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Joe Biden trionfa in South Carolina e riapre la corsa alla nomination dei Democratici per la Casa Bianca

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Joe Biden trionfa conquistando la sua prima vittoria nella corsa alla Casa Bianca in South Carolina grazie al voto dei neri, che qui rappresentano il 60% dell’elettorato democratico. Un successo annunciato dai grandi network americani subito dopo la chiusure delle urne e avvalorato dai dati parziali: con il 75% dei seggi scrutinati, l’ex vicepresidente sfiora il 50%, riaprendo la corsa e riconfermandosi come il principale rivale di Bernie Sanders, che per ora e’ secondo ma intorno al 20%. “Big comeback”, il grande ritorno, sottolineano i media americani dopo le deludenti prestazioni delle prime tre tornate, con un quarto posto in Iowa, un quinto posto nel New Hampshire e un secondo posto in Nevada, ma a a grande distanza dal senatore del Vermont. “Grazie South Carolina! Questa e’ la tua vittoria, la vittoria di chi e’ stato escluso e lasciato indietro. Insieme conquisteremo questa nomination e batteremo Donald Trump”, ha detto Joe Biden davanti ai suoi fan finalmente esultanti a Columbia.

“Da qui avete lanciato Bill Clinton, Barack Obama ed ora me, la mia campagna e’ decollata dopo che mi avevano dato per morto, oggi ha vinto il cuore del partito democratico e ha vinto alla grande”, ha proseguito l’ex vicepresidente, che considerava questo stato come il suo “firewall” ma anche la sua “rampa di lancio”. Poi ha ricordato che ora e’ il momento di scegliere che strada deve prendere il partito, ponendosi in alternativa alla rivoluzione di Bernie Sanders e vantando l’eredita’ di Obama. Biden sembra aver trionfato grazie alla sua popolarita’ nella comunita’ afro-americana, rafforzata dal fatto di essere stato per otto anni il vice di Barack Obama, di cui il 60% degli elettori ha dichiarato di avere nostalgia. Il resto lo ha fatto l’endorsement del deputato locale Jim Clyburn, il nero piu’ alto in grado al Congresso e considerato il king-maker della politica dem nel Palmetto State. Biden ha gia’ cominciato ad incassare dopo la vittoria altri endorsement pesanti, come quello di Terry McAuliffe, l’ex governatore della Virginia, che va al voto nel Super Tuesday del 3 marzo insieme ad altri 13 Stati. Dopo aver conquistati i latinos in Nevada, Sanders conferma di non avere invece un particolare appeal tra i neri – che nelle elezioni generali saliranno al 25% dell’elettorato dem – ed e’ gia’ in Virginia in vista del Super Tuesday del 3 marzo: “Non abbiamo vinto in South Carolina, ma ci sono molti Stati e ci saranno altre sconfitte, non si puo’ vincere ovunque”, ha detto complimentandosi con Biden, anche se i suoi fan hanno accolto con i ‘buu’ la notizia del suo successo.

Non sembra aver avuto effetto sul senatore l’appello lanciato da Donald Trump agli elettori repubblicani di votare in queste primarie “aperte” per Bernie, in modo da favorire il candidato a suo avviso “piu’ facile da battere”. Il miliardario Tom Steyer, dopo una intensa campagna da 20 milioni di dollari, si e’ piazzato al terzo posto con l’11,5% convincendosi a gettare la spugna. Delusione cocente per gli altri candidati, tutti sotto il 10%: Pete Buttigieg, che finora si era stagliato come possibile candidato moderato, si attesta sull’8%. Peggio ancora la senatrice Amy Klobuchar (intorno al 3%). Batosta anche per Elizabeth Warren (6,8%), che appare sempre piu’ a fine corsa. Ma l’analisi forse piu’ azzeccata la twitta Donald Trump: “La vittoria del sonnolento Joe Biden in South Carolina dovrebbe essere la fine della campagna della barzelletta di mini Mike Bloomberg. Dopo la peggiore performance di sempre nella storia dei dibattiti presidenziali, Mini Mike ora ha Biden che ha frammentato i suoi pochissimi voti, portandone via molti”. Si vedra’ nel Super Tuesday, quando scendera’ in campo anche l’ex sindaco di New York, che ambisce a sostituire Biden come candidato dei moderati.

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I droni ucraini piovono su Mosca a 3 giorni dalla parata

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Le forze ucraine hanno attaccato la regione di Mosca con una pioggia di droni tre giorni prima della grande parata sulla Piazza Rossa per il giorno della Vittoria, alla quale saranno presenti decine di leader stranieri. Tra questi, il presidente cinese Xi Jinping, mentre soldati di Pechino sfileranno con quelli russi. Gli attacchi, in cui non si segnalano vittime né danni gravi, hanno fatto seguito a un avvertimento del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che, respingendo la proposta di un cessate il fuoco dall’8 al 10 maggio avanzata da Vladimir Putin, aveva detto di non potere “garantire la sicurezza” dei capi di Stato e di governo che il 9 parteciperanno alle celebrazioni nel cuore di Mosca.

Degli oltre cento droni lanciati sul territorio russo durante la notte, 19 sono stati intercettati sulla regione di Mosca, secondo quanto reso noto dal ministero della Difesa. Tutti e quattro gli aeroporti della capitale sono stati chiusi per diverse ore, oltre agli scali di Kaluga, Saratov e Volgograd (la ex Stalingrado), anch’esse prese di mira. Alcuni rottami dei velivoli abbattuti sono precipitati su una delle principali autostrade che portano alla città senza provocare vittime, ha detto il sindaco, Serghei Sobyanin. A metà pomeriggio la contraerea è tornata in attività per abbattere almeno altri due velivoli senza pilota che facevano rotta verso Mosca e le autorità hanno disposto nuovamente la chiusura di due aeroporti della capitale, Vnukovo e Domodedovo. In Ucraina, invece, tre persone sono rimaste uccise e sette ferite in un raid missilistico russo a Sumy, secondo quanto reso noto dalle autorità locali. Il Cremlino ha assicurato che intende comunque applicare il cessate il fuoco di tre giorni ordinato da Putin, ma in caso di attacchi ucraini le forze russe daranno “immediatamente una risposta adeguata”.

Zelensky ha definito la proposta di tregua un “tentativo di manipolazione” e finora da Kiev non è arrivata “nemmeno una dichiarazione” che mostri la disponibilità ad aderire all’iniziativa, ha sottolineato il portavoce di Putin, Dmitry Peskov. Un segnale positivo è invece arrivato da un nuovo scambio di prigionieri, 205 per parte, avvenuto nelle ultime ore grazie alla mediazione degli Emirati arabi uniti. Il consigliere presidenziale russo Yuri Ushakov ha annunciato che saranno 29 i capi di Stato e di governo stranieri alla parata per l”80/o anniversario della vittoria sul nazifascismo. Sulla Piazza Rossa sfileranno anche truppe cinesi e di altri 12 Paesi, tra i quali l’Egitto. Fonti diplomatiche di Pechino ritengono “possibile” anche la presenza del leader nordcoreano Kim Jong-un, le cui truppe hanno aiutato quelle russe nella controffensiva per respingere oltre confine le forze d’invasione ucraine nella regione di Kursk. Resta da vedere, secondo le stesse fonti, se Xi Jinping accetterà di apparire vicino a Kim proprio mentre è impegnato a “riallacciare i legami con Bruxelles e nel mezzo delle forti tensioni commerciali sino-americane”.

Il giorno prima della parata, l’ 8 maggio, Xi incontrerà Putin per un colloquio in cui si discuterà anche “della questione ucraina e delle relazioni russo-americane”, ha sottolineato Ushakov, tornando sui quattro faccia a faccia avuti dall’inviato Usa Steve Witkoff con Putin al Cremlino, l’ultimo dei quali il 25 aprile. Durante questi colloqui, ha precisato il consigliere, si è discusso anche delle richieste territoriali della Russia, che vorrebbe, oltre alla Crimea, il controllo delle quattro regioni ucraine ora parzialmente occupate: Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Kherson.

Venerdì Putin ha invece in programma incontri bilaterali con il presidente serbo Aleksandar Vucic e con il primo ministro slovacco Robert Fico, l’unico leader di un Paese Ue presente alle celebrazioni, che offrono al presidente russo l’opportunità per affermare che la Russia, dopo oltre tre anni di conflitto, non è affatto isolata. In questo quadro rientrano anche i colloqui telefonici avuti oggi da Putin con il presidente iraniano Massud Pezeshkian e, per la prima volta dal 2023, con il premier israeliano Benyamin Netanyahu. Iniziative che hanno il sapore di un tentativo di mediazione, mentre torna ad aleggiare lo spettro di una guerra tra Israele e l’Iran dopo l’attacco missilistico degli Houthi yemeniti, alleati di Teheran, sull’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv.

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Shock a Berlino: Merz cancelliere ma solo al secondo voto

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Friedrich Merz, a 69 anni, è il decimo cancelliere tedesco. Ma “che giornata!”, ha ammesso lui stesso, approdando finalmente in cancelleria in serata. Di fronte al sogno inseguito da una vita, un clamoroso inciampo è arrivato perfino sull’ultimo tratto di strada dell’eterno rivale di Angela Merkel. E questo non era mai successo a nessuno prima d’ora: un flop di dimensioni storiche al primo scrutinio, corretto in seconda battuta, quando ha raggiunto la maggioranza. “Sono molto consapevole della responsabilità che assumo oggi e lo faccio con umiltà, ma anche con determinazione e fiducia”, ha detto al passaggio di consegne in Kanzleramt, dove ha reso merito all’avversario Olaf Scholz.

“È un bene che la Germania oggi abbia di nuovo un governo con una maggioranza parlamentare. Siamo una coalizione di centro e sono certo che saremo in grado di risolvere i problemi del Paese con le nostre forze”. “Un passaggio del testimone – ha aggiunto – è anche sempre in test sulla maturità della democrazia. La Germania ha superato anche oggi questo test”.

Dopo una giornata che ha tenuto i tedeschi letteralmente col fiato sospeso, la Repubblica federale sarà governata da una piccola Grosse Koalition, che ha mostrato subito la fragilità dei suoi numeri esigui. Con lo sgambetto di chi evidentemente ha voluto lasciare un “promemoria” sia al leader dei democristiani, sia al suo braccio destro, il vicecancelliere Lars Klingbeil, giovane ministro delle Finanze socialdemocratico. Il risultato era prevedibile: l’ultradestra di Afd ha subito colto l’occasione per chiedere di tornare al voto. È stata Alice Weidel ad intimare al cancelliere in pectore di farsi da parte: “E’ la prima volta che accade una cosa positiva, perché una truffa elettorale di questa portata non può accadere, non si può diventare cancelliere in questo modo”.

Il carattere singolarissimo di questa giornata è apparso a tutti chiaro nella voce incerta della presidente del Bundestag, Julia Kloeckner, che arrivata in aula raggiante a prima mattina ha vistosamente cambiato tono di voce, nel corso della lettura dell’esito della prima tornata elettorale: 310 voti a favore, 307 contro, 3 astenuti e 1 malato. Mancano sei voti alla soglia della maggioranza necessaria di 316, sul totale dei 630 parlamentari.

“Friedrich Merz non è eletto cancelliere”, ha scandito l’ex ministra di Merkel – a sorpresa presente come ospite in tribuna – mentre il leader ha cercato di non far trapelare alcuna emozione, mostrandosi concentrato a prendere appunti. Poiché Unione ed Spd hanno insieme 328 seggi, si è subito aperto il giallo dei 18 franchi tiratori: enigma che probabilmente non troverà mai soluzione. Chi è stato e perchè? I sospetti ricadono sulle delusioni di tanti socialdemocratici, ma anche nelle file dei conservatori ci sono stati forti mal di pancia.

L’epilogo del malcontento è del tutto inedito e i parlamentari, ritiratisi nelle rispettive frazioni, hanno sondato per ore le possibilità giuridiche che avevano sul tavolo. Solo un accordo con i Verdi e la Linke ha reso possibile la seconda votazione – prevista entro 14 giorni dalla costituzione – già in giornata. È stata questa la volta buona: Merz ha ottenuto 325 voti a favore, 289 contro, una astensione, e ha potuto dare il via al percorso di rito: la nomina del presidente Frank-Walter Steinmeier, il giuramento prima coi suoi ministri in parlamento e infine il passaggio del testimone.

La nuova Groko si avvia al suo lavoro, ma i danni restano. La stabilità della politica tedesca sembra ormai appartenere al passato: “Anche qui è sempre più difficile costruire un governo che tenga”, ha commentato Spiegel, ricordando come esattamente sei mesi fa, il 6 novembre, fosse crollato il cosiddetto ‘Semaforo’, a causa dell’uscita dei liberali. Mentre la Bild ha sentenziato: “Il centro democratico non ha più forza”. Merz è convinto del contrario, e da domani – quando volerà a Parigi e a Varsavia – dovrà dimostrarlo.

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Venezuela, liberato l’italiano Oreste Alfredo Schiavo: era detenuto da quattro anni per presunto golpe

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È tornato finalmente libero Oreste Alfredo Schiavo, imprenditore italo-venezuelano di 67 anni, condannato in Venezuela a 30 anni di carcere con l’accusa di tradimento, finanziamento del terrorismo e associazione a delinquere. Una vicenda che si trascinava dal giugno 2020 e che ha trovato un esito positivo nelle scorse ore, grazie alla mediazione riservata della Comunità di Sant’Egidio, con il supporto della Farnesina e dei rappresentanti diplomatici italiani in loco.

Arrestato per l’operazione “Gedeone”

Schiavo era stato arrestato dagli agenti del Sebin, il servizio di intelligence venezuelano, l’8 giugno 2020. Il suo nome era stato collegato all’operazione “Gedeone”, un presunto tentativo di colpo di Stato ai danni del presidente Nicolás Maduro, che avrebbe previsto lo sbarco di mercenari sulle coste del Paese per prendere in ostaggio funzionari del governo. Insieme a Schiavo furono fermate circa 90 persone. In primo grado, nel maggio 2024, Schiavo era stato condannato a 30 anni di carcere, nonostante le sue gravi condizioni di salute.

L’intervento di Sant’Egidio e il viaggio verso Roma

La svolta è arrivata nella giornata di ieri, grazie a un’operazione diplomatica silenziosa, portata avanti dal docente e dirigente di Sant’Egidio Gianni La Bella, dai funzionari dell’ambasciata e del consolato d’Italia, e con il determinante contributo di Rafael La Cava, ex ambasciatore venezuelano a Roma e attuale governatore dello Stato di Carabobo.
Schiavo è stato scarcerato dal penitenziario di El Helicoide, noto per la presenza di prigionieri politici e denunciato da organizzazioni per i diritti umani per le sue condizioni carcerarie, e successivamente condotto in una clinica per accertamenti sanitari.

“Liberato per motivi umanitari”

In serata, il rilascio si è trasformato in un rimpatrio in Italia, con un volo di linea diretto a Fiumicino partito alle 17 (ora locale). Sant’Egidio ha voluto ringraziare pubblicamente il presidente Maduro, specificando che il rilascio è stato concesso “per ragioni umanitarie, con un atto di liberalità personale”.

Un gesto che apre nuove possibilità

La liberazione di Schiavo potrebbe rappresentare il primo spiraglio per sbloccare anche altre detenzioni italiane in Venezuela, come quella del cooperante Alberto Trentini, arrestato nel 2024, e di due italo-venezuelani: Juan Carlos Marrufo Capozzi, ex militare arrestato nel 2019, e Hugo Marino, investigatore aeronautico che aveva indagato su due misteriosi incidenti aerei accaduti attorno all’arcipelago di Los Roques, nei quali morirono, tra gli altri, Vittorio Missonie sua moglie.

Il carcere e le denunce di tortura

Nel carcere di El Helicoide, dove era rinchiuso Schiavo, numerosi attivisti per i diritti umani hanno documentato casi di maltrattamenti e detenzioni arbitrarie. Anche l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani si era occupato del suo caso, definito emblematico per le gravi violazioni del diritto alla difesa e per l’assenza di prove concrete nel processo.

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