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Infantino e il Mondiale più discusso, ‘grazie Qatar’

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Niente polemiche, niente precisazioni sui diritti umani o accenni alle vittime sul lavoro: Gianni Infantino tira dritto su quella che definisce “la migliore edizione di sempre” dei Campionati Mondiali di calcio, davanti ai giornalisti di tutto il mondo, nella conferenza stampa alla vigilia delle finali di Qatar 2022. “Questo Mondiale – ha sottolineato il presidente della Fifa – ha mostrato una forza di coesione enorme: la Fifa ringrazia tutti coloro che sono stati coinvolti: il Qatar, i volontari, hanno resto questa edizione la migliore di sempre”. Lontano dagli echi che stanno travolgendo il parlamento europeo, e “non curante delle richieste di giustizia” dei lavoratori, secondo la denuncia di Amnesty International che e’ tornata ad attaccare la Fifa per i mancati indennizzi alle famiglie degli operai morti, Infantino ha ribadito di aver perseguito una sola missione, all’insegna di un neutralismo fortemente discusso da fuori e altrettanto fortemente difeso da dentro; e ritiene di averla raggiunta: “Il calcio è diventato veramente globale – ha aggiunto – come dimostra la prima squadra africana in semifinale. Abbiamo avuto la prima donna arbitro. Oltre tre milioni di spettatori allo stadio, 5 miliardi davanti alla tv.

L’atmosfera è stata gioiosa. Un successo incredibile” Quanto alle polemiche sulle discriminazioni della comunità Lgbtq, ai vari divieti imposti agli spettatori, dalla birra alle magliette arcobaleno e per i giocatori alla fascia OneLove, per il numero 1 del calcio mondiale “ognuno è libero di esprimere le proprie convinzioni, in modo rispettoso, ma quando si tratta del campo di gioco bisogna proteggere il calcio. Non dobbiamo discriminare nessuno. Ci sono – ha aggiunto – molte culture diverse e come Fifa dobbiamo rispettarle tutte. Tra una gara e l’altra ognuno può esprimere la propria opinione, ma qui al Mondiale vengono i tifosi, non i Capi di Stato, e loro vogliono godersi il calcio: per 90′ minuti regaliamoci questo momento di gioia”. Infantino si è poi detto convinto che l’eredità del Mondiale sia “una migliore conoscenza del mondo arabo. La Coppa ha contribuito un po’ a una comprensione reciproca, ed è molto positivo da una prospettiva non calcistica”, ha sostenuto. Quanto alle polemiche per le morti tra i lavoratori, Infantino ha ribadito la sua posizione: “Ogni morto e’ un morto di troppo, ma noi abbiamo fatto tutto quel che potevamo per prevenire”.

La conferenza stampa che ha fatto seguito a un Esecutivo Fifa e’ divenuta riassuntiva del Mondiale ed è servita a Infantino anche per annunciare le novità in vista nei calendari internazionali della Fifa. Dal 2025 il Mondiale per club si trasformera’ in un torneo estivo per 32 squadre, come quello delle nazionali, con cadenza quadriennale. Il torneo era stato inizialmente previsto a 24 squadre e si sarebbe dovuto svolgere per la prima volta nel 2021 ma era stato rinviato a causa della pandemia; similarmente verrà lanciato anche il Mondiale per club femminile, sempre a 32. Le finestre per il calendario delle partite internazionali a partire dal 2025 saranno variate, con quattro partite a fine settembre e inizio ottobre al posto delle attuali due finestre separate di settembre e ottobre, e con le altre (novembre, marzo e giugno) invariate. La Fifa prevede inoltre di lanciare tornei amichevoli, le “Fifa World Series”, che si terranno nella finestra di marzo degli anni pari. Anche la decisione per la nazione ospite della Coppa del Mondo 2030 verrà presa nel 2024, con il bando che verrà pubblicato all’inizio del prossimo anno. Per quello del 2026, a 48 squadre, si valuta di passare dalla formula dei 16 gironi da tre squadre a 12 da quattro. Intanto, per il prossimo quadriennio, le entrate Fifa saliranno dagli attuali 7.5 miliardi di dollari a 11. Ed è probabile che il prossimo diventi il miglior Mondiale di sempre.

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Esteri

Tragedia al festival Lapu Lapu a Vancouver: suv travolge la folla, morti e feriti

Durante il festival filippino Lapu Lapu a Vancouver, un suv ha investito la folla causando diversi morti e feriti. Arrestato il conducente. La città è sconvolta.

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Diverse persone sono morte e molte altre sono rimaste ferite durante il festival del “Giorno di Lapu Lapu” a Vancouver, nell’ovest del Canada, quando un suv ha investito la folla. La polizia locale ha confermato che il conducente è stato arrestato subito dopo l’incidente, avvenuto intorno alle 20 ora locale (le 5 del mattino in Italia).

Il cordoglio della città e della comunità filippina

La tragedia ha sconvolto l’intera città e, in particolare, la comunità filippina di Vancouver, che ogni anno organizza il festival in onore di Lapu Lapu, eroe della resistenza contro la colonizzazione spagnola nel XVI secolo. Il sindaco Ken Sim ha espresso il proprio dolore: «I nostri pensieri sono con tutte le persone colpite e con la comunità filippina di Vancouver in questo momento incredibilmente difficile», ha scritto su X.

Le drammatiche immagini dell’incidente

Secondo quanto riferito dalla polizia e riportato dalla Canadian Press, il suv ha travolto la folla all’incrocio tra East 41st Avenue e Fraser Street, nel quartiere di South Vancouver. I video e le immagini diffusi sui social mostrano scene drammatiche: corpi a terra, detriti lungo la strada e un suv nero gravemente danneggiato nella parte anteriore. Testimoni parlano di almeno sette persone rimaste immobili sull’asfalto.

Il dolore delle autorità

Anche il premier della Columbia Britannica, David Eby, ha commentato la tragedia: «Sono scioccato e con il cuore spezzato nell’apprendere delle vite perse e dei feriti al festival». La comunità è ora unita nel cordoglio, mentre proseguono le indagini per chiarire le cause dell’accaduto.

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Esteri

Iran, mistero sull’esplosione a Bandar Abbas: 14 morti e oltre 700 feriti

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Il ministero dell’Interno iraniano ha confermato che il bilancio dell’esplosione (ancora provvisorio) avvenuta al porto di Bandar Abbas, città strategica sullo Stretto di Hormuz, è salito a 14 morti e 740 feriti. Un evento gravissimo che scuote una delle aree più delicate per gli equilibri geopolitici globali.

Le cause restano misteriose

Le autorità iraniane parlano ufficialmente di un generico incidente, senza però fornire dettagli precisi. Questa vaghezza ha acceso numerosi interrogativi a livello internazionale: fonti estere suggeriscono che potrebbe trattarsi non di un incidente, ma di un attacco deliberato attribuibile a un Paese nemico, con il sospetto principale che ricade su Israele.

L’ipotesi dell’attacco mirato: la pista del combustibile per missili

Secondo analisi parallele, le esplosioni di Bandar Rajaei — uno dei principali terminali del porto di Bandar Abbas — non sarebbero casuali. La natura delle detonazioni, l’intensità dell’onda d’urto e l’estensione dei danni lascerebbero supporre la presenza di materiale altamente infiammabile e volatile, come il combustibile solido per razzi.

Fonti non ufficiali rivelano che Bandar Rajaei fosse recentemente diventato il deposito strategico del combustibile solido per missili balistici della Repubblica Islamica, importato dalla Cina tramite navi cargo. Non un semplice magazzino, dunque, ma un elemento chiave nelle strategie militari regionali di Teheran.

Israele nel mirino dei sospetti

Non sarebbe la prima volta che Israele compie operazioni mirate per neutralizzare le capacità missilistiche iraniane: già in passato, con massicce incursioni aeree, ha distrutto impianti critici, ritardando di anni la produzione bellica del regime. Secondo questa ricostruzione, l’Iran, nel tentativo disperato di ricostituire le sue scorte, avrebbe nascosto i materiali in infrastrutture civili, trasformando i cittadini in scudi umani.

L’attacco — se confermato — avrebbe incenerito gran parte del deposito e colpito anche la catena logistica dei rifornimenti missilistici destinati agli Houthi nello Yemen, infliggendo un danno catastrofico alla rete militare iraniana nella regione.

Un’accusa morale pesante contro il regime iraniano

L’episodio di Bandar Rajaei non sarebbe soltanto un durissimo colpo militare, ma rappresenterebbe anche un’accusa morale contro un regime accusato di sacrificare la propria popolazione pur di mantenere le proprie ambizioni imperiali. Come già avvenuto nell’esplosione del porto di Beirut nel 2020, il prezzo più alto lo pagano i civili.

La tragedia di Bandar Abbas, secondo questa lettura, segna un passo ulteriore verso la resa dei conti finale con un regime ormai gravemente indebolito, sia sul piano militare sia su quello della legittimità internazionale.

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Esteri

Hamas offre ostaggi in cambio di 5 anni di tregua

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Hamas mette sul piatto dei negoziati una nuova proposta: la liberazione di tutti gli ostaggi israeliani ancora nelle sue mani in cambio del ritiro dell’Idf e di un cessate il fuoco della durata di 5 anni. Ma le notizie che arrivano dal Cairo, dove è arrivata una delegazione del movimento integralista palestinese per discutere con i mediatori egiziani, non fermano raid e combattimenti, con un bilancio che nelle ultime 24 ore è costato la vita a quasi 50 palestinesi e alcuni soldati israeliani. Un funzionario di Hamas, che ha chiesto l’anonimato, ha detto all’Afp che il gruppo “è pronto a uno scambio di prigionieri in un’unica soluzione e a una tregua di cinque anni”.

La proposta arriva dopo il no all’offerta di Tel Aviv, 45 giorni di tregua e 10 ostaggi liberati, motivata dal fatto che Hamas punta alla fine della guerra, e al ritiro di Israele dalla Striscia, e non vuole “accordi parziali” con il governo di Benyamin Netanyahu. Altri responsabili di Hamas, sempre in forma anonima, hanno sottolineato a diversi media arabi anche la disponibilità a “lasciare il governo della Striscia all’Autorità nazionale palestinese, oppure a un comitato di tecnocrati indipendenti scelti dall’Egitto”.

E, pur rifiutando di abbandonare le armi, a “far uscire da Gaza combattenti in cambio della loro incolumità”. Tesi e proposte a cui si è aggiunta la pubblicazione di un video che mostrerebbe i miliziani delle brigate Qassam che scavano sotto le macerie di un tunnel bombardato dall’Idf, per trarre in salvo con successo un ostaggio israeliano. Da Tel Aviv per il momento non arrivano commenti, ma a quanto si apprende il capo del Mossad David Barnea sarebbe arrivato già giovedì in Qatar per incontrare il premier Mohammed bin Abdulrahman al-Thani e discutere nuovamente di una base di accordo per il rilascio degli ostaggi. Fonti militari citate dai media hanno però ammonito che l’esercito si prepara a “incrementare la pressione e stringere il cappio su Hamas”.

A Gaza intanto il bilancio dell’ultima giornata di raid è di almeno 49 morti, afferma il ministero della Salute mentre i soccorritori “scavano ancora sotto le macerie”.

Il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha detto che nei combattimenti di terra “il prezzo è alto”, dopo l’uccisione nelle ultime ore di un riservista e il ferimento di altri quattro soldati in un attacco con esplosivi e armi automatiche. Nel nord di Israele sono invece risuonate le sirene per il lancio di un “missile ipersonico” rivendicato dagli Houthi che aveva come obiettivo Haifa. E’ la prima volta che i ribelli yemeniti tentano di colpire così lontano, il missile è stato intercettato e distrutto.

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