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Cronache

Il generale Roberto Vannacci: gay iper rappresentati, non si capisce perché

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“Non mi rimangio nulla” anche se “senza il contesto non si capiscono alcune cose”. È quando afferma a Repubblica il generale Roberto Vannacci, nell’occhio del ciclone per le parole sugli omosessuali contenute nel suo libro. “Asserire che una minoranza sia normale è una contraddizione”, dice.

La comunità gay “la ritengo sovrarappresentata, addirittura è un vanto esserlo, non esiste una demografia precisa che ci dica quanti sono, ma il motivo della iper rappresentazione qual’è?”, domanda. “Poi ho amici gay, nulla contro”. Secondo Vannacci c’è una lobby gay che guida l’informazione.

“C’è qualcuno, un gruppo di pressione che opera. Comunque, sono per la libertà di espressione e anche contrario al fatto che ci siano categorie protette”, afferma. Lo stesso vale per gli ebrei. “Ho capito: c’è stata la Shoah, va bene – dice il generale -, ma questo non configura la religione ebraica come protetta”.

“Gli omosessuali non sono normali tanto quanto non lo sono io”, ribadisce il concetto intervistato dal Qn, ma “sarei altrettanto fiero se fossi omosessuale”. Vannacci si dice “convinto, persuaso di non avere offeso nessuno”. Il libro “lo riscriverei senza alcun problema”. Il generale ricorda di avere combattuto “accanto a molti popoli”.

“Non ho alcun pregiudizio su alcuna popolazione. Però non mi si venga a dire che siamo tutti uguali perché non lo siamo”, dichiara. Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha definito le sue parole ‘farneticanti’. “Non mi esprimo nei confronti del ministro – replica -. Mi esprimerò davanti a lui quando mi convocherà o nei confronti di chi mi convocherà”.

Sull’argomento ha scritto un post,, Marcello Veneziani, intellettuale di destra. Ve lo proponiamo integralmente. 

𝐆𝐞𝐧𝐞𝐫𝐚𝐥𝐞 𝐬𝐜𝐨𝐦𝐩𝐢𝐠𝐥𝐢𝐨 𝐞 𝐧𝐨𝐫𝐦𝐚𝐥𝐞 𝐝𝐢𝐯𝐞𝐫𝐬𝐢𝐭𝐚̀
Il mostro della settimana è il generale Roberto Vannacci, ex comandante della Folgore, col suo libro “Il mondo al contrario” che ha subito scalato le classifiche su Amazon. Linciato a mezzo stampa, con il nullaosta del ministro della difesa Crosetto, per aver scritto quel che il senso comune generale pensava e diceva fino a qualche anno fa. E che molti pensano ma non dicono nel presente, per non incorrere nella scomunica dell’ episcopato multisex.
Il peggio che si può dire del suo libro è che usa un linguaggio da caserma. Per forza, lui è un militare (benché trilaureato). Mi limito solo a far notare che la parola chiave che ha suscitato la condanna, “normale”, non ha un connotato morale o valutativo: è la constatazione di fatto che il mondo sin dalle sue origini, si fonda sull’unione tra un uomo e una donna, che costituisce dunque la “regola” generale da sempre. Poi ci sono le diversità, da riconoscere e rispettare. Infine ci sono gli abusi di chi passa dal diritto alla diversità all’orgoglio esibito fino alla prevaricazione e al divieto di esprimere opinioni difformi in materia. Chi non la pensa come noi ha tutto il diritto di esprimersi, ma non ha il diritto di imporre il suo modo di pensare a noi. Dovrebbe essere normale e invece…

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Cronache

Tragedia a Muggia: madre ucraina uccide il figlio di nove anni, il bambino era stato affidato al padre

A Muggia, in provincia di Trieste, una madre ucraina ha ucciso il figlio di nove anni tagliandogli la gola. Il bambino, affidato al padre dopo la separazione, era in visita alla donna.

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Una tragedia sconvolgente ha scosso la comunità di Muggia, alle porte di Trieste. Una donna di nazionalità ucraina ha ucciso il figlio di nove anni, tagliandogli la gola con un coltello all’interno della loro abitazione in via Marconi, nel centro cittadino.

L’allarme è stato lanciato nella serata di ieri dal padre del bambino, che vive fuori dal Friuli Venezia Giulia e non riusciva a mettersi in contatto con l’ex compagna. Quando la Squadra Mobile di Trieste è arrivata nell’appartamento, il piccolo era già morto.


Una famiglia seguita dal tribunale e dai servizi sociali

La vicenda familiare era nota ai servizi sociali ed era seguita anche dal tribunale minorile. Dopo la separazione, la custodia del bambino era stata affidata al padre, ma la madre aveva mantenuto il diritto di incontrare il figlio, secondo quanto stabilito dalle disposizioni del giudice.

I rapporti tra i due genitori erano difficili, come hanno riferito persone vicine alla famiglia. Ieri sera, l’incontro si è trasformato in tragedia.


Il corpo trovato in bagno, la madre in stato di choc

Quando i Vigili del Fuoco e gli agenti di polizia sono entrati nell’abitazione, il corpo del bambino era già senza vita da diverse ore e si trovava nel bagno di casa.

La donna è stata trovata in stato di choc e soccorsa sul posto. Gli inquirenti stanno ricostruendo la dinamica dei fatti e le eventuali motivazioni del gesto, mentre la Procura di Trieste ha aperto un’inchiesta per omicidio volontario aggravato.

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Inchiesta sui cellulari in carcere: perquisizioni ad Avellino, 18 indagati tra detenuti ed ex detenuti

I Carabinieri di Avellino e la Polizia Penitenziaria hanno eseguito perquisizioni nel carcere “Antimo Graziano” e in altre sedi: 18 indagati per uso illecito di cellulari in carcere, uno anche per stalking.

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I Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Avellino, insieme alla Polizia Penitenziaria della Casa Circondariale e al Nucleo Investigativo Regionale per la Campania, hanno eseguito un decreto di perquisizione locale e personale a carico di 18 indagati, tutti detenuti o ex detenuti dell’istituto penitenziario “Antimo Graziano” di Avellino.

Gli indagati sono gravemente sospettati del reato di accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti (articolo 391 ter del codice penale). In un caso si procede anche per atti persecutori (articolo 612 bis).


L’operazione nel carcere “Antimo Graziano”

Le perquisizioni, disposte dalla Procura della Repubblica di Avellino, hanno interessato le celle ancora occupate dagli indagati con l’obiettivo di rintracciare e sequestrare dispositivi elettronici e schede SIM detenuti illegalmente.

Il provvedimento nasce da un’indagine condotta dai Carabinieri di Avellino a partire da febbraio 2025, mirata a contrastare il fenomeno dell’uso di smartphone e cellulari all’interno delle carceri, spesso utilizzati per comunicazioni non autorizzate o per accedere ai social network.


La rete dei contatti e i profili social

Le investigazioni hanno rivelato una vera e propria rete di telefoni connessi, una “connected cell” che consentiva ai detenuti di mantenere rapporti continui con l’esterno. Attraverso l’analisi di tabulati telefonici e telematici, spesso riferiti a utenze intestate a soggetti fittizi, gli investigatori hanno ricostruito il circuito relazionale dei detenuti, identificando familiari e amici contattati illegalmente.

Su alcuni profili social riconducibili agli indagati sono stati trovati messaggi e immagini di rilievo investigativo, che confermano l’uso illecito dei dispositivi per comunicazioni e attività potenzialmente criminali.


Un caso di stalking tra i reati scoperti

Le indagini hanno inoltre evidenziato che i telefoni venivano utilizzati anche per commettere altri reati. In particolare, un detenuto è risultato gravemente indiziato di atti persecutori ai danni della vedova dell’uomo da lui ucciso, utilizzando lo smartphone per continuare a molestarla anche dal carcere.

L’inchiesta resta aperta, mentre la Procura di Avellino valuta ulteriori sviluppi per accertare eventuali responsabilità all’interno dell’istituto penitenziario.

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Scoperto bunker-serra di marijuana nell’Aspromonte: denunciati padre e figlio a Platì

I carabinieri scoprono un bunker sotterraneo nascosto sotto una stalla a Platì: coltivavano marijuana con un impianto elettrico abusivo. Denunciati padre e figlio.

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Un bunker sotterraneo nascosto sotto una stalla in mezzo alla vegetazione aspromontana è stato scoperto dai carabinieri della Stazione di Platì, insieme ai militari dello Squadrone Eliportato Cacciatori “Calabria” e del 14° Battaglione “Calabria”, nel corso di un’operazione di controllo del territorio contro la produzione di sostanze stupefacenti.

Padre e figlio, entrambi denunciati in stato di libertà, sono ritenuti responsabili di aver realizzato una vera e propria serra “indoor” per la coltivazione di cannabis, trasformando un capanno agricolo in disuso in un sofisticato laboratorio sotterraneo.

Il cavo elettrico che ha svelato il bunker

L’operazione è scattata dopo una lunga attività di osservazione. Durante una perlustrazione in un’area rurale, i carabinieri hanno notato un cavo elettrico che si perdeva tra gli alberi. Seguendone il tracciato per centinaia di metri, sono giunti all’ingresso di un capanno apparentemente abbandonato.

Dietro un pannello basculante azionato da un sistema di contrappesi, nascosto alla vista, si celava l’accesso a un bunker sotterraneo. All’interno, i militari hanno trovato una piantagione di marijuana con piante alte tra 70 e 110 centimetri, illuminate e ventilate da un impianto elettrico e di aerazione alimentato da un allaccio abusivo alla rete pubblica.

Una serra illegale tecnologicamente avanzata

La struttura era interamente realizzata abusivamente e dotata di tutto il necessario per garantire la crescita indisturbata delle piante: trasformatori, ventilatori, lampade e sistemi di ventilazione ricreavano le condizioni ottimali di una serra professionale.
Tutto era stato studiato nei minimi dettagli per nascondere l’attività e mantenerla attiva in modo costante, lontano da occhi indiscreti.

L’operazione dei carabinieri di Locri

L’intervento rientra in una più ampia strategia di contrasto al narcotraffico condotta dai carabinieri della Compagnia di Locri, che da tempo intensificano i controlli nelle aree più impervie dell’Aspromonte, spesso utilizzate per la produzione e lo stoccaggio di droga.

In una nota, l’Arma ha sottolineato come “la conoscenza del territorio e l’esperienza operativa dei militari restano un baluardo fondamentale contro l’illegalità”, ribadendo l’impegno quotidiano nel controllo delle zone rurali più isolate della Calabria.

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