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Flop di esercito e 007, come 50 anni fa a Kippur

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Inatteso e micidiale. L’attacco di Hamas a Israele ha colto alla sprovvista l’intera struttura militare dello Stato ebraico, a cominciare dall’intelligence. Non sono pochi i commentatori e gli esperti militari a parlare apertamente di una Pearl Harbor israeliana. O piuttosto di una riedizione di quanto accadde il 6 ottobre del 1973 – esattamente 50 anni fa – nella guerra di Yom Kippur, quando gli egiziani dal sud e i siriani dal nord irruppero senza preavviso gettando il Paese nel caos per la totale impreparazione delle forze di difesa. Se per anni Israele si è concentrato a distruggere i temibili tunnel sotterranei che dalla Striscia sbucavano oltreconfine, stavolta i miliziani sono penetrati da terra, cielo e mare, beffando con facilità irrisoria il confine più controllato al mondo, dotato di barriere ad alta tecnologia e sorveglianza aerea h24.

I terroristi hanno seminato il terrore nei kibbutz di confine: la presa di ostaggi e l’enorme numero di vittime dimostrano quanto poco gli israeliani si aspettassero tutto questo. L’intelligence sul terreno è apparsa più che deficitaria; e le relazioni con i servizi dell’Anp di Abu Mazen, un tempo cruciali data la comune ostilità verso Hamas, appaiono evidentemente azzerate da governi come quello attuale e non solo. Amos Harel, grande esperto di difesa, ha scritto su Haaretz che “il confronto storico in questo caso è inevitabile. Ed è triste dirlo: la ‘konzeptzia’ israeliana (il termine con cui si definì l’errata pretesa di infallibilità della sua dottrina militare dopo la vittoriosa guerra del ’67) è crollata”, allo stesso modo di 50 anni fa.

Nonostante la totale assenza di qualsiasi allarme, è sicuro che Hamas abbia programmato per mesi l’attacco e in tutto questo tempo Israele, ha ironizzato Harel, “ha dibattuto sull’opportunità di aumentare il numero di lavoratori di Gaza a cui consentire” l’ingresso nello Stato ebraico. Senza dimenticare l’euforia per l’imminente accordo sulla normalizzazione con l’Arabia Saudita mediato dagli Usa. “Il catastrofico risultato, 50 anni e un giorno dopo la guerra di Kippur, è stato l’enorme buco del sistema di difesa”, ha sintetizzato l’analista.

Ma quali sono le cause? Molti indicano la complessa situazione politica che Israele sta vivendo da 8 mesi, con la riforma giudiziaria voluta dal governo di destra del premier Benyamin Netanyahu che ha spaccato il Paese con manifestazioni oceaniche e provocato una sorta di paralisi istituzionale: basti pensare ai tantissimi riservisti dell’esercito pronti a non presentarsi al richiamo in nome della difesa della democrazia e della Corte Suprema, minacciate a loro giudizio da quella riforma. Uno scollamento su cui lo stesso capo di Stato maggiore Herzi Halevi aveva più volte messo in guardia il governo e i politici, ammonendoli sulle possibili conseguenze. “E’ un giorno molto duro questo 7 ottobre”, ha denunciato l’ex capo del Consiglio di sicurezza nazionale israeliano Giora Eiland, “esattamente come lo fu il primo giorno della guerra di Yom Kippur 50 anni fa.

Israele è stato preso di sorpresa da un attacco ben coordinato. E non mi riferisco tanto alla raffica dei razzi quanto all’invasione via terra, cielo e mare. La confusione è prevalsa per ore”, mentre i terroristi sono riusciti ad occupare con un blitz decine tra kibbutz e moshavim e sono entrati pure a Sderot, che è già un centro urbano. Le operazioni di liberazione dei luoghi dove ci sono ancora nuclei di miliziani a tarda sera non erano ancora completate e richiederanno altro tempo. Una debacle che difficilmente Israele dimenticherà.

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‘Da banche Occidente in Russia 800 mln euro in tasse a Cremlino’

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Le maggiori banche occidentali che sono rimaste in Russia hanno pagato lo scorso anno più di 800 milioni di euro in tasse al Cremlino, una cifra quattro volte superiore ai livelli pre-guerra. Lo riporta il Financial Times sottolineando che le imposte pagate, pari allo 0,4% delle entrate russe non legate all’energia per il 2024, sono un esempio di come le aziende straniere che restano nel Paese aiutano il Cremlino a mantenere la stabilità finanziaria nonostante le sanzioni. Secondo quanto riportato dal quotidiano, “le maggiori sette banche europee per asset in Russia – Raiffeisen Bank International, Unicredit, Ing, Commerzbank, Deutsche Bank, OTP e Intesa Sanpaolo – hanno riportato profitti totali per oltre tre miliardi di euro nel 2023. Questi profitti sono stati tre volte maggiori rispetto al 2021 e in parte generati dai fondi che le banche non possono ritirare dal Paese”.

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Sindaco Istanbul Ekrem Imamoglu contro Erdogan: Hamas è un gruppo terroristico

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Il sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu, il principale rivale del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, definisce Hamas “un gruppo terroristico” e afferma che la Turchia è stata “profondamente rattristata” dal massacro del 7 ottobre. Intervistato dalla Cnn, il primo cittadino della metropoli turca spiega che “qualsiasi struttura organizzata che compie atti terroristici e uccide persone in massa è da noi considerata un’organizzazione terroristica”, aggiungendo però che crimini simili stanno colpendo i palestinesi e invita Israele a porre fine alla sua guerra contro Hamas.

Il governo turco di Erdogan sostiene apertamente Hamas, ha duramente criticato l’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza e ha chiesto un cessate il fuoco immediato. Il leader turco ha paragonato le tattiche del primo ministro Benyamin Netanyahu a quelle di Adolf Hitler e ha definito Israele uno “stato terrorista” a causa della sua offensiva contro Hamas a Gaza.

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Usa: sondaggio “Cnn”, Trump in vantaggio su Biden di 6 punti a livello nazionale

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A poco meno di sei mesi dalle elezioni negli Stati Uniti, l’ex presidente Donald Trump gode del sostegno del 49 per cento degli elettori, in vantaggio di sei punti percentuali sul suo successore Joe Biden, fermo al 43 per cento. Lo indica l’ultimo sondaggio pubblicato dall’emittente “Cnn” ed effettuato dall’istituto Ssrs. Rispetto alla precedente rilevazione condotta lo scorso gennaio, il candidato repubblicano e’ rimasto stabile, mentre l’attuale presidente ha perso il due per cento del proprio consenso. Soprattutto, e’ in miglioramento l’idea che gli elettori hanno degli anni della presidenza Trump. Ora il 55 per cento degli statunitensi considera “un successo” la sua amministrazione, contro il 44 per cento che la definisce “un fallimento”.

Nel gennaio del 2021, pochi giorni dopo l’insediamento di Biden, era il 55 per cento a considerare un fallimento la presidenza di Trump. Al contrario, il 61 per cento ritiene che la presidenza Biden sia stata un fallimento, mentre il 39 per cento la definisce “un successo”. Il sondaggio mostra anche come i repubblicani siano piu’ convinti dell’idea che la presidenza Trump sia stata un successo (92 per cento) rispetto a quanto gli elettori democratici abbiano la stessa opinione della presidenza Biden (solo il 73 per cento). Tra gli indipendenti, l’amministrazione Trump e’ guardata con favore dal 51 per cento, contro il 37 per cento che ha opinione positiva dell’attuale presidenza. Poi vi e’ un 14 per cento che considera un fallimento entrambe le esperienze, e un 8 per cento che invece ritiene un successo sia la presidenza di Donald Trump che quella di Joe Biden.

Il sondaggio rileva anche come il 60 per cento degli elettori disapprovi l’operato dell’attuale presidente e come il tasso di approvazione, attualmente al 40 per cento, sia al di sotto del 50 per cento anche su materie quali le politiche sanitarie (45 per cento) e la gestione del debito studentesco (44 per cento). A pesare sull’opinione che i cittadini Usa hanno di Biden e’ soprattutto la gestione della crisi a Gaza (il 71 per cento disapprova), in particolare nel caso degli under 35 (tra questi e’ l’81 per cento a esprimere valutazione negativa). Non molto meglio il giudizio degli elettori sull’operato della Casa Bianca in economia (solo il 34 per cento approva), tema che il 65 per cento degli intervistati considera “estremamente importante” per il voto di novembre.

Tra questi ultimi, il 62 per cento ha intenzione di votare Trump, il 30 per cento Biden. In generale, il 70 per cento degli elettori si lamenta delle attuali condizioni economiche del Paese, e il 53 per cento si dice insoddisfatto della propria situazione finanziaria. Tale insoddisfazione sale soprattutto tra gli elettori a basso reddito, tra le persone di colore e tra i piu’ giovani. L’impressione per entrambi i candidati resta per lo piu’ negativa (il 58 per cento ha opinione negativa di Biden, il 55 per cento di Trump) e il 53 per cento e’ insoddisfatto delle opzioni a disposizione sulla scheda elettorale il prossimo novembre.

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