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Cronache

I tempi salvano la vita, Nord più veloce per l’emergenza

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Essere veloci nel primo intervento può significare salvare una vita, soprattutto quando si è colpiti da patologie come infarti e ictus. Per questo le cosiddette Reti tempo-dipendenti, da quella cardiologica all’Emergenza-urgenza, sono cruciali: su questo fronte l’Italia presenta forti differenze tra le Regioni, con il Nord che si conferma ‘più veloce’, con migliori performances nel mettere in atto risposte nelle prime ore dall’insorgenza dei sintomi, ed il Sud e le aree interne che spesso arrancano, come nel caso della Campania che risulta ultima per le prestazioni dei Pronto soccorso (Ps). Proprio i Ps rappresentano però la spina nel fianco di varie Regioni, con lunghi tempi di attesa che sono tra le cause del fenomeno dell”abbandono’: ci si reca cioè nei punti di emergenza-urgenza per poi andarsene ancor prima di aver effettuato la visita medica. E’ una fotografia complessa quella che emerge dalla terza ‘Indagine nazionale sullo stato di attuazione delle reti tempo-dipendenti’ dell’Agenas, presentata oggi.

L’indagine è condotta nel 2023 analizzando i risultati del monitoraggio rispetto all’anno 2022. L’istantanea delle quattro principali reti tempo-dipendenti (cardiologica, ictus, trauma, emergenza urgenza) è stata ottenuta sulla base di un questionario compilato dalla Regioni e della valutazione di una serie di indicatori: dalla proporzione di infarti trattati con angioplastica entro 90′ minuti dal ricovero alla mortalità a 30 giorni, dal totale di ricoveri e tempo di permanenza in Ps alla percentuale di abbandono di tali reparti. In particolare, per quanto riguarda la Rete Cardiologica, l’indagine rileva che la Rete “soffre in quelle zone più interne e meno servite”. Funziona meglio in tre Regioni: Lazio, Liguria e Marche.

Performance buone anche in altre 5 Regioni (Emilia Romagna, Piemonte, Puglia, Toscana e Veneto). Le performance peggiori si registrano invece in Abruzzo e Calabria, seguite da Valle d’Aosta e Molise. La Provincia autonoma di Trento è poi in testa alla classifica per la percentuale di infarti trattati con Angioplastica Coronarica entro 90 minuti dal ricovero, come previsto dagli standard fissati dal decreto ministeriale 70/2015. Nella P.A di Trento, infatti, il tasso di infarti trattati secondo tale standard è del 62,35%. Le percentuali peggiori si registrano in Basilicata (34,48%), Liguria (39,41%) e Sicilia (42,82%). Per la rete ictus, le peggiori sono Sardegna e Abruzzo e le migliori L’Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Marche ma anche la Campania. La più alta mortalità a 30 giorni per ictus si registra in Basilicata, la minore in Umbria (7,63%).

La rete di Emergenza-urgenza (Ps) funziona bene in varie Regioni del Nord: la prima per assistenza e presa in carico è la provincia autonoma di Bolzano; risultati positivi anche in Veneto e Lombardia. Performance peggiori, invece, soprattutto al Sud come in Sardegna e soprattutto Campania, che risulta ultima, ma criticità si hanno anche in Valle d’Aosta. Rispetto poi alla percentuale dei ricoveri da Ps, 13 Regioni superano la media nazionale pari al 12,79% e la Puglia si attesta al 18%. Quanto ai tempi di attesa, la più virtuosa è la Valle d’Aosta con un tempo mediano tra l’arrivo e il ricovero dei pazienti di 88,5 minuti, la peggiore il Lazio con 305 minuti. Le Regioni con la più alta percentuale di abbandono del Ps sono invece Campania (11,80%), Sardegna (24,31%) e Sicilia (12,71%), rispetto ad una media nazionale del 6,29%.

Quelle con la più bassa percentuale di abbandono sono la Valle d’Aosta con lo 0%, Basilicata (1,30%) e Veneto (1,65%). Varie le ragioni del divario di performance tra le regioni, ma molto pesa anche, ha spiegato Francesco Saverio Mennini, capo Dipartimento Programmazione del ministero della Salute, “la mancanza dal 2006 di un Piano sanitario nazionale; in assenza di un tale piano è difficile programmare in maniera corretta in ambito sanitario anche ai fini dell’implementazione delle Reti tempo-dipendenti”. Questi dati, ha concluso il direttore Dipartimento Area Sanitaria dell’Agenas, Antonio Fortino, “non sono solo numeri, ma dietro ci sono delle persone e dei pazienti. Dietro questo lavoro, che proseguiremo, c’è anche una forte spinta etica”.

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Elezioni comunali con 23 liste a Bisegna: il trucco della vacanza retribuita dietro una farsa elettorale

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Incredibile ma vero: 23 liste si sono presentate per le elezioni amministrative di Bisegna, minuscolo comune abruzzese in provincia dell’Aquila, con appena 212 abitanti. Un numero spropositato che nasconde una realtà scandalosa: 21 liste su 23 sono composte da agenti della polizia penitenziaria che si sono candidati non per partecipare davvero al processo democratico, ma per usufruire di un mese di aspettativa retribuita, garantita dalla legge, con la scusa della campagna elettorale.

Il vero scopo: un mese di ferie pagate

Delle 23 liste, solo due rappresentano candidati locali che hanno a cuore il futuro del paese. Le altre sono state messe in piedi esclusivamente per consentire ai candidati di prendere ferie retribuite: un abuso normativo che trasforma le elezioni, fondamento della democrazia, in una comoda vacanza a spese dei contribuenti. Una beffa clamorosa, soprattutto se si pensa che alle ultime elezioni hanno votato solo 150 persone.

Un meccanismo che tradisce la fiducia nelle istituzioni

Questa vicenda getta un’ombra pesante sulla credibilità del sistema elettorale locale. Organizzare liste fittizie per ottenere privilegi economici senza alcuna intenzione di governare o migliorare la vita di una comunità tradisce lo spirito delle elezioni, nate per consentire ai cittadini di scegliere chi li rappresenterà davvero.

Un caso che chiede risposte immediate

La situazione di Bisegna impone una riflessione urgente: è inaccettabile che le regole, pensate per garantire la partecipazione democratica, vengano piegate a interessi personali. Serve un intervento normativo che blocchi questi abusi e ristabilisca il rispetto per un diritto fondamentale come quello del voto.

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Un 19enne muore in un incidente in bicicletta

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Un giovane di 19 anni, di origine nigeriana, è morto questa sera in un incidente stradale avvenuto lungo via Roma, a Roscigno, nel Salernitano. Secondo una prima ricostruzione, il ragazzo, ospite del centro di accoglienza Sai del comune degli Alburni, stava rientrando dopo aver fatto la spesa quando ha perso il controllo della bicicletta ed è finito contro un albero sul lato opposto della carreggiata. Restano da chiarire le cause dell’impatto: al momento non si esclude alcuna ipotesi, dal coinvolgimento di altri veicoli a una manovra improvvisa per evitare un ostacolo. Possibile anche che il giovane abbia avuto difficoltà a gestire le buste della spesa durante la pedalata. Sul posto sono intervenuti i sanitari del 118, ma per il 19enne non c’era più nulla da fare. Per risalire all’esatta dinamica dell’incidente indagano i carabinieri della compagnia di Sala Consilina.

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Identikit del nuovo Papa, chi raccoglie eredità Francesco

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Il principale, grande nodo che i cardinali che si riuniranno nella Sistina dovranno sciogliere nell’individuare la figura del nuovo Pontefice sarà su chi potrà raccogliere la grande eredità di papa Francesco. I tanti cantieri aperti lasciati dal Pontefice scomparso, i “processi avviati” come li chiamava lui, sono altrettanti capitoli di cui scrivere un futuro e su cui, se possibile, non fermarsi, né tanto meno tornare indietro. Quando dodici anni fa si dimise Benedetto XVI, la Chiesa attraversava una grave crisi, provata dagli scandali come il primo Vatileaks, le ondate di rivelazioni sugli abusi sessuali – peraltro favorite proprio da Ratzinger, il primo a promuovere la ‘tolleranza zero’ -, e la stessa rinuncia del Papa per l’età avanzata e le difficoltà nel fare fronte alle resistenze interne, che avevano fatto fortemente ondeggiare la ‘barca di Pietro’.

E il mandato dei cardinali a chi sarebbe diventato il nuovo Papa era stato di rifondare la Chiesa su una nuova base di rinascita cristiana e di rilanciata missione evangelizzatrice. Proprio quello che ha perseguito, non senza pesanti ostacoli, Jorge Mario Bergoglio in questi dodici anni di pontificato, con le riforme in primo luogo finanziarie, poi della Curia con l’inedito mandato ‘di governo’ anche ai laici e alle donne, sulla protezione dei minori, e col proprio atteggiamento personale di radicalità cristiana, di vicinanza ai più poveri, ai migranti, agli ‘scartati’, di indefessa abnegazione in favore della pace, della fratellanza umana e del dialogo con le altre religioni. Un insieme di spinte in avanti che rimettono in primo piano molti dei propositi ancora inattuati del Concilio Vaticano II, finora gravati da contrarietà e passività all’interno della Chiesa.

Senza contare l’ultimo grande cantiere aperto da Francesco, quello della Chiesa ‘sinodale’, su cui a parte i due Sinodi già svolti il Papa defunto ha indetto un ulteriore triennio per l’attuazione, con una grande e finale “assemblea ecclesiale” già programmata per l’ottobre del 2028. Un’eredità, quindi, in buona parte già scritta quella che dovrà raccogliere il prossimo, e 266/o, successore di Pietro. Che dovrà riprendere in mano tutte le riforme e portarle avanti secondo le proprie sensibilità e priorità. Oltre che con la necessaria autorevolezza e capacità di governo, qualità indispensabili per il pastore universale di un organismo della complessità e vastità della Chiesa cattolica.

Questo, insomma, sarà l’identikit del nuovo Papa, almeno per chi pensa che sulla rivoluzione imposta da Bergoglio in tanti settori ecclesiali “non si può tornare indietro”. E, a parte gli elenchi dei papabili e i possibili fronti contrapposti, nelle congregazioni generali pre-Conclave, come accadde proprio nel 2013 con la successiva elezione di Francesco, avrà la meglio chi nei propri interventi riuscirà a trasmettere carisma e a catalizzare maggiormente i convincimenti dei confratelli. Non mancherà certo l’assalto dei restauratori, di chi nel Collegio cardinalizio vorrebbe riportare indietro l’orologio della storia e fare piazza pulita di molte delle innovazioni di Francesco, in particolare in campi come la pastorale della famiglia (c’è chi non nasconde di non aver ancora digerito la comunione ai divorziati risposati) o peggio ancora le benedizioni alle coppie gay, o anche i rapporti con le altre religioni, oppure certe fughe in avanti tuttora mal sopportate.

Il fatto che ben 108 dei 135 cardinali elettori, cioè l’80 per cento, siano stati nominati da Francesco non garantisce sul risultato finale: si tratta di un gruppo molto composito, tra cui molti non si conoscono fra loro, e che comprende anche fieri oppositori della linea di Bergoglio. Un nome per tutti, l’ex prefetto per la Dottrina della fede, Gerhard Ludwig Mueller, fiero oppositore della linea bergogliana. L’esito del Conclave è dunque molto incerto. E a parte i favoriti elencati finora dai media, è possibile che alla fine prevalga un nome del tutto a sorpresa.

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