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Economia

Irpef, cuneo, Irap: sul fisco soluzione in settimana

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Sara’ una maratona negoziale, ma l’obiettivo di tutti e’ chiudere al tavolo del Mef entro la settimana. Il confronto sul taglio delle tasse, convocato dal ministro dell’Economia Daniele Franco, entra nel vivo e si da’ come orizzonte sette giorni per decidere come destinare gli otto miliardi che la manovra ha a disposizione per ridurre il peso del fisco che grava sugli italiani. Sono ancora parecchie le strade possibili, perche’ il Tesoro ha presentato sei opzioni tra cui scegliere (due su Irpef, due sulle detrazioni e due sull’Irap), con tanto di simulazioni e illustrazioni tecniche per spiegarne il diverso impatto. Anche la suddivisione tra Irpef e Irap e’ ancora aperta, ma la strada quasi obbligata e’ quella di destinare almeno sei miliardi al taglio dell’Irpef, visto che tagliare l’Irap ne costa due. Intanto l’Istat stima che se si destinassero tutti gli 8 miliardi al calo del cuneo fiscale sul lavoro, il reddito delle famiglie salirebbe dello 0,71% rispetto al 2020, mentre se le risorse fossero concentrate sulle retribuzioni il carico fiscale si alleggerirebbe dell’1,6%. “Non e’ stata una cosa unilaterale, stiamo lavorando, ci hanno presentato ipotesi e abbiamo discusso, abbiamo ragionato. Abbiamo delle ipotesi in mano, secondo il mio parere abbastanza buone. Sara’ un percorso non banale”, ha detto il presidente della commissione finanze della Camera, Luigi Marattin (Iv), al termine della riunione che ha messo insieme gli esperti economici di tutti i partiti della maggioranza. Il clima e’ buono, l’atteggiamento costruttivo, ma la trattativa e’ solo all’inizio. “Speriamo in settimana di chiudere”, ha detto il viceministro al Mise Gilberto Pichetto, presente alla riunione per Forza Italia. Pichetto ha spiegato che “non abbiamo un pezzo di carta in mano, abbiamo tante ipotesi, tante simulazioni che riguardano sia l’Irpef che l’Irap”. Sono almeno 5-6. “Sull’Irap siamo ancora sulla discussione verticale o orizzontale, sull’Irpef siamo ancora sulla discussione se agiamo sull’aliquota o sulle detrazioni”, ha spiegato, ricordando che l’obiettivo e’ far convergere la scelta in un emendamento da portare in commissione Bilancio. Un emendamento parlamentare avrebbe tempo fino al 29 novembre per arrivare. Un emendamento governativo sarebbe piu’ rischioso e piu’ lungo come percorso, perche’ bisognerebbe aprire i termini per i subemendamenti. Per quanto riguarda l’Irpef, i tecnici del ministro Franco hanno lavorato a simulazioni che vedono il ritocco di due aliquote, quella al 38% e quella al 27%. Tagliare di un punto la prima, quindi toccando i redditi nello scaglione 28-55mila euro, costa circa un miliardo di euro. Invece un punto della seconda, che comprende i redditi tra 15-28mila, costa due miliardi. Altre simulazioni sono state fatte sulle modifiche al sistema delle detrazioni, per le quali ci sono almeno due opzioni. Anche sul taglio dell’Irap sono almeno due gli interventi su cui si ragiona: per aiutare le imprese piu’ piccole, si metterebbe sul tavolo sia l’abolizione della tassa su societa’ di persone e ditte individuali, sia l’idea di fissare una soglia di produzione sotto cui scatta l’esonero. Mentre i partiti discutono su come suddividere le risorse disponibili, il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, fa sapere che “gli otto miliardi sono pochi”, perche’ ne servono “almeno 13” per un “taglio forte contributivo del cuneo fiscale”. La Cgil, invece, non e’ d’accordo con la riduzione dell’Irap. “La legge di Bilancio contiene moltissime misure a favore delle imprese: oltre 10 miliardi di euro”, quindi le risorse vanno indirizzate “sui lavoratori e pensionati”, ha detto in audizione alle commissioni Bilancio di Senato e Camera la vicesegretaria generale della Cgil, Gianna Fracassi. Proseguono poi le richieste sulla manovra: l’Abi chiede che le garanzie straordinarie siano per tutto 2022, l’Ania polizze obbligatorie contro i danni del clima, gli enti locali piu’ risorse. E resta sempre aperto il nodo del relatore del dl bilancio, con il Movimento 5 Stelle fermo sulla richiesta di avere “voce in capitolo”.

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Zes unica, già 630 investimenti approvati per 12 miliardi: boom di richieste anche da Francia, Germania e Usa

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La Zes unica, la nuova Zona economica speciale che abbraccia tutto il Sud Italia, si conferma un attrattore formidabile di investimenti. Sono già 630 le autorizzazioni concesse per progetti che valgono complessivamente circa 12 miliardi di euro, metà dei quali finanziati tramite credito d’imposta, come previsto dalla Legge di Bilancio. Un dato che evidenzia il successo di una misura diventata in pochi mesi un vero e proprio volano per l’economia meridionale.

Efficienza e semplificazione: tempi di approvazione record

Dall’inizio del 2024 sono già 180 le autorizzazioni uniche concesse, e l’obiettivo di superare quota mille entro l’annosembra realistico. Merito anche dell’accelerazione impressa dalla Struttura di missione di Palazzo Chigi, guidata da Giosy Romano, nominato lo scorso anno dal ministro Fitto. Tempi record per l’approvazione: in media 30-34 giorni. Un cambio di passo netto rispetto al passato.

Interesse anche dall’estero: dalla Germania agli USA

Il nuovo modello Zes ha attirato l’attenzione di investitori internazionali, non solo europei. Presentazioni ufficiali in Francia, Germania e, soprattutto, Stati Uniti, dove l’iniziativa è stata inclusa persino nel comunicato congiunto Trump-Meloni al termine della visita della premier a Washington. Il messaggio è chiaro: il Mezzogiorno è una terra di opportunità per le multinazionali, soprattutto americane.

L’esempio De Matteis: l’export al centro dell’espansione

Tra i progetti più rilevanti figura l’ampliamento della De Matteis Agroalimentare, colosso della pasta secca con sede a Flumeri (Avellino) e un fatturato da 223 milioni, l’80% generato all’estero. L’azienda ha ottenuto l’ok all’ampliamento produttivo grazie alla Zes, che ha consentito una variante urbanistica semplificata. Si stima un investimento tra i 25 e i 30 milioni di euro.

E-commerce e innovazione: la Zes unica punta anche al digitale

A cogliere le opportunità offerte dalla Zes unica è anche la Deghi di Lecce, leader nell’e-commerce di arredamento con oltre 350 dipendenti e 1.300 spedizioni al giorno. Il nuovo investimento produttivo conferma la centralità del Sud anche nei settori digitali. Non mancano poi manifestazioni d’interesse da parte di gruppi internazionali per la costruzione di Data Center, uno in Puglia, l’altro in Sicilia.

Controlli rigorosi e trasparenza nella procedura

Ogni proposta viene attentamente valutata dalla Struttura di missione per verificare il rispetto delle norme. L’obbligo di permanenza per almeno cinque anni dopo l’investimento è la condizione per mantenere i benefici fiscali. Il metodo è chiaro: velocità, legalità, trasparenza. Nessun miracolo, ma un Sud che cambia passo e guarda finalmente oltre i propri confini.

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Obbligo polizze anche per immobili abusivi in sanatoria

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Anche gli immobili su cui è in corso una sanatoria o un condono dovranno essere assicurati contro le catastrofi. Per gli immobili in affitto, invece, l’indennizzo che spetta al proprietario andrà usato per ripristinare il bene danneggiato o distrutto. Sono alcune delle principali modifiche del decreto polizze catastrofali che, incassato il primo via libera in commissione, sarà da domani in Aula alla Camera. Nulla di fatto invece per l’ipotesi di rendere i costi delle polizze deducibili: la richiesta bipartisan non è passata, ma il governo non esclude di valutarla in manovra. Con una seduta lampo di circa un’ora, la commissione Ambiente di Montecitorio ha iniziato e concluso l’esame degli emendamenti, votando il mandato al relatore Gianpiero Zinzi (Lega).

Le modifiche approvate (due emendamenti del relatore e quattro riformulati) al decreto, che proroga l’obbligo di assicurarsi al primo ottobre 2025 per le medie imprese e al primo gennaio 2026 per le piccole e micro imprese, mirano soprattutto a chiarire alcuni dubbi sollevati dalle imprese. Uno riguarda la questione degli immobili con abusi edilizi, che la norma esclude dall’obbligo di assicurazione: la modifica stabilisce che vadano assicurati “esclusivamente” gli immobili costruiti o ampliati con “un valido titolo edilizio”, ma anche quelli “oggetto di sanatoria o per i quali sia in corso un procedimento di sanatoria o condono”. Per gli immobili non a norma, che risultano quindi non assicurabili, viene quindi specificato che non avranno diritto ad indennizzi e contributi pubblici. Per gli immobili di proprietà di terzi, che vanno assicurati dall’imprenditore, si stabilisce che l’indennizzo spettante al proprietario vada utilizzato “per il ripristino dei beni danneggiati”.

In caso di inadempimento il proprietario ha comunque diritto a “una somma”, per compensare il mancato profitto nel periodo di inattività dell’impresa, “nei limiti del 40% dell’indennizzo percepito”. Un emendamento del relatore chiarisce poi che il valore dei beni da assicurare venga determinato considerando “il valore di ricostruzione a nuovo dell’immobile” o “il costo di rimpiazzo dei beni mobili” o il costo “di ripristino delle condizioni del terreno interessato dall’evento calamitoso”. Vengono inoltre esclusi dallo scoperto o franchigia fino al 15% del danno le grandi imprese che “stipulano un programma assicurativo globale valido per tutto il gruppo”. E’ infine previsto il coinvolgimento del Garante per la sorveglianza dei prezzi che, insieme all’Ivass, svolgerà “la funzione di controllo e verifica”, per evitare speculazioni sui premi assicurativi.

Nulla di fatto invece per la richiesta avanzata sia dalla maggioranza che dall’opposizione di prevedere una deducibilità dei costi. Un tema che non può essere trattato in un provvedimento di proroga, spiega il sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che però non chiude: il tempo c’è, “magari troverà spazio nella prossima legge di bilancio”.

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Corte Conti Ue dura su Pnrr: scollegato dai risultati

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Duro bilancio della Corte dei conti europea sul dispositivo per la Ripresa e la resilienza, soprattutto per lanciare un avvertimento sul prossimo Bilancio Ue e l’ipotesi di legare di nuovo fondi europei a riforme o risultati. “Sebbene il Pnrr abbia svolto un ruolo cruciale nella ripresa post-pandemica dell’Ue, abbiamo riscontrato diverse debolezze in termini di performance, responsabilità e trasparenza”, ha spiegato Ivana Maletić, membro della Corte. “I finanziamenti di futuri strumenti basati sulla performance dovranno essere meglio collegati ai risultati e disciplinati da regole chiare – ha aggiunto il coautore Jorg Kristijan Petrovič -: altrimenti, questo sistema non andrebbe utilizzato”.

Secondo gli auditor europei, in particolare, il Recovery “non è realmente uno strumento che eroga finanziamenti sulla base della performance”, perché “pone maggior enfasi sui progressi”. Anche se i pagamenti sono legati a traguardi e obiettivi, si riferiscono più spesso a output (come edifici ristrutturati o chilometri di ferrovie) che a risultati concreti, rendendo difficile valutare l’efficacia delle misure. La Commissione però non ci sta: pur dicendosi “lieta” che sia stato riconosciuto l’impatto positivo del Pnrr, afferma che “non sembra basato su alcun riscontro” il giudizio che il Recovery non è basato sulla performance.

Lo è “chiaramente”, rivendica. “Incentivando gli Stati membri ad affrontare le loro sfide strutturali, ha accelerato l’attuazione di riforme vitali in aree come occupazione, istruzione e ambiente imprenditoriale”, ha anche segnalato il vicepresidente esecutivo Raffaele Fitto (Nella foto Imagoeconomica in evidenza). L’analisi degli auditor europei è comunque impietosa, anche se riprende giudizi già espressi dalla Corte dei Conti a Lussemburgo in più occasioni: “Le informazioni sui risultati sono modeste”, afferma, e “l’efficienza della spesa e il rapporto costi-benefici non possono essere misurati”. La Commissione “non raccoglie dati sui costi effettivi”, accusa. E di conseguenza, “non è chiaro quello che i cittadini ottengono in concreto grazie a questi fondi”.

La Corte lamenta anche che “non esiste un quadro completo su chi siano i destinatari finali dei fondi”. L’erogazione agli Stati membri non garantisce che il denaro abbia raggiunto l’economia reale. In alcuni casi, i fondi sono rimasti presso istituzioni intermedie, come la Banca europea per gli investimenti. Nonostante alcuni miglioramenti recenti, “i sistemi di controllo del Recovery non sono ancora abbastanza robusti”. Sono affidati ai singoli Stati, ma ci sono debolezze e la Commissione “non può imporre rettifiche finanziarie” per singole violazioni, salvo casi gravi, e “alcuni Paesi hanno ricevuto consistenti finanziamenti ancor prima di avere completato i progetti”. E ancora, “solo la metà circa delle misure ha prodotto risultati concreti”. E “l’assenza di indicatori adeguati limita in modo significativo la possibilità di valutare l’impatto delle riforme”. Ci sono metodologie su traguardi e obiettivi diverse per ogni Stato con un “rischio di disparità di trattamento”.

A fine 2024 erano state presentate 128 delle 151 richieste di pagamento previste (85%), ma con forti disparità tra Paesi. Mentre il 42% dei fondi è stato erogato, solo il 28% dei traguardi e obiettivi è stato raggiunto: “una quota significativa dei finanziamenti è stata versata senza che le misure corrispondenti fossero state completate”. Insomma, l’invito è quello di evitare di ripetere in futuro un modello che “non garantisce informazioni sui risultati, sui costi effettivi e sui beneficiari finali”. Per strumenti così è necessario che “i finanziamenti siano chiaramente collegati ai risultati” e che vi siano “regole chiare e comuni per tutti gli Stati membri”. “Una semplice copia e incolla non è un’opzione”.

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