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Cronache

Il Covid 19? Il contagio è già riconosciuto come malattia professionale

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featured, Stupro di gruppo, 6 anni ,calciatore, Portanova

Una notizia importante che ridona, seppur in parte, dignità e rispetto ai lavoratori che  nella lotta contro il “coronavirus” si sono ammalati o hanno perso la vita. Solo tra i medici ed operatori sanitari contiamo ad oggi  centinaia di decessi, ai quali si sommano ovviamente quelli di tutte le altre categorie lavorative. Come da comunicazione dello stesso presidente Bettoni, viene riconosciuta  piena tutela INAIL per tutti i casi di infezione sul lavoro. La circolare dell’Istituto chiarisce sulle prestazioni garantite in caso di contagio, considerato dunque di origine professionale, che vengono estese ad una più ampia platea di lavoratori come ad esempio ai raider e a tutti quelli che non beneficiano della tutela assicurativa INAIL, ma che abbiano appunto contratto il virus nell’adempimento del proprio dovere lavorativo.

La tutela della malattia professionale scatta, al pari degli altri infortuni o patologie, già dal periodo di quarantena, quindi non appena si manifesta il contagio.

In capo al datore di lavoro è confermato l’obbligo di denuncia o comunicazione mentre sarà compito del medico certificatore redigere ed inviare telematicamente l’attestazione sanitaria in capo all’INAIL. In caso di decesso, ai familiari spetterà anche la prestazione economica una tantum del Fondo delle Vittime di gravi infortuni sul lavoro, prevista anche per i lavoratori non assicurati con il medesimo Istituto.

Un primo ma fondamentale passo da parte della nostra Pubblica Amministrazione che assume dunque un grande valore, principalmente  morale. Tanto ciò perché, come abbiamo già più volte sollecitato e denunciato anche dalle pagine di Juorno.it, questi eroi dei giorni nostri non solo si sono cimentati in un contesto già di per sé rischioso, ma reso ancor più pericoloso dalla mancata dotazione di minimi dispositivi di protezione, essendo mancata in molti, troppi casi, finanche la disponibilità di idonee mascherine quanto la somministrazione dei tamponi.

Solo grazie all’estremo sacrificio di questi coraggiosi concittadini, oggi migliaia se non milioni di persone sono sopravvissute nel nostro Paese al “Covid19”, ed alla loro memoria questo primo doveroso riconoscimento rende certamente omaggio.

La strada è dunque aperta e fa ben sperare affinché il Presidente della Repubblica possa accogliere il nostro appello e quello di tantissimi altri che insistono nel chiedere, oltre all’attribuzione delle più alte onorificenze di Stato per i valorosi combattenti del “coronavirus”, l’avvio di nuove e più penetranti inchieste sul depredamento della Sanità, perché molti dei lavoratori che sono morti, lo rimarcheremo sempre, avrebbero potuto salvarsi se solo avessero ottenuto fin dall’inizio della dichiarata emergenza pandemica, esaustive informazioni dei rischi in cui andavano incontro e soprattutto minimi ausili protettivi che il caso imponeva.

Per questo chiederemo sempre Giustizia, perché ognuno si assuma nel nostro Paese la propria parte di responsabilità per quanto accaduto e soprattutto si provveda, per il futuro, a proteggere e valorizzare proprio la Sanità Pubblica e Privata, da decenni ridotta a campo di lottizzazione e terra di conquista da parte della mala politica spesso in sintonia la criminalità organizzata.

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Cronache

Meloni, l’incontro Trump-Zelensky è un evento enorme

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Piccoli, e anche “grandi”, passi diplomatici. Verso quella “pace giusta” che continua a invocare per l’Ucraina. E pure per riavvicinare le due sponde dell’Atlantico divise dai dazi. Nella foto del giorno Giorgia Meloni non c’è. Ma quello che conta, come sottolinea lei stessa, è quel fatto “enorme” che si è svolto al riparo dei marmi della basilica di San Pietro. Quel faccia a faccia tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky che hanno “parlato di pace al funerale del Papa della pace”.

Un fatto davvero “storico”, per la premier che con il leader di Kiev si vede poi per quasi un’ora, a Palazzo Chigi. Non una visita di cortesia come quelle dell’amico Viktor Orban e di Keir Starmer, che nello scatto tra le navate con Trump, Zelensky ed Emmanuel Macron invece c’era. Un saluto, un incontro, non certo un “vertice”, dicono dall’esecutivo da cui filtra solo “soddisfazione” per l’esito di una giornata complicata, dal punto di vista logistico quanto da quello geopolitico.

Ma pure la città e la macchina organizzativa e della sicurezza, sottolinea la premier, sono state all’altezza di una giornata che “storica” lo sarebbe stata a prescindere, per l’addio a Francesco. La premier arriva in Vaticano in tailleur e occhialoni neri, con i capelli raccolti in uno chignon basso. E sta “come si deve stare a un funerale, composta”, osserva un ministro. Sul sagrato abbraccia Javier Milei, che poi vedrà per un pranzo informale nel centro di Roma. Ma ha occasione di salutare, tra gli altri, anche la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola.

E di scambiare qualche parola con Ursula von der Leyen. Con la presidente della Commissione c’è una consuetudine che è diventata praticamente “quotidiana” questa settimana. Von der Leyen, dopo avere ipotizzato un vero e proprio vertice, ha invece il suo primo contatto diretto con il presidente Usa a margine dei funerali e si accorda per un incontro, altro esito “molto positivo” secondo l’entourage della premier. Era l’obiettivo che Meloni aveva fortemente perseguito nel viaggio a Washington della scorsa settimana. Certo, possibile che a questo punto non sarà Roma la cornice di un prossimo vertice Ue-Usa (complesso da gestire diplomaticamente ammettono anche ai piani alti del governo), ma per la premier, assicura chi le ha parlato, l’importante era facilitare un dialogo che fino a ieri, di fatto, era assente.

Non si è parlato di commerci e tariffe, non sarebbe stato adatto nel contesto dell’addio solenne al Pontefice, continuano a sottolineare i suoi, non è un funerale l’occasione per vertici politici. Diverso, nei ragionamenti che si fanno ai piani alti del governo, è il dialogo Trump-Zelensky per la pace che la premier avrebbe “lavorato” per favorire. La premier potrebbe averne parlato con il presidente Usa, nel breve scambio al termine del funerale, quando hanno percorso insieme il colonnato di San Pietro per lasciare la Basilica.

Ora “ci si attende che anche la Russia dimostri concretamente la propria volontà di perseguire la pace”, insiste Meloni nella nota diffusa da Roma al termine della visita del presidente ucraino. Che la premier abbraccia nel cortile di Palazzo Chigi prima di chiudersi con lui per il bilaterale nello studio al primo piano. Meloni esprime le condoglianze “anche a nome del governo” per i recenti attacchi russi” che hanno colpito anche Kiev, rinnovando la sua “ferma condanna” e sottolineando “l’urgenza di un cessate il fuoco immediato e incondizionato” oltre alla necessità di un “impegno concreto” di Mosca per avviare “un processo di pace”.

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È morto Franceschini, fu fondatore delle Br

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E’ morto Alberto Franceschini, uno dei fondatori assieme a Renato Curcio e Mara Cagol delle Brigate Rosse. Il decesso è avvenuto l’11 aprile scorso ma la notizia è stata diffusa solo oggi. Franceschini aveva 78 anni ed era stato condannato con sentenza definitiva, tra l’altro, per il sequestro del giudice genovese Mario Sossi e per l’omicidio di due sponenti del Msi avvenuta a Padova nel 1974.

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I migranti e i poveri accolgono l’ultimo Francesco

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Lo hanno atteso sul sagrato di Santa Maria Maggiore con in mano le rose bianche e gli occhi lucidi di chi ha perso un amico. L’ultimo atto terreno Francesco l’ha voluto riservare a loro, gli ultimi, quelli per cui tanto si è speso durante il pontificato e che oggi gli hanno restituito l’ultimo abbraccio prima della sepoltura. Poveri e bisognosi, migranti e transessuali, i ‘diversi’ che nel Papa venuto dalla “fine del mondo” hanno trovato la speranza. “È sceso dal piedistallo per stare tra le persone”, il commento di una fedele che per tutto il giorno ha atteso il feretro in quella che da oggi sarà la ‘casa’ di Francesco. I più fortunati si sono ritrovati alla basilica dell’Esquilino, come Antonino, che viveva per strada.

“Sono stato anche a Santa Marta” racconta oggi ricordando una frase che Francesco gli disse e che non ha mai dimenticato: “Antonino – furono le parole del Papa – non dire mai che sei stanco: aiuta gli altri fino a che non ti reggerai in piedi”. Molti altri altri hanno presenziato alla cerimonia funebre in piazza San Pietro. Tanti ancora, invece, hanno seguito il funerale in televisione a Palazzo Migliori, la residenza che papa Francesco ha donato ai poveri ed è gestita dalla comunità di Sant’Egidio. Ognuno di loro ha una storia da raccontare legata al Pontefice, la cui immagine compare in una delle foto-ricordo della visita del 2019 nell’edificio a due passi da San Pietro. Giù, in strada, ci sono tutti gli altri, ‘sparsi’ per la città per dare l’ultimo saluto al Santo Padre lungo il corteo che dal Vaticano l’ha portato fino a Santa Maria Maggiore.

“Trent’anni fa per me sarebbe stato impossibile essere qui”, racconta Regina, esponente (“non militante”) della comunità Lgbt+ che davanti a Santa Maria Maggiore mostra un cartello con l’effige del Pontefice in cui chiede una cosa semplice e insieme grande: ‘Santo subito’. Santo perché? “Perché con la santità si fermano, si ‘congelano’ i valori di un personaggio – spiega – la sua santità era nell’essere vicino ai poveri, contro la guerra, e con le persone Lgbt+. Quindi meglio farlo santo subito, il prima possibile”. “Qualcuno dice che per la nostra comunità non ha fatto abbastanza – prosegue Regina – Ma io penso che a volte ‘fare’ non è tanto importante quanto ‘dire’. Saranno altri a ‘fare’, ma Francesco intanto ha seminato la sua vicinanza”.

A dare l’ultimo saluto a Francesco anche migranti ed ex senzatetto, quelli per cui ha fatto realizzare servizi di prima necessità nell’area attorno a San Pietro. La stessa piazza dove oggi, seduti con tutti i Grandi della Terra, c’erano anche rappresentanti dell’Unhcr, l’agenzia delle Nazioni Unite per i diritti dei rifugiati, e di Mediterranea, l’ong che salva le vite in mare. Sulla loggia del Maggiordomato, invece, c’era l’argentino Sergio Sánchez, il ‘cartonero’ che nel 2013 papa Francesco, appena eletto, volle alla messa di inizio Pontificato nei posti riservati ai propri familiari. Oggi era in uno dei posti più esclusivi della piazza, a guardare dall’alto i 250 mila fedeli giunti a Roma per salutare il “Papa del popolo”.

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