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Economia

Giorgetti, Superbonus da mal di pancia, ingessa manovra 

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E’ ancora il Superbonus il principale indiziato delle difficoltà dei conti pubblici italiani e quindi anche il responsabile di una manovra che non potrà che essere “prudente” e che dovrà fare i conti con risorse evidentemente scarne. Da protagonista della ripresa post-Covid, osannato per l’effetto positivo sull’occupazione e su un settore trainante come l’edilizia, il 110% è diventato la causa del “mal di pancia” del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che di fronte alla platea di Cernobbio è tornato ad attaccare senza mezze misure la misura simbolo del governo Conte 2. Ma di fronte alla stessa platea, scettica, anzi decisamente critica per la tassa sugli extraprofitti, misura che potrebbe entrare stavolta tra i simboli del governo Meloni, il titolare di Via XX Settembre ha aperto a possibili modifiche nel passaggio parlamentare, come già auspicato da Forza Italia. La norma resta, ha rivendicato Giorgetti, ma potrà essere migliorata. “Quello che non accetto è che si dica che è una tassa ingiusta, è una tassa giusta. – ha scandito il ministro, pur ammettendo e assumendosi la responsabilità di un iniziale errore di comunicazione – Vi posso assicurare che alla fine, nella sua versione definitiva, tutti quanti la potranno apprezzare”.

Del resto, come lo Stato dà (e con le garanzie pubbliche ha già dato tanto), lo Stato chiede, ha spiegato. Con il Superbonus questo equilibrio è mancato. Giorgetti ne ha parlato come un fiume in piena: “l’esecrato intervento dello Stato è tornato di moda”, lo Stato ha fatto “la parte del Re sole che distribuisce prebende”. Ma così “non si va da nessuna parte”, ha insistito. Anzi, guardando ai conti pubblici, si corre verso la discesa. I numeri sono impressionanti: “100 miliardi, questo governo ne ha pagati 20 e altri 80 sono da pagare, ma tutti hanno mangiato e poi si sono alzati dal tavolo”, ha accusato ancora il ministro, nonostante il tentativo di difesa della misura da parte di Giuseppe Conte.

La Nadef non potrà che rispecchiarne tutto il peso sul deficit, così come la manovra per il 2024. Almeno per quest’anno l’1% di crescita potrà, secondo Giorgetti, essere confermato, ma sul prossimo i problemi non mancano. Il Superbonus “ingessa la politica economica, non lascia margine ad altri interventi”. La priorità sarà dunque data al taglio del cuneo, favorendo il più possibile il mondo del lavoro e le famiglie. Di spazi fiscali però al momento non ce ne sono molti: circa 4 miliardi in deficit, 1-2 miliardi dai risparmi dell’assegno unico, 2 miliardi dalla tassa sugli extraprofitti, 300 milioni dalla spending dei ministeri. Non molto di più. La revisione del patto di stabilità aiuterà rispetto alle vecchie regole, ma l’Italia, che chiede all’Europa di prendere atto del “quadro che sta mutando”, vorrebbe poter scomputare alcune spese dal calcolo del disavanzo pubblico: quelle per l’Ucraina per esempio, come ribadito dallo stesso Giorgetti, ma anche quelle per la transizione energetica, ha rilanciato Matteo Salvini.

Qualche spazio in deficit in più permetterebbere probabilmente di dare risposte alle richieste politiche dei partiti, in primis sulle pensioni, ma anche dei ministri, a partire da quelle di Orazio Schillaci sulla sanità. A legislazione vigente il Fondo sanitario nazionale dovrebbe aumentare l’anno prossimo di circa 2 miliardi, ma il ministro ne chiede almeno 4. Sul debito, invece, un po’ di sollievo potrebbe arrivare dalle privatizzazioni, ma su Mps, che sembra offrire la prima occasione utile, il Mef non sembra avere fretta e soprattutto “non si fa dettare i tempi da nessuno”, ha chiarito ancora Giorgetti dopo l’accelerazione impressa ieri da Antonio Tajani. La prima occasione per fare il punto sarà la riunione di maggioranza di mercoledì prossimo. Un assaggio dell’iter per arrivare alla messa a punto della legge di bilancio a metà ottobre ma anche del successivo, lungo, passaggio parlamentare.

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Nozze Ita-Lufthansa, rischio veto Ue senza modifiche

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Parte una settimana decisiva sul futuro di Ita-Lufthansa. Le due compagnie dovranno presentare all’Antitrust Ue un nuovo pacchetto di impegni con i dovuti miglioramenti per arrivare alle tanto agognate nozze. Le proposte messe sul piatto finora sullo scalo di Milano-Linate, sulle rotte a corto raggio dall’Italia all’Europa centrale e sui collegamenti a lungo raggio da Fiumicino verso Stati Uniti e Canada sono state ritenute insufficienti da Bruxelles. In caso di modifiche, la Commissione europea, impegnata al momento nel market test che si concluderà lunedì, valuterà i nuovi rimedi e la sua decisione potrebbe “consolidarsi” già a inizio giugno. Senza miglioramenti, a quanto si apprende da fonti comunitarie, l’operazione è destinata ad essere bocciata. L’annuncio ufficiale è atteso entro il 4 luglio.

Tra le sue richieste, la Commissione chiede di cedere molti più slot a Milano Linate: il 30%, 60 voli giornalieri, secondo quanto scrive il Corriere della Sera, e in questo modo la quota di mercato combinata sullo scalo passerebbe dal 66 al 46%. Ita e Lufthansa propongono invece di rilasciare l’11-12% degli slot. La compagnia tedesca dovrebbe, poi, rinunciare ai ricavi che realizza sui voli tra l’Italia e il Nord America. L’idea avanzata dai tedeschi, ossia congelare per due anni l’alleanza con Ita sui lunghi collegamenti da Fiumicino con Usa e Canada non ha convinto la Commissione in quanto Lufthansa detiene già un’ampia quota di mercato attraverso le joint venture formate con United Airlines e Air Canada. Qualche giorno fa il presidente di Ita Airways, Antonino Turicchi, ha sottolineato che “questa è un’operazione a favore del mercato, non compromette la concorrenza”.

E in difesa dell’operazione Italo-Tedesca si è espresso anche l’amministratore delegato di Aeroporti di Roma, Marco Troncone. La fusione “significa molto per il Paese e per l’Europa, nonostante i dubbi che la Commissione solleva”, ha detto il numero uno di Adr, evidenziando come “i profili di concentrazione di questa operazione siano oggettivamente marginali nel contesto del mercato rilevante”. Una eventuale bocciatura dell’operazione Ita-Lufthansa da parte della Commissione europea aprirebbe scenari molto foschi per il futuro della newco, nata dalle ceneri di Alitalia. L’amministratore delegato del gruppo Ryanair, Michael O’Leary, non ha dubbi: senza Lufthansa la compagnia italiana “andrà in bancarotta e scomparirà “.

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Banche, utili record: in tre mesi a 6,3 miliardi

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Il sistema bancario “continua a macinare record”. Numeri in crescita anche nel primo trimestre dell’anno con i primi sette gruppi bancari del Paese (IntesaSanpaolo, Unicredit, Bpm, Mps, Bper, Popolare di Sondrio e Credem) che hanno fatto registrare utili pari a 6,3 miliardi, per un +25,6% sui primi tre mesi del 2023. Lo rileva un report condotto dall’Ufficio studi & ricerche della Fisac-Cgil sui risultati di bilancio dei primi sette gruppi bancari nazionali nel primo trimestre del 2024.

“Dopo i risultati da record per i grandi gruppi bancari nel biennio passato – commenta la segretaria generale della Fisac-Cgil, Susy Esposito – molti si attendevano un rallentamento, complice l’attesa discesa dei tassi di interesse. Il ritardo della Bce a diminuire i tassi di riferimento, e di conseguenza la trasmissione di questo ai tassi attivi praticati dalle banche, insieme alla perdurante politica di scarsa remunerazione dei depositi, ha mantenuto elevato il livello dei ricavi dalla gestione del danaro”. Risultati che, aggiunge, “a fronte di un contenimento sul versante della spesa del personale, nonostante il rinnovo del contratto, così come delle spese amministrative, deve indurre il sistema bancario per intero a investire sull’occupazione e sul radicamento nel territorio”.

Il margine di interesse, si rileva nel report della Fisac-Cgil, sale ancora, per il campione, di quasi il 7% nei primi tre mesi dell’anno rispetto all’analogo periodo del 2023. La dinamica delle commissioni, per quasi tutti i gruppi, ha accelerato (+5,3%) e spesso deriva dalla spinta alla vendita di prodotti assicurativi ma anche da quelle relative all’amministrazione dei titoli. Il prodotto delle due componenti più significative dell’attività caratteristica bancaria ha spinto ulteriormente verso l’alto i ricavi totali (17,8 miliardi di euro per un +9,8%). Sul versante dei costi del personale, che hanno registrato un aumento del +2,5% derivato anche dal rinnovo del contratto Abi, si mantengono mediamente più elevati rispetto allo stesso periodo del 2023 seppur in maniera contenuta, così come le spese amministrative, sottolinea il rapporto della Fisac.

Questa dinamica dimostra, dal lato dei costi per il personale, “la capacità delle banche di agire gestionalmente per mantenere sotto controllo questi ultimi, anche e purtroppo attuando politiche di riduzione degli organici come di mancato turn over”, prosegue il report. Dal lato delle spese amministrative (-0,5%), la previsione di investimenti in nuova tecnologia, spiega inoltre la Fisac-Cgil, come previsto da quasi tutti i piani di impresa, “farebbe pensare ad un incremento di queste ultime anche a scapito della erosione dei margini, fenomeno che non si è ancora verificato. Viceversa il contenimento delle spese, anche attraverso la politica della chiusure delle filiali, a beneficio della redditività a disposizione della distribuzione di utili, può rallentare il processo di innovazione tecnologica, così come confermare la dinamica di riduzione di dipendenti e sportelli”.

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Abi, tasso medio dei conti corrente sale allo 0,59%

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In aprile il tasso medio praticato dalle banche italiane sui nuovi depositi a durata prestabilita (cioè certificati di deposito e depositi vincolati) è stato il 3,63%. A marzo 2024 tale tasso era in Italia superiore a quello medio dell’area dell’euro (Italia 3,67%, area dell’euro 3,50%). Rispetto a giugno 2022, quando il tasso era dello 0,29% (ultimo mese prima dei rialzi dei tassi Bce), l’incremento è stato di 334 punti base.

Lo afferma il rapporto mensile dell’Abi. Il rendimento delle nuove emissioni di obbligazioni bancarie a tasso fisso ad aprile 2024 è stato il 3,81%, con un incremento di 250 punti base rispetto a giugno 2022 quando era l’1,31%. In aprile il tasso medio sul totale dei depositi (certificati di deposito, depositi a risparmio e conti correnti), è stato l’1,05% (1,04% nel mese precedente, 0,32% a giugno 2022). Il tasso sui soli depositi in conto corrente è salito allo 0,59% (0,57% nel mese precedente), tenendo presente che il conto corrente “permette di utilizzare una moltitudine di servizi e non ha la funzione di investimento”, conclude l’Abi.

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