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Cronache

Fulvietto Baldi ovvero l’ex capo di gabinetto di Bonafede e le “cortesie” non fatte a Palamara, così parlava il magistrato che “sistemava” magistrati nei gangli del potere

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“Sì, le abbiamo già viste anche con il ministro e sono di una limpidezza incredibile. Anzi, scusi, io ho visto solo le chat di Whatsapp. Cosa c’è in queste intercettazioni? Quale sarebbe l’interesse pubblico?”. Cominciava così l’intervista rilasciata al Fatto Quotidiano da Fulvio Baldi, dimissionario capo di gabinetto del ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, che ha lasciato l’incarico giovedì passato dopo la pubblicazione, sullo stesso quotidiano, di nuovi stralci di intercettazioni, agli atti dell’inchiesta di Perugia, nelle quali si riferiva di una conversazione tra Luca Palamara, pm romano ora sospeso, e lo stesso Baldi, estraneo alle indagini. Alla domanda su quale sarebbe l’interesse pubblico di quelle intercettazioni, Marco Lillo, vice direttore de Il Fatto evidenzia “che c’era una pm di Modena che voleva venire a lavorare lì al ministero”, al che Baldi replica: “Sì, questa cosa l’abbiamo vista con il ministro. Palamara mi segnala questa dottoressa, la incontro a novembre del 2018, ma non la prendo. Poi l’ho proposta al dottor Mauro Vitiello per l’Ufficio legislativo e anche lui non l’ha presa. Attenzione però: Palamara cade in disgrazia solo a maggio del 2019. Il 5 novembre del 2018 era in auge, quando mi ha chiesto il piacere e io non gliel’ho fatto. Gli ho solo detto “faccio il possibile”… Questo il linguaggio usato dal numero 1 della burocrazia di via Arenula, in termini di potere alla pari col ministro.  Dopodiché il quotidiano legge a Baldi la trascrizione dell’intercettazione di aprile 2019, partendo dal fatto che Vitiello non aveva scelto la “segnalata” e allora Baldi dice a Palamara: “Sono uomini di malafede, i soliti di Magistratura Democratica”….”. E l’ormai ex capo di gabinetto del ministro replica ancora: “Ma Vitiello non è di Md, forse allora lo pensavo, ma non lo è”.

Il Fatto allora insiste: “Comunque lei in quella telefonata poi illustra le possibili alternative: “Abbiamo varie strade: l’Ispettorato, il Dap” (dove c’era allora un altro magistrato di area Unicost, Basentini), e poi Baldi aggiunge: “La strada più praticabile è il Dag perché dal 6 maggio la Casola (Maria Casola, area Unicost, ndr) prende possesso e dal 7 maggio mattina lei può far partire la richiesta (…) la Casola è nostra ragazzi, gliela indichiamo noi e che cazzo! E allora e che cazzo li piazziamo a fare i nostri…poi glielo voglio dire che ci sei pure tu. Vai rispettato pure tu. Questa è gente che deve capire che la ruota gira”…”. Al termine della lettura della trascrizione Il Fatto domanda: “Le pare bello?”. E Baldi risponde: “Sono cose amicali che si dicono. Cose tipo: “Diamoci una mano”. Fatto sta che io questa dottoressa non l’ho mai presa al gabinetto nonostante abbia fatto tante chiamate, dopo. Anche Vitiello non l’ha presa. Alla Casola non l’ho segnalata e nemmeno all’Ispettorato. Può chiedere”. Dopodiché a Baldi viene posta ancora una domanda: “Perché lei dice a Palamara: “Prima o poi te la porto qua per la considerazione e l’affetto che ho per te. Te lo meriti”…”?. E Baldi, ancora una volta, replica: “Poi non gliel’ho portata e sono cose che si dicono per non deludere un amico con cose poco piacevoli”. Il botta e risposta fra il quotidiano e Baldi prosegue con il Fatto che rammenta all’ex capo di gabinetto che “il 17 maggio 2019 Palamara le segnala un’altra magistrata e lei dice che al ministero degli Affari Esteri (Mae) ha “carta bianca”…”. E Baldi: “Questa giudice è venuta al mio ministero, ma non l’ho mai segnalata al Mae. Nella mia segreteria ci stanno 80 persone. Faccio appuntamenti con le persone segnalate e poi decido. Ho fatto 200 colloqui, ma saranno venute una trentina di persone”.

Luca Palamara. Il magistrato romano indagato a Perugia

Al che Il Fatto domanda ancora: “Lei dice a Palamara che Maria Casola chiamerà la Marino perché “che cazzo li piazziamo a fare i nostri?”. Noi ingenuamente pensavamo che al ministero andassero i migliori non i “nostri”. Ci sbagliavamo?”. Ma, risponde Baldi, “i nostri non ha un’accezione mafiosa. I “nostri” sta a significare “appartenenti alla nostra corrente” ma ora, dopo 28 anni, sono uscito da Unicost a settembre 2019 perché ritengo che il capo Dipartimento debba essere equidistante dalle correnti”. Subito dopo, Il Fatto pone a Baldi ancora una domanda: “Francesco Basentini è stato scelto – invece di Di Matteo – il 18 giugno da Bonafede. Lei era stato scelto, secondo Il Foglio, prima dell’8 giugno. Il ministro le ha chiesto un consiglio per il Dap?”. Baldi nega: “No – dice -, i capi dipartimento li ha scelti il ministro che ha fatto 50 colloqui tra cui il mio. Basentini l’ho conosciuto al ministero. Anche io sono stato scelto in quei giorni, si vede dalle chat che il mio nome circola tra i magistrati intorno al 16 giugno, non prima”. Quanto al perché quelle chat dell’inchiesta siano sul suo tavolo, Baldi spiega: “Perché l’Ispettorato esercita l’azione disciplinare ed è un ufficio di diretta collaborazione del ministro, quindi coordinato dal gabinetto”.  Il Fatto insiste: “Cioè, l’ispettorato sta valutando le sue conversazioni?”, e Baldi replica: “Ma che c’entra? Lei sta confondendo i piani. Quale sarebbe il problema?”. Ma il quotidiano insiste ancora: “Per un dirigente dire che un posto deve essere riservato ai “nostri”, di una corrente, è un profilo disciplinare?”. “Io non ci vedo nulla di disciplinare – risponde Baldi -, io penso che il pluralismo culturale in un’istituzione sia fondamentale”. L’ultima parola è dello stesso quotidiano: “Anche noi lo pensiamo. Culturale, però, dottor Baldi, culturale. Buona serata”.

 

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Identikit del nuovo Papa, chi raccoglie eredità Francesco

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Il principale, grande nodo che i cardinali che si riuniranno nella Sistina dovranno sciogliere nell’individuare la figura del nuovo Pontefice sarà su chi potrà raccogliere la grande eredità di papa Francesco. I tanti cantieri aperti lasciati dal Pontefice scomparso, i “processi avviati” come li chiamava lui, sono altrettanti capitoli di cui scrivere un futuro e su cui, se possibile, non fermarsi, né tanto meno tornare indietro. Quando dodici anni fa si dimise Benedetto XVI, la Chiesa attraversava una grave crisi, provata dagli scandali come il primo Vatileaks, le ondate di rivelazioni sugli abusi sessuali – peraltro favorite proprio da Ratzinger, il primo a promuovere la ‘tolleranza zero’ -, e la stessa rinuncia del Papa per l’età avanzata e le difficoltà nel fare fronte alle resistenze interne, che avevano fatto fortemente ondeggiare la ‘barca di Pietro’.

E il mandato dei cardinali a chi sarebbe diventato il nuovo Papa era stato di rifondare la Chiesa su una nuova base di rinascita cristiana e di rilanciata missione evangelizzatrice. Proprio quello che ha perseguito, non senza pesanti ostacoli, Jorge Mario Bergoglio in questi dodici anni di pontificato, con le riforme in primo luogo finanziarie, poi della Curia con l’inedito mandato ‘di governo’ anche ai laici e alle donne, sulla protezione dei minori, e col proprio atteggiamento personale di radicalità cristiana, di vicinanza ai più poveri, ai migranti, agli ‘scartati’, di indefessa abnegazione in favore della pace, della fratellanza umana e del dialogo con le altre religioni. Un insieme di spinte in avanti che rimettono in primo piano molti dei propositi ancora inattuati del Concilio Vaticano II, finora gravati da contrarietà e passività all’interno della Chiesa.

Senza contare l’ultimo grande cantiere aperto da Francesco, quello della Chiesa ‘sinodale’, su cui a parte i due Sinodi già svolti il Papa defunto ha indetto un ulteriore triennio per l’attuazione, con una grande e finale “assemblea ecclesiale” già programmata per l’ottobre del 2028. Un’eredità, quindi, in buona parte già scritta quella che dovrà raccogliere il prossimo, e 266/o, successore di Pietro. Che dovrà riprendere in mano tutte le riforme e portarle avanti secondo le proprie sensibilità e priorità. Oltre che con la necessaria autorevolezza e capacità di governo, qualità indispensabili per il pastore universale di un organismo della complessità e vastità della Chiesa cattolica.

Questo, insomma, sarà l’identikit del nuovo Papa, almeno per chi pensa che sulla rivoluzione imposta da Bergoglio in tanti settori ecclesiali “non si può tornare indietro”. E, a parte gli elenchi dei papabili e i possibili fronti contrapposti, nelle congregazioni generali pre-Conclave, come accadde proprio nel 2013 con la successiva elezione di Francesco, avrà la meglio chi nei propri interventi riuscirà a trasmettere carisma e a catalizzare maggiormente i convincimenti dei confratelli. Non mancherà certo l’assalto dei restauratori, di chi nel Collegio cardinalizio vorrebbe riportare indietro l’orologio della storia e fare piazza pulita di molte delle innovazioni di Francesco, in particolare in campi come la pastorale della famiglia (c’è chi non nasconde di non aver ancora digerito la comunione ai divorziati risposati) o peggio ancora le benedizioni alle coppie gay, o anche i rapporti con le altre religioni, oppure certe fughe in avanti tuttora mal sopportate.

Il fatto che ben 108 dei 135 cardinali elettori, cioè l’80 per cento, siano stati nominati da Francesco non garantisce sul risultato finale: si tratta di un gruppo molto composito, tra cui molti non si conoscono fra loro, e che comprende anche fieri oppositori della linea di Bergoglio. Un nome per tutti, l’ex prefetto per la Dottrina della fede, Gerhard Ludwig Mueller, fiero oppositore della linea bergogliana. L’esito del Conclave è dunque molto incerto. E a parte i favoriti elencati finora dai media, è possibile che alla fine prevalga un nome del tutto a sorpresa.

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Comune revoca cittadinanza al duce, la dà a Matteotti

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Revocata la cittadinanza onoraria a Benito Mussolini, conferita invece a Giacomo Matteotti, il politico socialista ucciso dai fascisti il 10 giugno 1924. Alla vigilia del 25 aprile, il Comune di San Clemente, in provincia di Rimini, ha preso queste due decisioni simboliche, approvate all’unanimità dal consiglio comunale nel tardo pomeriggio. Anche Ozzano dell’Emilia, in provincia di Bologna, proprio ieri ha revocato la cittadinanza al duce. E così hanno chiesto di fare i gruppi consiliari di centrosinistra ad Isernia, dove era stata concessa a Mussolini il 20 maggio 1924. “Revocare la cittadinanza onoraria a Mussolini significa prendersi la responsabilità di giudicare con determinazione e piena maturità un passato costellato da atrocità, economia inesistente, azzeramento, in modo scientifico, quasi chirurgico, del pensiero critico”, ha detto la sindaca di San Clemente, Mirna Cecchini, nel suo discorso.

“In un’epoca in cui il coraggio delle proprie azioni e l’intransigenza verso le bestialità sembrano venir meno, l’esempio di Matteotti è pronto a ricordarci che la democrazia e la libertà non sono beni scontati e facilmente ottenibili. Bensì l’epilogo di faticose conquiste personali e collettive, la spina dorsale dei popoli capaci di rialzare la testa; traguardi che richiedono responsabilità, vigilanza continua e partecipazione convinta”, ha aggiunto, motivando il conferimento della cittadinanza post mortem. A Ozzano la cittadinanza a Mussolini fu concessa il 18 maggio 1924, “in un periodo e contesto storico totalmente diverso da quello attuale, quando tantissimi Comuni furono in un certo senso sollecitati a rendergli omaggio attraverso un atto simbolico e politico – ha spiegato il sindaco, Luca Lelli – A chiederne la revoca è stata l’Anpi locale e come Amministrazione non abbiamo esitato a rispondere all’appello, e a procedere con il ritiro attraverso un atto del Consiglio comunale. La revoca è avvenuta a ridosso del 25 aprile perché abbiamo voluto dare anche un segnale forte, puntando l’attenzione sull’impegno che da sempre abbiamo nel promuovere una società basata sui valori di democrazia e libertà”.

A Isernia il capogruppo del Pd, Stefano Di Lollo, ha spiegato che “la cittadinanza onoraria, attribuita all’epoca come atto di adesione ideologica al regime fascista nascente, è oggi ritenuta incompatibile con i valori della Costituzione repubblicana e con il sentimento democratico che deve appartenere a uno Stato civile. Benito Mussolini è stato il principale responsabile dell’instaurazione della dittatura fascista, delle persecuzioni razziali e politiche, e dell’alleanza con il nazismo, che ha condotto l’Italia in una delle fasi più oscure della sua storia. Restituire alla storia il suo giusto significato è fondamentale per costruire un presente consapevole e un futuro libero”.

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Becciu: Papa Francesco aveva la soluzione, non possono escludermi

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Il cardinale Angelo Becciu conferma di ritenere che lo si debba ammettere al Conclave. Il porporato sardo, ex sostituto della Segreteria di Stato ed ex prefetto per le Cause dei santi – che in una drammatica udienza del 24 settembre 2020 papa Francesco privò della carica in Curia e dei diritti del cardinalato -, afferma in una conversazione con la Reuters che il suo ruolo è cambiato da quella sera di oltre quattro anni e mezzo fa, quando il Pontefice lo degradò perché si sentiva tradito nella sua fiducia. Oltre a confermare quanto già dichiarato all’Unione Sarda – che le sue prerogative sono “intatte, che non c’è stata “alcuna esplicita volontà” di escluderlo dal Conclave e che non gli è mai stato chiesto di rinunciare al privilegio per iscritto -, Becciu aggiunge che papa Bergoglio sarebbe stato vicino a prendere una decisione sul suo status.

Dice infatti di aver incontrato il Pontefice a gennaio, prima del ricovero al Gemelli a febbraio, e cita le sue parole: “Penso di aver trovato una soluzione”, gli avrebbe detto Francesco. Becciu dichiara inoltre di non sapere se il Papa gli abbia lasciato istruzioni scritte su questo aspetto. “Saranno i miei confratelli cardinali a decidere”, conclude in attesa della discussione nelle congregazioni pre-Conclave del Sacro Collegio, già iniziate e a cui lui stesso è invitato.

La questione-Becciu, che rischia di condizionare gravemente il prossimo Conclave e anche il dopo, si complica quindi sempre di più. Tra l’altro nel prossimo autunno – prima udienza il 22 settembre – si aprirà il processo d’appello sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato e la compravendita del Palazzo di Londra, per le quali Becciu ha sempre proclamato la sua innocenza ma è stato in primo grado condannato a cinque anni e sei mesi di reclusione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici per i reati di peculato e truffa aggravata ai danni della Santa Sede. Intanto, spuntano due lettere scritte dal Papa che sancirebbero l’esclusione di Becciu dal voto per il nuovo Pontefice. Ne scrive il quotidiano Domani riportando che il cardinale Pietro Parolin, già segretario di Stato, avrebbe mostrato ieri sera a Becciu due lettere dattiloscritte e siglate dal Pontefice con la F che lo escluderebbero dall’ingresso in Sistina: una del 2023 e l’altra dello scorso mese di marzo, quando Francesco affrontava l’ultima, gravissima malattia.

Il porporato sardo avrebbe preso atto, ma al momento non risulta abbia rinunciato al suo proposito. Sempre secondo ricostruzioni su Domani dell’ex direttore dell’Osservatore Romano Giovanni Maria Vian, il cardinale decano Giovanni Battista Re, che domani celebrerà i funerali di Francesco, avrebbe detto a Becciu di essere favorevole al suo ingresso in Conclave, non avendo disposizioni contrarie scritte dal Pontefice scomparso. Nel riferire ciò al cardinale camerlengo Kevin Joseph Farrell, però, quest’ultimo avrebbe comunicato a Re la volontà di papa Bergoglio, espressagli tempo fa soltanto a voce, che Becciu fosse tenuto fuori. Da indiscrezioni che trapelano dalle prime congregazioni generali, poi, per sbrogliare il caso-Becciu che sta diventando un vero e proprio ‘giallo’, potrebbe essere costituita una commissione, composta da cinque cardinali tra cui lo stesso porporato sardo.

Questa, secondo il Fatto Quotidiano, la proposta avanzata dal cardinale Claudio Gugerotti, già prefetto per le Cause orientali e considerato molto vicino al card. Parolin. Gugerotti, dal canto suo, avrebbe espresso un parere contrario all’ingresso di Becciu in Sistina. Lo stesso avrebbe fatto un altro fedelissimo di Bergoglio, il cardinale elemosiniere Konrad Krajewski. Su tutta la questione non ci sono commenti da fonte ufficiale. Alle domande dei giornalisti il portavoce vaticano Matteo Bruni continua a ripetere che “per ora parliamo dei funerali del Papa. Del Conclave si parlerà poi”.

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