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In Italia 500mila under20 con disturbi spettro autistico

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La sindrome dello spettro autistico – una condizione caratterizzata dalla difficoltà a stabilire relazioni sociali normali, da un uso anomalo o assente del linguaggio e da comportamenti ripetitivi – in Italia riguarda circa 550mila giovani sotto i 20 anni, pari a un tasso di 917 casi ogni 100 mila persone. Una condizione complessa le cui cause non sono ancora del tutto note, anche se esistono correlazioni genetiche, e che richiede interventi mirati. Per ricordarlo, si celebra domani, 2 aprile, la Giornata mondiale della consapevolezza sull’autismo con numerose iniziative anche in Italia.

A partire dalla luce blu che, come in tante città del mondo, illuminerà vari monumenti, come la Fontana dei Dioscuri nella Piazza del Quirinale e la facciata del Senato. I numeri indicano che a livello globale 1 bambino su 36 (1 su 77 in Italia) è colpito da disturbi dello spettro autistico, con una prevalenza nei maschi. In Italia, gli esperti segnalano circa 4.330 nuovi casi ogni anno. Eppure, ancora scarsa è spesso la consapevolezza rispetto a questo disturbo, come ha evidenziato anche un recente articolo del New England Journal of Medicine dal quale emerge come l’autismo sia ancora poco conosciuto da molti operatori sanitari, con ripercussioni dirette sulla qualità delle cure erogate.

Sul fronte scientifico, poi, tante le sfide ancora aperte come quella di arrivare ad intercettare precocemente i segni di rischio. In questa direzione vanno due studi promossi dalla Fondazione Stella Maris di Pisa, struttura che ogni anno diagnostica un disturbo dello spettro autistico a circa 900 bambini, con una media di 20 a settimana: sono dedicati proprio al riconoscimento dei segni precoci sia in bambini provenienti dalla popolazione generale, sia in specifici gruppi considerati a rischio, come i bambini prematuri o che hanno un fratello o sorella maggiore con autismo, o che mostrano difficoltà socio-comunicative.

Il fine, spiega Andrea Guzzetta, responsabile del Dipartimento di Neuroscienze dell’Età Evolutiva della Stella Maris, “è proprio quello di intercettare i segni precoci, già dalla fascia 9-15 mesi, per attivare una promozione dello sviluppo, con coinvolgimento delle famiglie, che possa avere ripercussioni positive sulla plasticità cerebrale, che è massima a questa età. La ricerca mostra infatti come i primi segni di autismo emergano spesso già nel primo anno di vita e che i bambini che iniziano l’intervento nei primi due anni presentano in media traiettorie evolutive migliori, rispetto a quelli che lo iniziano successivamente”. Un progetto per tracciare lo sviluppo di oltre 3mila bambini a rischio autismo, la creazione di una rete nazionale per le emergenze comportamentali e la realizzazione di un’infrastruttura informatizzata per l’assistenza medico-ospedaliera sono invece alcune delle iniziative promosse dell’Istituto Superiore di Sanità.

Ancora tanto, tuttavia, resta da fare sul fronte dei diritti, è il richiamo dell’Associazione nazionale genitori persone con autismo (Angsa). Se infatti, ricorda l’associazione, rappresentano indubbiamente delle conquiste la legge sull’Autismo del 2015 e il riconoscimento nel 2017 dell’autismo nei nuovi Livelli Essenziali di Assistenza (Lea), sul territorio, in realtà, i servizi spesso mancano.

Tra i “diritti mancati”, afferma l’Angsa, innanzitutto i servizi per la diagnosi precoce in ogni regione, la presa in carico e progetti di vita in ogni Asl, la specializzazione di docenti nelle scuola ed i servizi per gli adulti. Diritti negati, sui quali ad intervenire sono in vari casi i tribunali. Così, ad esempio, alla vigilia della Giornata mondiale, il Tribunale di Campobasso ha condannato l’Azienda sanitaria regionale del Molise a rimborsare 100mila euro ai genitori di un minore autistico per le spese sostenute per garantirgli la riabilitazione con il metodo Aba.

Il metodo psico-educativo Aba è infatti considerato tra i più innovativi ed efficaci nel trattamento del disturbo autistico, riconosciuto dalle linee guida dell’Iss. Eppure, sottolinea l’Angsa, il nuovo decreto Tariffe per l’applicazione dei Lea dimentica l’autismo con il mancato inserimento di queste terapie basate sull’analisi applicata del comportamento. E questo, nonostante una sentenza del Consiglio di Stato del 2023 abbia stabilito la piena esigibilità dell’Aba a carico del Servizio Sanitario Nazionale.

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Esteri

Iran, mistero sull’esplosione a Bandar Abbas: 14 morti e oltre 700 feriti

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Il ministero dell’Interno iraniano ha confermato che il bilancio dell’esplosione (ancora provvisorio) avvenuta al porto di Bandar Abbas, città strategica sullo Stretto di Hormuz, è salito a 14 morti e 740 feriti. Un evento gravissimo che scuote una delle aree più delicate per gli equilibri geopolitici globali.

Le cause restano misteriose

Le autorità iraniane parlano ufficialmente di un generico incidente, senza però fornire dettagli precisi. Questa vaghezza ha acceso numerosi interrogativi a livello internazionale: fonti estere suggeriscono che potrebbe trattarsi non di un incidente, ma di un attacco deliberato attribuibile a un Paese nemico, con il sospetto principale che ricade su Israele.

L’ipotesi dell’attacco mirato: la pista del combustibile per missili

Secondo analisi parallele, le esplosioni di Bandar Rajaei — uno dei principali terminali del porto di Bandar Abbas — non sarebbero casuali. La natura delle detonazioni, l’intensità dell’onda d’urto e l’estensione dei danni lascerebbero supporre la presenza di materiale altamente infiammabile e volatile, come il combustibile solido per razzi.

Fonti non ufficiali rivelano che Bandar Rajaei fosse recentemente diventato il deposito strategico del combustibile solido per missili balistici della Repubblica Islamica, importato dalla Cina tramite navi cargo. Non un semplice magazzino, dunque, ma un elemento chiave nelle strategie militari regionali di Teheran.

Israele nel mirino dei sospetti

Non sarebbe la prima volta che Israele compie operazioni mirate per neutralizzare le capacità missilistiche iraniane: già in passato, con massicce incursioni aeree, ha distrutto impianti critici, ritardando di anni la produzione bellica del regime. Secondo questa ricostruzione, l’Iran, nel tentativo disperato di ricostituire le sue scorte, avrebbe nascosto i materiali in infrastrutture civili, trasformando i cittadini in scudi umani.

L’attacco — se confermato — avrebbe incenerito gran parte del deposito e colpito anche la catena logistica dei rifornimenti missilistici destinati agli Houthi nello Yemen, infliggendo un danno catastrofico alla rete militare iraniana nella regione.

Un’accusa morale pesante contro il regime iraniano

L’episodio di Bandar Rajaei non sarebbe soltanto un durissimo colpo militare, ma rappresenterebbe anche un’accusa morale contro un regime accusato di sacrificare la propria popolazione pur di mantenere le proprie ambizioni imperiali. Come già avvenuto nell’esplosione del porto di Beirut nel 2020, il prezzo più alto lo pagano i civili.

La tragedia di Bandar Abbas, secondo questa lettura, segna un passo ulteriore verso la resa dei conti finale con un regime ormai gravemente indebolito, sia sul piano militare sia su quello della legittimità internazionale.

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Esteri

Hamas offre ostaggi in cambio di 5 anni di tregua

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Hamas mette sul piatto dei negoziati una nuova proposta: la liberazione di tutti gli ostaggi israeliani ancora nelle sue mani in cambio del ritiro dell’Idf e di un cessate il fuoco della durata di 5 anni. Ma le notizie che arrivano dal Cairo, dove è arrivata una delegazione del movimento integralista palestinese per discutere con i mediatori egiziani, non fermano raid e combattimenti, con un bilancio che nelle ultime 24 ore è costato la vita a quasi 50 palestinesi e alcuni soldati israeliani. Un funzionario di Hamas, che ha chiesto l’anonimato, ha detto all’Afp che il gruppo “è pronto a uno scambio di prigionieri in un’unica soluzione e a una tregua di cinque anni”.

La proposta arriva dopo il no all’offerta di Tel Aviv, 45 giorni di tregua e 10 ostaggi liberati, motivata dal fatto che Hamas punta alla fine della guerra, e al ritiro di Israele dalla Striscia, e non vuole “accordi parziali” con il governo di Benyamin Netanyahu. Altri responsabili di Hamas, sempre in forma anonima, hanno sottolineato a diversi media arabi anche la disponibilità a “lasciare il governo della Striscia all’Autorità nazionale palestinese, oppure a un comitato di tecnocrati indipendenti scelti dall’Egitto”.

E, pur rifiutando di abbandonare le armi, a “far uscire da Gaza combattenti in cambio della loro incolumità”. Tesi e proposte a cui si è aggiunta la pubblicazione di un video che mostrerebbe i miliziani delle brigate Qassam che scavano sotto le macerie di un tunnel bombardato dall’Idf, per trarre in salvo con successo un ostaggio israeliano. Da Tel Aviv per il momento non arrivano commenti, ma a quanto si apprende il capo del Mossad David Barnea sarebbe arrivato già giovedì in Qatar per incontrare il premier Mohammed bin Abdulrahman al-Thani e discutere nuovamente di una base di accordo per il rilascio degli ostaggi. Fonti militari citate dai media hanno però ammonito che l’esercito si prepara a “incrementare la pressione e stringere il cappio su Hamas”.

A Gaza intanto il bilancio dell’ultima giornata di raid è di almeno 49 morti, afferma il ministero della Salute mentre i soccorritori “scavano ancora sotto le macerie”.

Il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha detto che nei combattimenti di terra “il prezzo è alto”, dopo l’uccisione nelle ultime ore di un riservista e il ferimento di altri quattro soldati in un attacco con esplosivi e armi automatiche. Nel nord di Israele sono invece risuonate le sirene per il lancio di un “missile ipersonico” rivendicato dagli Houthi che aveva come obiettivo Haifa. E’ la prima volta che i ribelli yemeniti tentano di colpire così lontano, il missile è stato intercettato e distrutto.

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Zelensky: da Meloni una posizione chiara, la apprezzo

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“Oggi a Roma ho incontrato la Presidente del Consiglio italiana, Giorgia Meloni. Abbiamo discusso dell’importanza delle garanzie di sicurezza per l’Ucraina e degli sforzi per ripristinare la pace e proteggere le vite umane”. Lo ha scritto su X Volodymyr Zelensky. “46 giorni fa l’Ucraina – scrive – ha accettato un cessate il fuoco completo e incondizionato e per 46 giorni la Russia ha continuato a uccidere il nostro popolo. Pertanto, è stata prestata particolare attenzione all’importanza di esercitare pressioni sulla Russia”. Ed ha aggiunto: “Apprezzo la posizione chiara e di principio di Giorgia Meloni”.

Il leader ucraino ha aggiunto di aver “informato” la premier italiana “degli incontri costruttivi tenuti dalla delegazione ucraina con i rappresentanti di Stati Uniti, Francia, Regno Unito e Germania a Parigi e Londra. C’è una posizione comune: un cessate il fuoco incondizionato deve essere il primo passo verso il raggiungimento di una pace sostenibile in Ucraina”.

(la foto in evidenzaè di Imagoeconomica)

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