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Juventus, la cassazione sposta a Roma il processo sui bilanci

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l processo sui conti della Juventus è stato spostato a Roma. A deciderlo i giudici della Quinta sezione della Corte di Cassazione che ha ritenuto Torino – la cui procura aveva avviato il procedimento- incompetente.

I giudici  hanno ordinato le trasmissioni degli atti del procedimento, che riguarda i bilanci della Juve dal 2018 al 2021, alla procura della Repubblica presso il tribunale capitolino. La procura di Torino non ha voluto commentare. All’udienza che ha portato al trasferimento del processo a Roma, come richiesto dalle difese, la Procura generale aveva ribadito la richiesta dello spostamento a Milano.

 

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Guerra Ucraina

Putin rafforza l’esercito e aumenta i soldati del 15%

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A quasi due anni dall’inizio dell’invasione in Ucraina, Vladimir Putin ha firmato un decreto per aumentare del 15% il numero dei soldati dell’esercito russo a causa delle “crescenti minacce” legate “all’operazione militare speciale e “alla continua espansione della Nato”. Una misura che riguarderà 170 mila nuovi effettivi ma che, si è affrettato a precisare il ministero della Difesa, non si tradurrà in una mobilitazione generale.

“L’aumento del numero del personale militare delle Forze Armate della Federazione Russa verrà attuato gradualmente con i cittadini che esprimono il desiderio di prestare servizio militare sotto contratto”, hanno spiegato da Mosca, accusando l’Alleanza atlantica di “attività aggressive” e di “dispiegare ulteriori armi di difesa aerea e d’attacco” vicino ai confini russi, compreso un potenziamento delle capacità nucleari in Europa e in Turchia. Il documento firmato da Putin fissa ora l’organico delle forze armate a 2.209.130 persone, di cui 1.320.000 militari. Nel precedente decreto, invalidato da questo nuovo documento, la cifra era di 2.039.758 persone, di cui 1.150.628 militari.

Mentre la guerra sul terreno continua a mietere vittime senza grandi avanzamenti da una parte o dall’altra (i russi hanno annunciato che dall’inizio della controffensiva, nel giugno scorso, gli ucraini hanno perso oltre 125 mila soldati), oggi il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov ha sostenuto che c’era un accordo per porre fine al conflitto ma non se ne fece nulla per l’opposizione dell’allora premier britannico Boris Johnson. Parlando a Skopje in un’affollata conferenza stampa a margine del vertice dell’Osce, Lavrov ha ricordato come alla fine di maggio del 2022 a Istanbul, al termine di varie sessioni negoziali, fosse stata raggiunta un’intesa. “Tre sessioni di trattative in Bielorussia, e l’ultima a Istanbul. L’accordo era stato raggiunto, come ha confermato uno dei partecipanti al negoziato per la parte ucraina, David Arakhamija.

Ma arrivò Boris Johnson che disse: no, dovreste continuare la guerra”, ha affermato Lavrov. David Arakhamija, al quale ha fatto riferimento Lavrov, è capogruppo nel parlamento ucraino del partito Servitore del Popolo del presidente Volodymyr Zelensky. In un’intervista televisiva nei giorni scorsi, Arakhamija ha ammesso effettivamente che la guerra poteva finire nella primavera del 2022 se l’Ucraina avesse accettato la neutralità. “L’obiettivo della Russia era indurci ad accettare la neutralità, sul modello della Finlandia degli anni scorsi, con la promessa di non aderire alla Nato, e su questo Mosca era pronta a porre fine alla guerra”, ha detto Arakhamija. Alla domanda sul perché Kiev non accettò, il politico ucraino ha risposto affermando che per questo serviva modificare la costituzione ucraina, e che inoltre non si fidavano dei russi.

Sulla decisione negativa di Kiev, sempre secondo Arakhamija, influì al tempo stesso il veto posto da Boris Johnson, che si disse contrario alla firma di un qualsiasi documento di accordo con Mosca, mostrandosi invece favorevole alla prosecuzione del conflitto armato. Nell’incontro con i giornalisti Lavrov, sul quale si sono concentrate buona parte delle attenzioni al summit Osce di Skopje, è poi tornato ad accusare Kiev e i suoi sostenitori in Occidente di non mostrare “alcun segnale di disponibilità a una qualche soluzione politica” del conflitto armato in Ucraina, sottolineando che per l’avvio di un processo di composizione politica si debba essere necessariamente in due, “come nel tango”, mentre “dall’altra parte sembra che ballino la breakdance”. Sempre sulla crisi ucraina, il capo della diplomazia del Cremlino ha poi denunciato quelli che ha definito piani dell’Occidente di installare una base militare americana nel Mar Nero e un’altra britannica nel Mar d’Azov.

“Se guardate la mappa potrete capire che si tratta di un qualcosa di inaccettabile per la Russia”, ha affermato, stigmatizzando i tentativi dell’Occidente di creare una minaccia diretta per Mosca proveniente dal territorio ucraino. L’Ucraina resta peraltro tra i temi dominanti dell’agenda europea, con la chiara presa di posizione del premier ungherese Viktor Orban, decisamente contrario alla prospettiva di un’adesione di Kiev all’Ue. “Non coincide con gli interessi nazionali dell’Ungheria”, ha detto oggi Orban, per il quale su questo tema è a rischio l’unità europea. A suo avviso, sarebbe opportuno stralciare dall’agenda del prossimo vertice Ue di metà dicembre la discussione sull’avvio del negoziato con Kiev. Meglio, per Orban, un accordo di partenariato strategico.

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Economia

Dai sauditi 111 milioni su Technogym, boom in Borsa

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I sauditi puntano 111 milioni di euro su Technogym, la multinazionale italiana delle macchine per fitness, rilevando il 6% del capitale e ritagliandosi il ruolo di “investitore di minoranza di lungo termine” nella società controllata dal fondatore e amministratore delegato, Alessandro Nerio. L’operazione è stata condotta dalla società Nif holding Italy che ha rastrellato 8,8 milioni di azioni da investitori istituzionali attraverso un reverse accelerated bookbuilding e ha sottoscritto un derivato per rilevare altri 3,3 milioni di azioni, valorizzando 9,2 euro l’uno i titoli, a cui sono legati diritti di voto pari al 4,5%.

Gli acquisti a premio hanno messo le ali alle azioni in Borsa che, dopo essere salite di oltre il 10%, hanno chiuso in rialzo del 6,9% a 8,54 euro. Nif, che è stata assistita da Jp Morgan e Rothschild, sta per Neom investment fund ed è il ‘braccio’ di investimento creato da Neom Company, la società di proprietà del fondo sovrano saudita Pif che dovrà costruire la futuristica città di Neom, una metropoli su cui verranno investiti 500 miliardi di dollari e che dovrebbe vedere la luce nel 2025, occupando una superficie simile a quella del Belgio, lungo 170 chilometri di costa del Mar Rosso, nella provincia di Tabuk, a sud della Giordania.

Un progetto al limite della fantascienza, fortemente voluto dal principe ereditario Mohammad bin Salman, l’uomo forte di Riad, da più parti accusato di essere il mandante dell’omicidio del giornalista americano Jamal Khashoggi, e che fa parte di quel programma, Vision 2030, con cui bin Salman intende diversificare l’economia saudita, rendendola meno dipendente dal petrolio. In questo disegno Neom si candida a diventare il motore economico nella regione, un motore che, grazie agli investimenti finanziati coi proventi dell’oro nero, sarà alimentato al 100% da energia eolica e solare e punterà su 14 settori industriali, con l’obiettivo di attrarre talenti e idee da tutto il mondo.

Nif, spiega la nota, “crede nel potenziale di creazione di valore di Technogym alla luce della sua storia di crescita costante e della sua posizione di leader nel mercato globale, trainata dalle sue linee di prodotto tecnologicamente avanzate e dall’impegno all’innovazione nel settore del fitness e della salute sin dalla sua fondazione nel 1983” e “questa operazione riflette l’impegno di Neom a creare un nuovo modello per una vita sostenibile e salutare”. Un modello a cui, dopo l’operazione di oggi, è più probabile che possano contribuire anche le macchine di Technogym.

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Esteri

Tra i disperati di Gaza in fuga anche dal sud

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La Striscia di Gaza si è risvegliata nell’incubo, dopo un settimana di tregua e di speranze che il peggio fosse ormai passato. E anche tra le strade di Khan Yunis, la cittadina del sud dove si sono riparati migliaia di sfollati arrivati dal Nord, domina la disperazione mentre risuona l’eco dei raid. Lì oggi è stata bombardata una moschea, una delle tante già finite nel mirino perché ritenute da Israele luoghi di di sostegno all’ala militare di Hamas. Malgrado fosse venerdì, giorno di preghiera, la struttura era deserta. Ma il muezzin che dal minareto leggeva i versetti coranici è rimasto ucciso.

“Anche oggi – raccontano in città – saremo costretti a pregare in casa”. Come avviene ormai da settimane: le famiglie riunite con gli uomini seduti davanti e le donne dietro e il più anziano, o il più erudito, che svolge la funzione. A Khan Yunis sta arrivando anche una folla di migliaia di persone, attraverso l’ormai nota arteria che divide la Striscia – la Sallah-a-din -, dai villaggi del settore orientale: quello più agricolo, il meno abitato, il più vicino alla linea di demarcazione con Israele. Da lì, secondo Israele, si sono ripetuti i lanci di razzi e in mattinata l’esercito ha fatto planare dal cielo migliaia di volantini che ordinavano l’evacuazione di quattro villaggi: Karara, Khuzaa, Abassan, Bani Suheila. Le evacuazioni iniziano quindi a riguardare anche il sud della Striscia, finora indicato come ‘zona di sicurezza’, e non più solo il nord.

I nuovi sfollati si sono messi in cammino per lo più a piedi, in un silenzio quasi funebre, con volti inespressivi, scioccati con in mano qualche valigia ed abiti pesanti, in previsione di dover trascorrere notti all’addiaccio. Fra le migliaia di persone si sono contate solo 5-6 automobili, a testimonianza che di benzina non ce ne è più. Sono arrivati all’accampamento dell’Unrwa, l’agenzia dell’Onu per i profughi, vicino al mare: “Lì almeno c’è la speranza di avere qualcosa da mangiare per non rischiare la fame”, ha raccontato sconsolata una donna. Dappertutto il clima è tetro: “Eravamo sicuri, o comunque volevamo sperare, che il cessate il fuoco avrebbe retto, che ormai la guerra fosse un brutto ricordo del passato. Ma perché Hamas non ha rilasciato gli ostaggi, perchè queste nuove sofferenze?”, ci si chiede nei caffè.

E i timori vanno anche a quanto si è lasciato dietro spalle, in quelle case e in quelle vite abbandonate in fretta e furia. Con le voci di saccheggi al nord che si diffondono a macchia d’olio. In molti raccontano del caso di un ladro, scoperto in una casa di Jabalya rimasta incustodita dopo che il proprietario era stato costretto a sfollare a sud. L’intruso è stato sopraffatto dai vicini di casa e legato ad un palo. “Un caso esemplare, ma certo non unico”, dicono a Khan Yunis. Molti hanno lasciato i propri appartamenti sotto le pressioni dell’esercito, e non sempre hanno fatto a tempo a portare con sé le cose più preziose che avevano. “Oltre alle percosse, cos’altro sarebbe possibile fare? Ormai qui a Gaza non c’è più polizia, non ci sono più tribunali”, commentano alcuni sfollati stringendo le spalle.

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