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Economia

La Bce non convince, le Borse crollano: lo spread a Milano vola a 265

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La ‘prima’ di Christine Lagarde alle prese con l’incendio finanziario del coronavirus non convince i mercati: la giornata si chiude con un crollo generalizzato, che nasce negli Usa ma prosegue di fronte a una Bce che non intende piu’ essere il ‘game changer’ dell’economia europea, come nell’era di Mario Draghi: tocca ai governi. Con la presidente francese che prende le distanze dal ‘whatever it takes’ e punta su un approccio “chirurgico” contro la crisi, piuttosto che sul taglio dei tassi e sui fuochi artificiali del quantitative easing. E a peggiorare l’accoglienza nelle Borse arriva la frase della presidente della Bce, “non siamo qui per ridurre gli spread”, che data in risposta a una domanda sull’Italia fa volare il differenziale Btp-Bund fino a 265 punti nonostante poi arrivi una correzione di rotta che fa pensare che la Bce e’ pronta a comprare piu’ Btp, se servira’. In una giornata gia’ intonata in negativo dopo il deludente pacchetto anti-virus di Trump e il dirompente stop degli Usa ai voli dall’Europa, la reazione delle Borse e’ immediata: chi puntava su una Bce pronta a stupire e’ corso a vendere. Milano, secondo epicentro mondiale del coronavirus, con una recessione gia’ in atto e che minaccia di sprofondare, crolla con un -16%, mai cosi’ male dalla nascita dell’euro. A Francoforte e Parigi le perdite superano il 12%. New York, alle prese con un’inversione di marea dopo mesi di record, segna a meta’ seduta un -8%, che spinge la Fed a iniettare 1.500 miliardi di dollari sul mercato. L’euro piomba fin sotto gli 1,11 dollari da oltre 1,13, un effetto desiderato che aiutera’ l’economia europea. Ma sui Btp e’ un bagno di sangue, col rendimento del decennale che vola di oltre 50 punti base, come non si vedeva dalla grande crisi finanziaria, archiviando poi la seduta a 251 punti. La francese da novembre alla guida della Bce ha riconosciuto il “grande shock” economico del coronavirus. Ma ha apertamente preso le distanze dalla linea tenuta fino ad allora da Mario Draghi, che aveva fatto della Bce il principale baluardo anticrisi dell’Eurozona. “Non e’ nei miei piani passare alla storia per un ‘whatever it takes numero due”, ha detto ai pochi giornalisti presenti. Governatori unanimi (inclusa la Bundesbank, quasi sempre contraria sotto Draghi) nell’usare “tutti gli strumenti disponibili”. “Abbiamo reagito in modo adeguato rispetto al nostro ruolo e alle nostre possibilita’”, ha commentato il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, spiegando che “c’erano aspettative troppo alte sulla Bce”. Ma ora tocca prima ai governi: “l’Eurozona necessita ora di una risposta ambiziosa e coordinata in termini di politica di bilancio”, ha sottolineato Lagarde. Risposta che dovrebbe arrivare dall’Eurogruppo di lunedi’ prossimo.

piazza Affari

La Bce, nonostante l’effetto economico dirompente di un’Italia divenuta ‘zona rossa’, e’ invece prudente. Punta su uno 0,8% di crescita 2020, anche se e’ una stima gia’ superata dagli eventi e circondata da rischi. E cosi’ i tassi d’interesse restano fermi. Una delusione per chi sperava nel taglio, anche se i tassi restano piu’ bassi che negli Usa o in Gran Bretagna. Per molti e’ la conferma che Lagarde e’ piu’ riluttante di Draghi a mettere ulteriormente in difficolta’ le banche europee, gia’ alle prese con la compressione ‘monstre’ dei margini d’interesse data dai tassi negativi. Arriva un potenziamento del Qe: ma anziche’, come con Draghi, alzare gli acquisti mensili di debito dai 20 miliardi attuali fino a data da definire, la Bce di Lagarde si ferma a 120 miliardi complessivi in piu’ sul 2020. Non e’ il rilancio del Qe che in molti si aspettavano in Italia di fronte a una recessione e all’indebitamento che derivera’ dalla risposta al coronavirus, al punto che la delegazione M5s chiede le dimissioni di Lagarde e la Lega l’accusa di far “danni”. Pesa la frase sullo spread, anche se Lagarde riconosce che per l’emergenza sanitaria alcuni Paesi (inevitabile pensare all’Italia) dovranno fare piu’ debito e “noi ci saremo, non dev’esserci alcun dubbio”, aggiunge. Per poi correggere ulteriormente il tiro sull’Italia in una successiva intervista alla Cnbc: “sono pienamente impegnata a evitare qualsiasi frammentazione in un momento difficile per l’Eurozona” e contro eventuali fiammate dello spread “useremo la flessibilita’ prevista”. Significa che la Bce, nel caso di una fiammata dello spread, potrebbe concentrare gli acquisti su fasi di instabilita’ e su titoli di singoli Paesi, come l’Italia, deviando dalla regole della ‘capital key’. Ma e’ sulle banche che fa leva lo stimolo ‘anti-virus’ progettato dalla Bce: il nuovo maxi-prestito ‘Tltro’, pur di spingerle a dare credito a famiglie e soprattutto piccole e medie imprese, dara’ loro fondi fino al 50% degli impieghi, e a un tasso che arriva fino a -0,75%. Una leva senza precedenti se si considera il carry trade consentito da un tasso sulla liquidita’ a un giorno che resta a zero. Corroborata da una Vigilanza che inaugura una stagione di flessibilità sui requisiti di capitale, mentre anche la Lagarde apre a garanzie pubbliche, statali o europee, sui prestiti.

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Economia

Bilanci di previsione, virtuoso 86% dei Comuni ma non al Sud

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Comuni diventati virtuosi nella presentazione dei bilanci di previsione. Quest’anno sette su dieci già a metà febbraio avevano approvato e trasmesso il documento e alla data del 15 marzo la percentuale di comuni in linea era salita all’84%. Il dato risulta da un’elaborazione dei dati del Mef fatta dal Centro studi enti locali. Il dato, si spiega, è di netta rottura rispetto al passato e testimonia l’efficacia delle misure adottate lo scorso anno dal Ministero dell’Economia per interrompere il circolo vizioso dei posticipi infiniti che aveva caratterizzato gli ultimi decenni.

Ciò che emerge è però, ancora una volta, è “l’esistenza di divari siderali tra varie aree del Paese che vede contrapposti casi come quello siciliano, dove solo 30 comuni su 100 risultano aver approvato e trasmesso il bilancio, e la Valle d’Aosta e l’Emilia Romagna, dove questa percentuale sale al 96%”. Dopo anni di slittamenti nel 2023 un decreto ministeriale, ha riscritto il calendario delle scadenze contabili e anche se è comunque stata necessaria una proroga al 15 marzo quest’anno ben 4.695 comuni, il 59% del totale, hanno iniziato l’anno corrente con un bilancio di previsione già approvato e non si sono avvalsi del tempo aggiuntivo concesso dal Viminale.

Stando a quanto emerso da un’elaborazione di Centro Studi Enti Locali, basata sui dati della Banca dati delle Amministrazioni Pubbliche (Bdap-Mef), sono stati approvati entro il 15 marzo scorso i bilanci dell’84% dei comuni italiani. All’appello mancano quelli di 1.268 comuni. Questi enti hanno un profilo abbastanza preciso: la stragrande maggioranza è di piccole dimensioni. Nove di questi comuni su dieci hanno infatti meno di 10mila abitanti e il 64% è localizzato al sud e nelle isole. Nel nord Italia, nel suo complesso, risulta essere stato già trasmesso al Mef il 92% dei preventivi. In particolare, spiccano per efficienza: Emilia Romagna e Valle d’Aosta (entrambe a quota 96%) e Trentino Alto Adige e Veneto (95%). Ottimi anche i risultati registrati in: Lombardia (93%), Friuli Venezia Giulia (90%) e Piemonte (89%). Chiude il cerchio la Liguria, con l’85% di comuni adempienti.

Scendendo verso sud la percentuale decresce gradualmente, restando comunque buona al centro, dove mediamente sono stati già approvati e trasmessi 89 bilanci su 100. A trainare verso l’alto questo gruppo sono soprattutto Toscana (95%), Marche e Umbria (93%). Più indietro i comuni laziali, fermi a quota 81%. Meno rosea, ma comunque in netto miglioramento rispetto al passato, la situazione del Mezzogiorno dove i comuni più tempestivi sono stati 6 su 10. In particolare, le 3 regioni in assoluto più distanti dalla media nazionale sono – nell’ordine – la Sicilia, la Calabria e la Campania.

Nella banca dati gestita dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, alla data del 24 aprile, risultano essere stati acquisiti soltanto 117 bilanci di previsione di comuni siciliani su 391, meno di uno su tre. Al di là dello Stretto ne sono stati trasmessi 236 su 404 (58% del totale), in Campania il 67% dei preventivi sono stati approvati nei tempi. Prima della classe, per quanto riguarda il meridione, è la Basilicata (92% di bilanci approvati), seguita a breve distanza dalla Sardegna (885) e dalla Puglia (86%). Chiudono il cerchio l’Abruzzo e il Molise, rispettivamente con l’80% e il 77% di comuni che hanno già inviato al Ministero il proprio preventivo.

Secondo il Centro Studi Enti Locali questi dati, nel loro insieme, testimoniano un effetto tangibile prodotto dalla nuova programmazione ma preoccupa la distanza abissale che continua a caratterizzare i risultati ottenuti da enti di territori diversi. Il processo di riforma della contabilità e dell’ordinamento degli enti locali, i cui cantieri sono aperti, dovrà necessariamente tenere conto anche delle criticità finanziarie e organizzative, ormai strutturali ed endemiche, di alcuni territori e individuare delle soluzioni efficaci per far sì che queste distanze siano colmate.

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Inflazione, Codacons: con record cacao e caffè rischi rincari

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E’ boom per le quotazioni di cacao e caffè, con i prezzi delle due materie prime che sui mercati internazionali stanno raggiungendo nuovi preoccupanti record, aumenti che potrebbero portare a breve a forti rincari dei listini al dettaglio per una moltitudine di prodotti venduti in Italia. L’allarme arriva oggi dal Codacons, che ha monitorato l’andamento delle quotazioni negli ultimi mesi. A inizio gennaio il prezzo del cacao era pari a circa 4.250 dollari la tonnellata, mentre ieri, mercoledì 24 aprile, le quotazioni sui mercati avevano raggiunto quota 10.800 dollari, con un incremento del +154% da inizio anno, riporta il Codacons. Trend analogo si registra per il caffè, con il Robusta che è passato dai 2.800 dollari la tonnellata dello scorso gennaio ai 4.250 dollari del 24 aprile, segnando un +51,8%, mentre l’Arabica nello stesso periodo sale da 190 a 224 centesimi alla libbra (+18%).

Quotazioni alle stelle che interessano materie prime utilizzate per prodotti molto consumati in Italia, e che rischiano di determinare rincari a raffica per i prezzi al dettaglio di una moltitudine di alimenti, lancia l’allarme il Codacons. Basti pensare che solo per i prodotti a base di cacao e caffè gli italiani spendono oltre 10,2 miliardi di euro all’anno, circa 392 euro a famiglia: il giro d’affari del cioccolato nel nostro Paese è di circa 2 miliardi di euro, con un consumo procapite di circa 2 kg. Cialde e capsule valgono 595 milioni di euro annui, mentre il caffè per moka registra vendite per 640 milioni di euro. 7 miliardi di euro il business del caffè espresso consumato al bar. I prezzi al dettaglio hanno già risentito nell’ultimo periodo dell’andamento delle quotazioni, con i prezzi di prodotti a base di cacao e caffè che sono aumentati sensibilmente rispetto allo scorso anno – aggiunge il Codacons. Ipotizzando un rincaro medio dei listini al dettaglio del +5% come effetto dei rialzi delle materie prime, i consumatori andrebbero incontro ad una nuova stangata da 510 milioni di euro solo per i consumi di caffè e cioccolato.

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Ocse, in Italia il cuneo fiscale supera il 45% nel 2023

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Per il lavoratore ‘single’ in Italia il peso delle imposte complessive sul salario è in media del 45,1%, sostanzialmente stabile rispetto al 2022 (era del 45%). E’ quanto emerge dal rapporto Ocse per il 2023 ‘Taxing Waging. Il cuneo fiscale nell’Ocse è stato del 34,8% in media nel 2023 (34,7% nel 2022) e l’Italia figura al quinto posto per l’incidenza più alta tra i 38 Paesi Ocse, dopo Belgio (52,7%), Germania (47,9%), Austria (47,2%) e Francia (46,8%). In Italia, le imposte sul reddito e i contributi previdenziali del datore di lavoro rappresentano insieme il 90% del cuneo fiscale totale, mentre la media Ocse è del 77%. Per un lavoratore spostato con due figli il cuneo è invece inferiore e vede l’Italia all’ottavo posto con il 33,2% (era al nono posto nel 2022), rispetto a una media Ocse del 25,7%.

Tra il 2000 e il 2023 il cuneo fiscale per il lavoratore single è sceso di 2 punti percentuali (dal 47,1 al 45,1%). Nello stesso periodo nei paesi Ocse è sceso di 1,4 punti percentuali (dal 36,2 al 34,8%). Tra il 2009 e il 2023 invece il cuneo fiscale per il lavoratore medio single in Italia è sceso di 1,7 punti percentuali. Durante questo stesso periodo, il cuneo fiscale per il lavoratore single nei paesi Ocse è aumentato lentamente fino al 35,3% nel 2013 e nel 2014, scendendo al 34,8% nel 2023. L’aliquota fiscale netta del dipendente single in Italia nel 2023 è stata in media del 27,7% nel 2023, rispetto alla media Ocse del 24,9%. Tenendo conto degli assegni familiari e delle disposizioni fiscali, l’aliquota fiscale media netta del dipendente per un lavoratore sposato con due figli in Italia era del 12% nel 2023, il 26esimo valore più basso nei Paesi Ocse, e si confronta con il 14,2% della media Ocse.

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