantenere autonomia nella programmazione. A Napoli, oltre a finanziare enti di ricerca ed istituzioni culturali, serve a programmare tutta l’attività culturale e promozionale della città: il Maggio dei Monumenti, l’Estate a Napoli, il Capodanno e il Natale. Per farle un esempio concreto, dal 15 giugno sarà di nuovo possibile organizzare eventi di pubblico spettacolo, ma la nostra disponibilità economica in questo momento è pari a zero. Abbiamo difficoltà di programmazione anche per l’estate. Napoli in questi mesi avrebbe incassato circa 12 milioni di euro dalla tassa di soggiorno.
Ad oggi qual è la situazione?
È in costante evoluzione. Quando è iniziato il lockdown, abbiamo chiesto al Mibact di istituire un fondo d’emergenza per il ristoro della tassa di soggiorno. Nonostante le rassicurazioni iniziali, con il Dl Rilancio la nostra richiesta è stata accolta solo in parte: sono stati stanziati 100 milioni per un parziale ristoro della tassa di soggiorno. Giovedì scorso c’è stato però l’incontro dei sindaci delle principali città italiane con il presidente Conte, un dialogo molto positivo. I sindaci sono riusciti a strappare una promessa su cinque punti importanti, fra cui il complessivo ristoro delle mancate entrate di questi mesi. Questo potrebbe significare un recupero totale della tassa di soggiorno. Siamo in attesa, anche perché fra l’impegno preso dal Governo e l’effettiva disponibilità in cassa di questi fondi per il Comune passeranno purtroppo settimane, forse mesi. Più passa il tempo e più diventa complicato per noi programmare l’attività culturale. Al momento non abbiamo risorse.
I Comuni avevano richiesto sei miliardi per garantire l’erogazione dei servizi pubblici essenziali, ma col decreto Rilancio ne sono stati stanziati solo tre.
Sì, anche se nella riunione con i sindaci Conte ha promesso di stanziarne altri tre, accogliendo le richieste su cui convergevano i sindaci delle principali città italiane. È una buona notizia, perché consentirebbe ai Comuni di sopravvivere e di non farsi travolgere dall’emergenza. Bisognerà capire però se e quando queste misure diverranno effettive. Il rischio di non riuscire ad erogare i servizi pubblici essenziali, in mancanza di questi fondi, è concreto. Basta guardare alle dichiarazioni rilasciate a mezzo stampa dai sindaci delle principali città italiane, da Nord a Sud, indipendentemente dallo schieramento politico.
La sensazione è che i Comuni godano in questa fase di scarsa considerazione da parte del Governo centrale. Come se lo spiega?
Credo che la scarsa attenzione per i Comuni provenga dal ruolo assunto dalle Regioni durante l’emergenza sanitaria: essendo sovrane in materia di sanità e gestione dell’emergenza, hanno accentrato su di sé una serie di prerogative. Adesso che ci troviamo in questa fase di stallo, si verifica una sorta di conflitto istituzionale; forse sarebbe il caso di restituire sovranità ai Comuni, invece continua lo stallo dell’emergenza ed è tutto nelle mani delle Regioni. Va anche detto che veniamo da circa dieci anni di depotenziamento del ruolo dei Comuni, per cui quello che è successo non mi sorprende più di tanto. Esautorare sempre di più le istituzioni di prossimità è però un sistema che non funziona, perché quando ci si ritrova davanti ad un’emergenza, l’amministrazione comunale è l’organo democratico migliore in quanto vicino ai problemi e alle istanze dei cittadini.
Quando parla di conflitto istituzionale il pensiero va subito a De Magistris e De Luca e al loro scontro a colpi di ordinanze.
È proprio questo il tema: il potere di ordinanza, che normalmente è nelle mani dei sindaci, in questo momento è spostato nelle mani delle Regioni, perché tutto viene ricondotto all’interno della cornice sanitaria. In molti casi, però, è difficile pensare che la Regione possa conoscere il territorio come un sindaco; allora queste ordinanze andrebbero quantomeno concordate. La Regione dovrebbe fidarsi dei sindaci, ascoltarli e confrontarsi con loro. Non c’è stata una sola ordinanza fra quelle emanate da De Luca in cui si è avuto prima un confronto con il Comune.
Il turismo era diventato un settore trainante dell’economia napoletana. Come si riparte dopo una mazzata del genere?
Nell’immediato, con un’attenzione particolare al turismo interno. Dobbiamo far passare in modo chiaro il messaggio che Napoli è una città sicura da visitare e che il meridione è in grado di accogliere il turismo italiano; d’altronde qui l’emergenza ha fatto registrare numeri ben più bassi rispetto a quelli di altre Regioni italiane. Se il turismo non riparte rischia di lasciare per strada troppi disoccupati, un fatto che nella nostra città si traduce troppo spesso con il rafforzamento delle economie criminali. Ci sono tanti ragazzi che nel turismo avevano trovato una possibilità per non emigrare, magari hanno fatto degli investimenti, indebitandosi, e oggi sono in grande difficoltà. È necessario che questa industria riparta il prima possibile, perché era diventata una voce fondamentale dell’economia cittadina.
Si è concluso da poco il Maggio dei Monumenti, un’inedita edizione in streaming. Qual è il suo bilancio della rassegna?
Il bilancio è positivo, è stata una scommessa da molti punti di vista. Intanto per il tema, affascinante ma complesso: il pensiero di Giordano Bruno come strumento per discutere della catastrofe e per uscirne immaginando il futuro. I numeri ci danno ragione, abbiamo raccolto un milione e mezzo di visualizzazioni per 146 performance, un bel lavoro portato avanti con saggezza e meticolosità da parte degli artisti che ci hanno lavorato. E’ stata una buona scommessa. Adesso però il tema deve essere quello di fermare lo streaming e tornare per strada, alla vita reale.
“Siamo diventati una civiltà di gente che vuol vedere, non sente più, sente male, per mancanza di conoscenza, per ignoranza”. Polemico, anche se “felice di essere qui con i miei giovani musicisti dell’Orchestra Cherubini”, Riccardo Muti ieri sera al Teatro Pergolesi di Jesi, in provincia di Ancona, ha inaugurato le celebrazioni per i 250 anni dalla nascita (avvenuta nella vicina Maiolati) di Gaspare Spontini, con un concerto al termine del quale ha attaccato l’oblio in cui è caduta tanta parte del patrimonio musicale italiano. Un discorso molto politico, “anche se la politica dal podio non si fa”, diretto soprattutto “a chi ha in mano le sorti del nostro Paese” per chiedere più attenzione per la musica, lungo oltre 20 minuti, punteggiato dagli applausi del pubblico.
La musica italiana “ha dominato il mondo con Spontini a Berlino, Mercadante a Madrid, Cherubini a Parigi, Salieri e, ancora prima, Porpora e a Vienna, Cimarosa e Paisiello a San Pietroburgo. I nostri compositori hanno fatto l’Europa, prima dei nostri politici ed economisti”. Muti ha elogiato le Marche, una regione che “ha dato i natali a tantissimi artisti, non solo nel campo dell’architettura e della pittura, ma anche della musica. Voi avete a distanza di pochi chilometri Giovan Battista Pergolesi (nato proprio a Jesi, ndr) e Spontini”. E ha elogiato le due città che “si stanno prodigando per sottolineare l’importanza di questi due giganti della musica”, ma “molte persone non sanno chi sono e questa è una vergogna per noi”. Perché “la musica italiana non è semplicemente l’espressione sguaiata di note acute tenute all’infinito, ma la nostra storia è una storia di nobili e grandi compositori”. Compositori che “hanno fatto l’Europa prima dei nostri politici ed economisti”.
“Pensate che Spontini era un re prima a Parigi e poi a Berlino – ha detto ancora Muti -, e nelle memorie di Wagner si legge che quando Spontini arrivò a Dresda per dirigere La Vestale scese da una carrozza principesca venendo da un’umile casa di Maiolati. Wagner s’inginocchia addirittura davanti a lui”. Due colossi della musica “dimenticati”: “Pergolesi era ammiratissimo da Bach, all’età di 26 anni muore lasciandoci dei capolavori incredibili”. Capolavori raramente eseguiti e lo stesso accade per La Vestale o l’Agnese di Hohenstaufen di Spontini o altre opere. “Va bene il ‘Vincerò’ che dura mezz’ora ed è anche piacevole – ha ironizzato il maestro – ma non rappresenta tutta la nostra musica”. E “se andate a vedere la partitura di Puccini, non esprime ‘ad libitum’ fino a quando tutti quanti, presi da frenetici orgasmi, urlano uau”. “Cosa è successo al nostro Paese? – si è chiesto Muti -. E’ successo che nelle grandi occasioni ci si veste bene, si compare nei palchi e poi si scompare? O dobbiamo metterci in testa che la musica e la storia della musica insegnata bene e portata alle nuove generazioni possa migliorare il futuro del nostro Paese?”.
Tutto queste però “non succede” e per questo il pubblico non sa più ascoltare. “Noi abbiamo in debito verso il nostro passato – si è accalorato -, abbiamo una storia infinita di bellezza e arte che molti ragazzi oggi non conoscono e che sta diventando solamente un’occasione di ascolto per alcuni privilegiati. Non sono un politico, ma con grande malinconia mi avvicino alla fine della vita perché noi non siamo più degni delle radici su cui abbiamo fatto spuntare fiori, o alberi o foglie”. “Verdi rimane il Michelangelo del musica e ha coperto tutto l’Ottocento”. E anche Puccini è rappresentativo di un certo periodo. Ma “quando Spontini scrive la Vestale, dentro c’è tutto quello che poi Wagner prenderà. Questo siamo e questo dovrebbero sapere quelli che guidano l’Italia e questo dovrebbero insegnare a scuola”.
La parola d’ordine è trasparenza. Quella chiesta a gran voce dall’industria culturale e creativa davanti allo sviluppo vertiginoso dell’intelligenza artificiale generativa (IA). L’appello è stato raccolto dall’Ue, che con l’AI Act, appena vidimato dal Parlamento europeo, sta provando a creare uno scudo a tutela di giornalisti, scrittori, musicisti, registi, chi vive insomma della propria creatività. Si parla di professioni che rischiano di essere travolte dalla nuova tecnologia alimentata dal petrolio dell’economia digitale: i dati. Le loro opere – canzoni, libri, reportage, film – sono impiegate sia per addestrare i cosiddetti modelli linguistici di grandi dimensioni, su cui si basano sistemi come ChatGPT, sia per creare opere derivate. Si può ritenere questo processo come una violazione del diritto d’autore? Secondo il New York Times la risposta è affermativa.
In un caso destinato a fare scuola, la Vecchia Signora in Grigio ha portato in tribunale Microsoft e OpenAI, la società nota per aver creato ChatGPT, accusandole di aver copiato e utilizzato illegalmente i suoi articoli per addestrare i modelli di IA. I due colossi tech non hanno rivelato pubblicamente la composizione dei dataset su cui viene istruita la nuova tecnologia. Ed è su questo che interviene l’AI Act. I sistemi come ChatGPT e i modelli su cui si basano dovranno, infatti, soddisfare determinati requisiti di trasparenza e rispettare le norme europee sul diritto d’autore durante le fasi di addestramento dei vari modelli.
“Un passaggio importante” per Innocenzo Cipolletta, presidente dell’Associazione Italiana Editori (Aie) e di Confindustria Cultura Italia (Cci), secondo cui le richieste del mondo delle industrie culturali e creative “hanno trovato orecchie attente nel governo italiano e in modo trasversale tra gli europarlamentari che hanno votato a favore dell’AI Act”. “La trasparenza – ha evidenziato – è il requisito per poter analizzare criticamente gli output dell’IA e, per chi detiene i diritti, sapere quali opere sono utilizzate nello sviluppo di questi strumenti, se provengono da fonti legali e se l’uso è stato autorizzato”.
Ma la strada è ancora lunga. La legge europea è solo “un primo passo per far valere i propri diritti”, ha commentato un’ampia coalizione di organizzazioni dei settori creativi e culturali europei, esortando a mettere in pratica “queste importanti norme in modo significativo ed efficace”. A fare la differenza sarà l’attuazione della normativa, la definizione degli standard, ma anche la previsione di una policy a tutela del diritto d’autore che affronti ad esempio la questione della remunerazione dei detentori dei diritti per l’uso di opere coperte da copyright.
Dopo Pesaro per il 2024 e Agrigento per il 2025 è l’Aquila la città scelta come capitale italiana della cultura 2026. A proclamarla è stato il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano nel corso della cerimonia che si è svolta a Roma, nella Sala Spadolini del ministero, alla presenza della giuria presieduta da Davide Maria Desario e composta da Virginia Lozito, Luisa Piacentini, Andrea Prencipe, Andrea Rebaglio, Daniela Tisi, Isabella Valente, e dei rappresentanti di tutte e dieci le città finaliste: oltre all’Aquila, Agnone (Isernia), Alba (Cuneo), Gaeta (Latina), Latina, Lucera (Foggia), Maratea (Potenza), Rimini, Treviso, Unione dei Comuni Valdichiana Senese (Siena). “L’Aquila è una città ricca di storia e di identità e merita certamente di essere capitale della cultura” dice parlando con i giornalisti Sangiuliano, che ricorda anche come la commissione sia “assolutamente autonoma e indipendente dalla mia persona”. Il ministro avrebbe voluto dare “questo riconoscimento a tutte le città che erano candidate, questo purtroppo non era possibile. Adesso studieremo un modo per coinvolgerle in questo momento”.
L’Aquila “si avvia a celebrare i 15 anni del terremoto – commenta il sindaco della città Pierluigi Biondi -. Essere capitale italiana della cultura non è un risarcimento, ma rappresenta un elemento attorno a cui ricostruire il tessuto sociale della nostra comunità”. La cultura “è un elemento fondante, è recupero dell’identità e proiezione nel futuro – aggiunge – . Le altre città finaliste saranno parte di questo percorso. Vi garantiamo che saremo all’altezza del compito che ci assegnate… viva l’Italia”. Il progetto presentato dal capoluogo abruzzese è intitolato ‘L’Aquila Città multiverso’ ed è “un ambizioso programma di sperimentazione artistica per la creazione di un modello di rilancio socio-economico territoriale a base culturale, capace di proiettarla verso il futuro seguendo i quattro assi della Nuova Agenda Europea della Cultura: coesione sociale, salute pubblica benessere. creatività e innovazione, sostenibilità socio-ambientale”, si legge nelle linee guida. “Siamo molto felici, è un altro segno di rinascita dell’Abruzzo – commenta Marco Marsilio, appena confermato alla presidenza della Regione -. Sapevamo di essere molto competitivi e che il dossier presentato era eccellente. La giuria lo ha riconosciuto”. Il progetto dell’Aquila “ci ha convinto per la sua qualità, ma anche per aspetti come il budget, la capacità di includere per tutto l’anno i territori e per il coinvolgimento dei giovani” spiega Davide Maria Desario, presidente della giuria. Ognuno dei progetti delle città finaliste “rappresenta l’emblema dell’Italia come vorremmo che fosse, l’Italia del fare”. Per questo Desario torna a lanciare la proposta (poi accolta dal ministro, ndr) “che oltre oltre al premio alla città vincitrice si integri il bando con un riconoscimento anche alle altre finaliste”. Fra le reazioni alla vittoria, prevalgono le congratulazioni da parte delle altre città finaliste ma si solleva anche qualche polemica.
“A pensar male si fa peccato ma, come dice l’adagio, spesso si indovina. O forse è solo un caso che, a pochi giorni, dalle elezioni regionali in Abruzzo il titolo sia stato conferito proprio a La città de L’Aquila?” si chiede in una nota il deputato del Pd Andrea Gnassi, ex sindaco di Rimini. Critico anche l’attuale sindaco della città romagnola Jamil Sadegholvaad che fa i complimenti a L’Aquila ma parla di “invasioni di campo preventive scomposte anche da parte di chi dovrebbe essere super partes” nella competizione. Il nostro auspicio “è che Rimini e la Romagna alluvionata possano essere Capitale italiana della cultura l’anno successivo – commenta il governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini -, a partire proprio dall’alluvione senza precedenti del maggio 2023 da cui hanno saputo subito risollevarsi e ripartire”. Invece il consigliere regionale del Movimento 5 Stelle del Molise Andrea Greco oltre a esprimere il rammarico per la sconfitta di Agnone (Isernia) che era tra le dieci finaliste, critica Bruno Vespa, che avrebbe dimostrato “una meno che sufficiente caratura giornalistica” per l’endorsement a L’Aquila che avrebbe fatto sulla tv pubblica alla vigilia della designazione: “E’ stato per lo meno spiacevole per non utilizzare altri termini”.