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Il killer di Reading è un libico sfuggito agli 007

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Aveva cercato asilo nel Regno Unito in fuga dalla Libia: vi ha portato odio e morte, ma ancora non e’ del tutto chiaro perche’. Si chiama Khairi Saadallah il 25enne che ieri ha accoltellato a caso una mezza dozzina di persone in un parco di Reading, citta’ dell’Inghilterra meridionale nella Valle del Tamigi, uccidendone tre e ferendone gravemente altre tre in un attacco qualificato come “terroristico” dagli investigatori dopo qualche esitazione ufficiale. E su cui pesa tuttavia pure il sospetto di una componente di squilibrio mentale. Il suo arresto per ora sembra aver chiuso il cerchio della ricerca dei colpevoli. Il contesto quello di un ennesimo lupo solitario, privo di complici. Ma diversi interrogativi devono essere ancora sciolti, come ha lasciato intendere lo stesso premier Boris Johnson indicando la necessita’ che le indagini “proseguano fino in fondo”. Al centro dell’attenzione e’ il profilo dell’arrestato: di origine libica (come il terrorista kamikaze Salman Abedi che nel 2017 fece strage alla Manchester Arena), residente a Reading come richiedente asilo ed entrato nel radar dei servizi segreti interni di Sua Maesta’ dell’MI5 fin dall’anno scorso, riferiscono i media; eppure uscito dal carcere senza apparenti vincoli di sorveglianza a fine 2019 dopo una condanna a poco piu’ di 12 mesi per reati “minori” di criminalita’ comune. Il profilo di un personaggio sospetto, ma anche di psicolabile, secondo fonti d’intelligence che ne hanno evocato la “salute mentale” come “un fattore importante” nell’accaduto: contagiato magari da suggestioni radicali proprio in prigione. Neal Basu – numero due di Scotland Yard e capo dell’antiterrorismo britannico, intervenuto nelle indagini su richiesta della Thames Valley Police – ha lasciato balenare qualche analogia con gli ultimi due raid di terrorismo fai-da-te verificatisi a Londra nei mesi scorsi, fra novembre e febbraio: in particolare quello perpetrato 7 mesi fa a London Bridge da Usman Khan, jihadista in liberta’ condizionata abbattuto da un agente dopo aver ucciso a coltellate due giovani ricercatori impegnati nel reinserimento degli ex detenuti indossando un finto gilet esplosivo. Similitudini solo parziali del resto, nelle parole estremamente prudenti di Basu. “Nulla ci fa ritenere che vi sia qualcun altro coinvolto e al momento non ricerchiamo nessuno”, si e’ infatti limitato a dire l’alto funzionario, confermando che il fascicolo aperto riguarda formalmente la legge sul terrorismo vista la dinamica dell’episodio, ma insistendo che l’esatto movente di “questa atrocita’” resta al momento “lontano dall’essere chiaro”. Certi sono invece gli attimi di terrore vissuti ieri sera a Reading, nel parco di Forbury Gardens, due ore dopo una pacifica manifestazione antirazzista del movimento Black Lives Matter con cui e’ confermato non esserci stato alcun legame. Un testimone oculare, Lawrence Wort, 20enne personal trainer, li ha raccontati alla Bbc quasi in presa diretta: dal momento in cui il 25enne e’ apparso con in mano “un coltellaccio la cui lama doveva essere lunga una dozzina di centimetri”; a quello in cui ha preso di mira vari capannelli di persone che bevevano e chiacchieravano all’aperto in una serata di bel tempo coincisa con il giorno piu’ lungo dell’anno (quello del solstizio d’estate), approfittando del recente rilassamento delle restrizioni legate al coronavirus; fino a quello in cui ha scatenato la sua personale orgia di sangue mulinando fendenti al collo e al corpo delle vittime, prima di essere placcato con mossa da rugby da un poliziotto esaltato come “eroe” dai tabloid. “Sono inorridito e disgustato”, ha commentato da parte sua Johnson, dopo aver presieduto una riunione dei vertici delle sicurezza nazionale. Per ora l’allerta terrorismo nel Regno resta al livello 3 su una scala di 5. Ma il premier ha avvertito che “se ci saranno ulteriori lezioni da trarre” sulle misure legali di sorveglianza per gli ex reclusi, gia’ irrigidite dopo l’attacco di London Bridge (e, chissa’, su eventuali nuovi buchi dell’MI5), il governo Tory “non esitera’ ad agire”.

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Esteri

Venezuela, liberato l’italiano Oreste Alfredo Schiavo: era detenuto da quattro anni per presunto golpe

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È tornato finalmente libero Oreste Alfredo Schiavo, imprenditore italo-venezuelano di 67 anni, condannato in Venezuela a 30 anni di carcere con l’accusa di tradimento, finanziamento del terrorismo e associazione a delinquere. Una vicenda che si trascinava dal giugno 2020 e che ha trovato un esito positivo nelle scorse ore, grazie alla mediazione riservata della Comunità di Sant’Egidio, con il supporto della Farnesina e dei rappresentanti diplomatici italiani in loco.

Arrestato per l’operazione “Gedeone”

Schiavo era stato arrestato dagli agenti del Sebin, il servizio di intelligence venezuelano, l’8 giugno 2020. Il suo nome era stato collegato all’operazione “Gedeone”, un presunto tentativo di colpo di Stato ai danni del presidente Nicolás Maduro, che avrebbe previsto lo sbarco di mercenari sulle coste del Paese per prendere in ostaggio funzionari del governo. Insieme a Schiavo furono fermate circa 90 persone. In primo grado, nel maggio 2024, Schiavo era stato condannato a 30 anni di carcere, nonostante le sue gravi condizioni di salute.

L’intervento di Sant’Egidio e il viaggio verso Roma

La svolta è arrivata nella giornata di ieri, grazie a un’operazione diplomatica silenziosa, portata avanti dal docente e dirigente di Sant’Egidio Gianni La Bella, dai funzionari dell’ambasciata e del consolato d’Italia, e con il determinante contributo di Rafael La Cava, ex ambasciatore venezuelano a Roma e attuale governatore dello Stato di Carabobo.
Schiavo è stato scarcerato dal penitenziario di El Helicoide, noto per la presenza di prigionieri politici e denunciato da organizzazioni per i diritti umani per le sue condizioni carcerarie, e successivamente condotto in una clinica per accertamenti sanitari.

“Liberato per motivi umanitari”

In serata, il rilascio si è trasformato in un rimpatrio in Italia, con un volo di linea diretto a Fiumicino partito alle 17 (ora locale). Sant’Egidio ha voluto ringraziare pubblicamente il presidente Maduro, specificando che il rilascio è stato concesso “per ragioni umanitarie, con un atto di liberalità personale”.

Un gesto che apre nuove possibilità

La liberazione di Schiavo potrebbe rappresentare il primo spiraglio per sbloccare anche altre detenzioni italiane in Venezuela, come quella del cooperante Alberto Trentini, arrestato nel 2024, e di due italo-venezuelani: Juan Carlos Marrufo Capozzi, ex militare arrestato nel 2019, e Hugo Marino, investigatore aeronautico che aveva indagato su due misteriosi incidenti aerei accaduti attorno all’arcipelago di Los Roques, nei quali morirono, tra gli altri, Vittorio Missonie sua moglie.

Il carcere e le denunce di tortura

Nel carcere di El Helicoide, dove era rinchiuso Schiavo, numerosi attivisti per i diritti umani hanno documentato casi di maltrattamenti e detenzioni arbitrarie. Anche l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani si era occupato del suo caso, definito emblematico per le gravi violazioni del diritto alla difesa e per l’assenza di prove concrete nel processo.

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Media Houthi, 2 morti e 42 feriti nell’attacco israeliano

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E’ di almeno due morti e 42 feriti l’ultimo bilancio dell’attacco israeliano lanciato oggi alla fabbrica Ajal nella provincia di Hodeida, nello Yemen. Lo riporta il canale al Masirah, affiliato agli Houthi, citato da Ynet e dall’agenzia russa Tass. E’ la prima reazione di ISraele all’attacco degli Houthi all’aeroporto Ben Gurion dei giorni scorsi.

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Perù, coprifuoco a Pataz dopo la strage dei 13 minatori rapiti

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La presidente del Perù, Dina Boluarte, ha dichiarato il coprifuoco nella distretto di Pataz, nella regione settentrionale di La Libertad dopo che ieri la polizia ha ritrovato in un tunnel i corpi dei 13 lavoratori rapiti il 26 aprile scorso da minatori di oro illegali. Lo rendono noto i principali media peruviani.

Oltre al coprifuoco a Pataz, dalle 18 di sera alle 6 del mattino, Boluarte ha annunciato anche la sospensione dell’attività mineraria per 30 giorni in tutta la provincia oltre ad accogliere la richiesta delle autorità locali di aprire una base militare a Pataz, vista l’assenza della Polizia peruviana nella regione. La decisione segue di poche ore la diffusione di un video sui social media, registrato dai sequestratori, in cui si mostra come ciascuno dei minatori sia stato giustiziato a bruciapelo. Le 13 vittime erano lavoratori assunti dall’azienda R&R, di proprietà di un minatore artigianale che svolge attività di sicurezza per la miniera Poderosa, una delle principali compagnie aurifere della provincia, sempre più sovente bersaglio di attacchi da parte di minatori illegali e gruppi criminali. (

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