Quello che non vuoi aspettarti da una pandemia, come da ogni tragedia, è una lezione di vita che metta in risalto mancanze e fragilità di un sistema così come di un rapporto, di uno stile di vita o dei convincimenti più profondi. Ma poi inesorabilmente, quando tutto accade, facciamo i conti con noi stessi perché la coscienza va da sola, per chi ne ha una, ed inesorabilmente ti impone di ripartire da zero. Un atto di purificazione mentale evidentemente dettato dalla necessità dell’autoconservazione che favorisce l’evoluzione. O almeno dovrebbe.
Quello che però non ci saremo proprio aspettati, perché forse inconsciamente succubi di un pregiudizio che per anni abbiamo subito passivamente, schiacciati da sensi di colpa antichi poi appesantiti da attacchi mediatici sistematici, era di vedere un Nord in ginocchio, completamente piegato dal “coronavirus”.
Le scene più drammatiche di questi giorni non sono infatti giunte dai sobborghi di Napoli o dalle altre Province meridionali, bensì da Bergamo e Brescia, dalla meravigliosa Milano, e da tutte quelle realtà che fino a pochi mesi fa decantavamo come perle di efficienza. Eppure proprio lì è accaduto di tutto e così abbiamo assistito, tanto addolorati quanto sbigottiti, alla diffusione incontrollata del virus proprio negli ospedali lombardi da sempre ritenuti eccellenze assolute, alle strutture per anziani diventate fabbriche di morte, ed ancora alle tante scene di leggerezza di cittadini che malgrado le restrizioni continuavano ad affollare i Navigli.
Terapie intensive stracolme, campi di prima emergenza allestiti come nel bel mezzo di una guerra e poi quelle interminabili colonne di mezzi dell’esercito che trasportavano centinaia di salme nelle regioni vicine, dove sono state obbligatoriamente incenerite lontano dagli occhi dei propri cari. Tutto così surreale eppure così maledettamente reale.
Intanto, dall’altro lato dello Stivale, malgrado la solita esaltazione mediatica di piccole ed isolate sbavature, abbiamo assistito orgogliosi alla risposta Campana al “coronavirus”, assolutamente composta, rispettosa delle regole, dove l’efficienza e l’eccellenza delle strutture sanitarie e del personale ivi addetto sono diventate un modello a cui tutto il mondo continua e continuerà a fare costante riferimento. Così, nella notte planetaria del Covid19 gli ospedali della Campania brillano come stelle, rendendo tutto meno buio.
Certo c’è tanto, tantissimo da sistemare qui da noi, ma nell’emergenza ci siamo distinti e risposto con una coordinazione ed una efficacia che d’ora in poi dovremmo abituarci a definire “Napoletana”!
Di qui l’apertura di un doveroso quanto irrinunciabile fronte di riflessione, che nasce da questo maledetto terremoto virale che però ha gettato luce là dove credevamo non ci fossero ombre e risistemato l’ordine dei valori.
Per tutto questo oggi possiamo comprendere che in Italia esiste anche la “Questione Settentrionale”, figlia di un altro sistema inefficiente già fortemente radicato e che ci ha dimostrato una parte del Nord Italia troppo fragile di fronte ad una pandemia che altrove è stata meglio contenuta, quindi anch’esso tradito da una mala politica e da un management pubblico e privato che evidentemente fino a ieri galleggiava sulle tranquille acque di un PIL regionale più elevato, ma è bastata un’ondata inattesa e la barca si è subito rovesciata.
Evidentemente, negli anni trascorsi, mentre la Lega gridava alla secessione sputando veleno sui Meridionali e tinteggiava le strutture pubbliche di verde, proprio la politica “padana” ed il malaffare depredavano la Sanità nordica e sicuramente anche altri settori pubblici e privati, come decenni prima accaduto nel tanto disprezzato Sud.
Esiste da oggi una “Questione Settentrionale” dunque, che ci rammarica e non ci deconcentra dal combattere i nostri mali, perché la partita del gioco al ribasso non serve a nessuno.
Quello che sta per iniziare per l’Italia come per le altre nazioni di tutto il mondo è un nuovo percorso, tutto in salita. Solo con rinnovata consapevolezza ed unità potremo affrontare le battaglie che saremo chiamati a combattere e per questo non potremmo più permetterci il lusso di correre dietro ai soliti miti di divisione o spostare l’attenzione su conflittualità politiche evanescenti, sostenute dai soliti slogan da stadio strillati da politicanti senza né arte né arte, perché ciò che ci attende è la possibilità di una grande rinascita collettiva.