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Esteri

Il Cremlino a Trump: sul nucleare serve cautela

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Il Cremlino non vede una escalation preoccupante nell’annuncio di Donald Trump di avere schierato due sottomarini nucleari in acque “più vicine alla Russia”, anche se afferma che è necessaria “cautela” nel parlare di questioni relative alle armi atomiche. Ma allo stesso avverte che tornerà a schierare missili a corto e medio raggio se gli Usa e i loro alleati faranno altrettanto. Poche ore prima Trump aveva confermato lo spostamento dei due sottomarini dopo il duro scambio via social con l’ex presidente russo Dmitry Medvedev. Il tycoon, inoltre, ha confermato che imporrà sanzioni secondarie se Mosca non rispetterà l’ultimatum dell’8 agosto per mettere fine ai combattimenti.

La prima ad essere presa di mira è l’India, accusata di acquistare “enormi quantità di petrolio russo” per poi rivenderlo a prezzi maggiorati “ricavandone grandi profitti”. Per questo il tycoon ha detto che aumenterà “sostanzialmente i dazi doganali pagati dall’India agli Stati Uniti”, dopo avere annunciato nei giorni scorsi tariffe del 25% oltre a una “multa” nei confronti di New Delhi. Trump non ha invece accennato all’altro grande acquirente di energia russa, la Cina, con la quale Washington ha esteso una tregua sui dazi la settimana scorsa durante negoziati a Stoccolma. Trump ha anche annunciato l’arrivo a Mosca, “mercoledì o giovedì”, del suo inviato Steve Witkoff su richiesta della controparte. Una fonte citata dalla Tass ha confermato che l’arrivo è atteso mercoledì. “Siamo sempre felici di vedere il signor Witkoff a Mosca e sempre lieti dei contatti con lui, li consideriamo importanti, sostanziali e molto utili”, ha detto il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, non escludendo un incontro faccia a faccia con Putin, che sarebbe il quinto.

Quanto alla questione dei sottomarini che Trump ha detto di avere spostato, Peskov ha osservato che queste unità sono sempre mantenute “in servizio operativo”. “Non riteniamo che ora si stia parlando di qualche tipo di escalation”, ha aggiunto. Il portavoce di Putin ha anche ribadito che un incontro tra il presidente russo e quello ucraino Volodymyr Zelensky – più volte richiesto da quest’ultimo – sarà possibile solo quando sarà portato a termine il “lavoro preparatorio a livello di esperti e le distanze saranno state accorciate”. Ciò che finora “non è stato fatto”. In serata, poi, il ministero degli Esteri ha avvertito che Mosca non si ritiene più obbligata a rispettare una moratoria autoimposta sul dispiegamento di missili a corto e medio raggio dopo il ritiro degli Usa dal relativo trattato Inf, deciso nel 2019 dal presidente Donald Trump durante il suo primo mandato. Sarà la leadership russa, aggiunge il ministero, a decidere le “misure di risposta”, cioè lo schieramento eventuale di missili, sulla base “della portata dello schieramento di missili americani e di altri Paesi occidentali” e della “situazione nel campo della sicurezza internazionale e della stabilità strategica”.

Zelensky ha intanto reso noto di aver visitato le truppe ucraine al fronte vicino a Vovchansk, nella regione di Kharkiv, e ha affermato che i soldati di Kiev “hanno visto mercenari stranieri provenienti da Cina, Tagikistan, Uzbekistan, Pakistan e da Paesi africani prendere parte alla battaglia al fianco della Russia”. Da parte sua Mosca ha affermato più volte che migliaia di mercenari provenienti da Paesi occidentali e non, tra cui Usa, Francia e Polonia, combattono al fianco delle truppe ucraine. Secondo notizie fornite da parenti e amici sono almeno sei i foreign fighter italiani rimasti uccisi nei combattimenti su entrambi i fronti negli oltre tre anni del conflitto. Sul campo, il ministero della Difesa di Mosca ha detto che un attacco con missili ipersonici Kinzhal è stato compiuto contro un aeroporto militare in Ucraina. Secondo fonti ucraine, l’obiettivo si trova nella regione occidentale di Khmelnytskyi. Da parte loro, fonti di Kiev hanno detto che è stato attaccata con droni la base aerea russa di Saki, in Crimea. Fonti locali ucraine affermano che due persone sono state uccise in un attacco aereo russo nella regione di Zaporizhzhia e una in un bombardamento di artiglieria in quella di Kherson.

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Esteri

Vucic elogia Meloni dopo la visita a Belgrado: “È una delle donne più potenti del mondo”

Il presidente serbo Vucic definisce Giorgia Meloni “una delle donne più potenti del mondo” dopo il colloquio a Belgrado. Al centro dell’incontro: Balcani, riforme e percorso europeo della Serbia.

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La presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni è stata accolta a Belgrado dal presidente serbo Aleksandar Vucic, che ha definito il colloquio “di estrema importanza” per il futuro della Serbia. Nonostante la brevità della visita, Vucic ha sottolineato il peso politico dell’incontro e il valore personale della leader italiana: “Una delle donne più potenti del mondo, uno dei capi di governo più influenti non solo in Europa, ma a livello globale”.

Al centro: Balcani, Europa e stato di diritto

In un’intervista concessa all’emittente serba Prva, Vucic ha dichiarato che con Meloni ha discusso la situazione geopolitica internazionale e regionale, soffermandosi in particolare sui Balcani occidentali, la stabilità della regione e il percorso di adesione della Serbia all’Unione Europea.

“È stato un colloquio molto utile, che ha toccato riforme, stato di diritto e sviluppo interno”, ha spiegato il presidente serbo. Vucic ha anche aggiunto di aver ascoltato i consigli e le idee di Meloni, interessato a conoscere la visione italiana sul futuro della Serbia e dell’Europa.

Riconoscimento al ruolo internazionale dell’Italia

Le parole del presidente serbo confermano l’importanza crescente della diplomazia italiana nei Balcani, dove Roma punta a rafforzare i legami politici ed economici, sostenendo la stabilità e l’europeizzazione dell’area.

La visita di Meloni si inserisce in questo quadro e viene percepita da Belgrado come un segnale di attenzione e sostegno, non solo in ottica europea ma anche nel delicato equilibrio regionale.

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Colombia, Petro: “Mercenarismo è tratta di uomini da uccidere”. Morti 40 colombiani in Sudan

Dopo l’abbattimento in Sudan di un aereo con mercenari colombiani, Petro chiede una legge urgente contro il mercenarismo: “Una tratta di uomini usati come merce per uccidere”.

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Il presidente della Colombia Gustavo Petro ha confermato la probabile morte di 40 cittadini colombiani in Sudan, dopo l’abbattimento di un aereo degli Emirati Arabi Uniti da parte dell’aviazione sudanese. L’aereo trasportava presunti mercenari colombiani, e la notizia ha scosso profondamente il governo di Bogotá.

“Ho ordinato alla nostra ambasciatrice in Egitto di verificare il numero esatto di vittime”, ha scritto Petro sul suo account X. “Si parla di 40 connazionali uccisi”.

Un appello urgente per vietare il mercenarismo

Nel suo messaggio, il presidente ha ribadito la necessità di approvare una legge contro il mercenarismo, già passata alla seconda Commissione della Camera. “Si tratta di una tratta di uomini, trasformati in merci da uccidere”, ha denunciato, criticando aspramente chi recluta giovani colombiani per combattere guerre in Paesi dove “nessuno ci ha fatto del male”.

“Volevano così tanta guerra in Colombia”, ha aggiunto Petro, “che, man mano che la guerra qui si spegneva, la cercavano fuori. I ‘capi’ che mandano i giovani a uccidere e a morire sono spettri della morte. Hanno tradito il giuramento a Bolívar”.

Un business internazionale della guerra

Il fenomeno dei mercenari colombiani reclutati per conflitti all’estero non è nuovo. Ex militari o giovani disoccupati vengono arruolati con promesse di guadagni elevati per partecipare a guerre lontane — spesso in Medio Oriente o in Africa — fuori da ogni cornice legale e morale.

L’episodio in Sudan, che coinvolge direttamente gli Emirati Arabi Uniti, getta nuova luce su un sistema opaco e pericoloso, in cui uomini diventano merce bellica su scala globale.

Una ferita diplomatica e politica

L’incidente rischia di avere ripercussioni internazionali: oltre al bilancio tragico, il coinvolgimento degli Emirati e del Sudan potrebbe aprire un caso diplomatico. Intanto, la Colombia si prepara a discutere in via urgente la legge per vietare il mercenarismo, nella speranza che tragedie simili non si ripetano.

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Esteri

Lula: “Chi non accetta la legge brasiliana può lasciare il Paese”. Il presidente rilancia la regolamentazione delle Big Tech

Lula attacca le pressioni internazionali contro la regolamentazione delle Big Tech: “In Brasile valgono le nostre leggi. Se non vi sta bene, uscite dal Paese”.

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Il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva è tornato con forza a porre la questione della regolamentazione delle piattaforme digitali, denunciando l’esistenza di pressioni esterne per ostacolare l’approvazione di leggi che disciplinino il potere delle Big Tech in Brasile.

Nel corso di una lunga intervista rilasciata a Reuters, Lula ha detto chiaramente: “Se non vuoi la regolamentazione brasiliana delle Big Tech, esci dal Brasile”. Una frase che ha immediatamente fatto il giro dei principali media del Paese.

“Anche le aziende straniere devono rispettare le leggi brasiliane”

Lula ha ribadito che le piattaforme digitali devono rispondere alla legislazione locale, come accade in qualsiasi altro Stato sovrano: “Negli Stati Uniti, un’azienda brasiliana è obbligata a seguire la legge americana, in Francia segue quella francese. E in Brasile deve rispettare la nostra”.

Il presidente ha poi chiarito che non si tratta di una forzatura ideologica, ma di un principio basilare di sovranità nazionale e rispetto della Costituzione: “Questo Paese ha una legislazione ed è nostro dovere regolare ciò che riteniamo opportuno in base agli interessi e alla cultura del popolo brasiliano”.

Il riferimento a Trump e alle resistenze degli Stati Uniti

Nel suo intervento Lula ha alluso direttamente al presidente statunitense Donald Trump, sottolineando che l’ingerenza di interessi stranieri nel dibattito interno brasiliano è inaccettabile. “Aspetta un attimo — ha detto —. Qui siamo in Brasile. Qui decidiamo noi. Non ammettiamo che qualcuno dall’esterno venga a dire cosa possiamo o non possiamo fare”.

Il nodo della regolamentazione digitale

Il dibattito sulle Big Tech è da mesi al centro dell’agenda politica brasiliana, tra iniziative parlamentari e accuse di scarsa trasparenza, diffusione di disinformazione e mancato rispetto delle norme fiscali e civili. Lula ha più volte chiesto un modello normativo solido per piattaforme come Google, Meta, X (ex Twitter) e TikTok.

Il messaggio del presidente è chiaro: nessuna piattaforma è al di sopra della legge. E il Brasile, ha detto Lula, intende difendere la propria sovranità anche nello spazio digitale.

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