Per ore hanno scavato a mani nude sotto le macerie. Decine di vigili del fuoco da tutta la Sicilia, attenti a captare un gemito, un respiro tra calcinacci, detriti, vetri rotti e quel che resta dell’isolato cancellato dall’esplosione che, sabato sera, ha fatto tremare la terra a Ravanusa, piccolo centro dell’agrigentino. Quattro abitazioni sono crollate, tre sono state sventrate dalla deflagrazione generata, ne sono ormai certi gli inquirenti, da una fuga di gas dalla conduttura cittadina. E poi saracinesche divelte, infissi letteralmente implosi e nell’aria ancora l’odore acre del fumo sprigionato dall’incendio seguito all’esplosione. Il bilancio e’ terribile. Tre morti – due donne ed un uomo-, sei dispersi e due sole superstiti. Le ricerche proseguiranno per tutta la notte anche se le speranze di trovare vive altre persone vanno affievolendosi col passare delle ore. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha telefonato al sindaco Carmelo D’Angelo: “Ha espresso il massimo sostegno alla comunita’ di Ravanusa e il cordoglio per quanto accaduto”, ha detto il primo cittadino.
“E’ stato come se un aereo si fosse schiantato sopra la nostra casa”, ha raccontato un testimone che si trovava in una delle abitazioni contigue alla prima palazzina crollata. Si e’ sentito il primo boato, sono divampate le fiamme e in pochi minuti un intero isolato e’ stato spazzato via. La deflagrazione ha sbriciolato un edificio di 4 piani e una casa attigua abitate da quattro fratelli e dalle rispettive famiglie. Al primo piano dell’edificio venuto giu’ viveva Rosa Carmina, trovata viva tra le macerie. Al secondo c’era la cognata: Giuseppa Montana, anche lei sopravvissuta. Al terzo erano in quattro: Angelo Carmina che risulta disperso, la moglie Enza Zagarrio che e’ morta, la nuora, Selene Pagliarello incinta di nove mesi, e il marito Giuseppe Carmina figlio della coppia. Entrambi sono dispersi. Sabato errano andati a far visita ai familiari prima di uscire a cena. Pochi istanti e un destino beffardo per i due ragazzi in attesa del loro primo figlio. Al quarto piano c’erano Calogero Carmina, la moglie Gioacchina Minacori, e il figlio Giuseppe. Minacori e’ morta i due Carmina sono dispersi.
Nell’altra casa distrutta abitavano Pietro Carmina, che e’ morto, e Carmela Scibetta, che e’ dispersa. Una vicenda tragica su cui la Procura di Agrigento intende far chiarezza. I magistrati, che hanno fatto un sopralluogo in mattinata nell’area dell’incidente – 10mila metri quadrati posti sotto sequestro – hanno aperto un fascicolo a carico di ignoti per omicidio colposo e disastro colposo e hanno incaricato un consulente dei primi accertamenti. La prima ipotesi, fatta dalla Protezione Civile e dai vigili del fuoco, e’ che il gas fuoriuscito da una tubatura cittadina forse a seguito di uno smottamento determinato da una frana o dal maltempo, si sia incanalato nel sottosuolo creando un’enorme sacca di metano che al primo innesco, forse l’avvio di un ascensore, si e’ trasformata in una micidiale bomba. La portata della deflagrazione fa escludere che la fuga di gas sia avvenuta in un appartamento.
“Raramente ho visto cose simili”, ha detto il comandante provinciale dei vigili del fuco di Agrigento, Merendino. L’Italgas, che ieri ha bloccato l’erogazione del metano a monte e valle del quartiere devastato dall’esplosione, per evitare ulteriori fughe di gas, intanto ha fatto sapere di aver controllato le condutture appena dieci giorni fa e di non aver riscontrato alcuna anomalia. E nessuna anomalia sarebbe stata segnalata dai cittadini secondo i carabinieri. Ma un testimone, che abita accanto a una delle case crollate, ha raccontato una storia ben diversa: nei giorni scorsi alcuni abitanti della zona avrebbero manifestato allarme per l’odore di metano che si avvertiva.
“Non c’e’ stato nulla di strano nei giorni scorsi”, ha smentito Rosa Carmina, la prima donna estratta dalle macerie. Intervistata nell’ospedale di Licata, dove i soccorritori l’anno portata, ha raccontato le drammatiche fasi dell’esplosione e il miracoloso salvataggio. “Sentivo le grida dei vigili – ha detto – e allora ho cominciato a urlare anche io per farmi sentire”. I vigili non si sono mai fermati. Cani molecolari, sonde sotto le macerie, i droni: ogni mezzo viene impiegato per la ricerca dei dispersi, mentre i familiari a turno attendono notizie davanti al cratere lasciato dalla deflagrazione. Gli sfollati nel quartiere sono un centinaio. Il sindaco di Ravanusa li ha sistemati in alberghi di paesi vicini, mentre nella scuola che si trova a pochi metri dalle case crollate i familiari dei dispersi ricevono l’assistenza di un pool di psicologi. A Ravanusa sono arrivati in mattinata il capo della Protezione civile Curcio, quello dei Vigili del fuoco Parisi, il vescovo di Agrigento e il governatore Musumeci. Centinaia di cittadini assistono da ore alle operazioni di soccorso nonostante il freddo pungente.
Armi in pugno, volti coperti, in quattro hanno fatto irruzione nell’androne di Foqus, la Fondazione Quartieri Spagnoli, in via Portacarrese a Montecalvario. Erano circa le mezzanotte di domenica scorsa e i componenti del commando erano convinti che lì dentro si nascondesse l’uomo che stavano inseguendo per uccidere, come vendetta per un precedente agguato, avvenuto due settimane prima in via Nardones. Non trovandolo, sono fuggiti via. Attimi di terrore per il custode, che ha denunciato tutto.
Il contesto: vendetta e criminalità
Secondo le indagini della Squadra Mobile diretta da Giovanni Leuci, quella incursione armata è stata la risposta a un episodio camorristico. Un agguato, avvenuto a tarda notte tra i vicoli del centro, documentato grazie alla testimonianza di uno studente. L’inchiesta è condotta dalla DDA con il coordinamento del procuratore aggiunto Sergio Amato. Le immagini delle telecamere di videosorveglianza confermano la dinamica e il livello di pericolosità dei quattro incappucciati, armati di pistole e fucili.
L’emergenza criminale e il caso minorenni
L’attacco a Foqus arriva in un momento già delicato per Napoli, dove si sta alzando l’allarme sulla presenza di armi tra i giovanissimi. Solo pochi giorni fa due ragazzini di 14 e 15 anni sono stati pugnalati da coetanei nei pressi di piazza Dante, per futili motivi. Ieri, il prefetto Michele di Bari e l’assessore alla legalità Antonio De Iesu si sono recati nella zona degli accoltellamenti per incontrare commercianti e cittadini e ribadire l’importanza dell’impegno collettivo contro la devianza giovanile.
La missione di Foqus e la voce di Rachele Furfaro
“Domenica notte il nostro portone era aperto”, spiega Rachele Furfaro, fondatrice e presidente di Foqus. “Da quando siamo nati, nel 2013, abbiamo cercato di vivere la realtà dei Quartieri come una grande piazza, aperta alla contaminazione culturale e al contrasto della povertà educativa”. Non a caso, proprio ieri, la struttura ha ospitato un incontro con 750 studenti provenienti da tutta Italia, in collaborazione con la Robert Francis Kennedy Foundation e l’Università Orientale.
Diritti, scuola e coraggio nei Quartieri
“Serve più coraggio anche da parte delle scuole per stare in questi territori e mettere in campo interventi di qualità. Bisogna affermare il diritto alla formazione, alla lettura, al gioco”, insiste la presidente Furfaro. Un messaggio ancora più forte alla luce dell’ennesimo episodio di violenza giovanile che ha scosso Napoli lo scorso week end.
Il lavoro di Foqus non si ferma. La comunità reagisce, nonostante tutto.
La Procura di Catania ha indagato il rapper Zaccaria Mouhib, 24 anni, in arte Baby Gang, per concorso per accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di detenuti, aggravato dall’avere favorito la mafia, e per avere violato la misura di prevenzione della sorveglianza speciale, che gli impediva di essere presente nel capoluogo etneo. Agenti della squadra mobile della Questura di Lecco, in raccordo con quelli di Catania, hanno eseguito a Calolziocorte (Lecco) un decreto di perquisizione e hanno sequestrato lo smartphone dell’artista che nei prossimi giorni verrà sottoposto ad accertamenti forensi.
All’indagato la polizia ha anche notificato un foglio di via obbligatorio emesso dal Questore di Catania che vieta a Baby Gang di potere dimorare nel capoluogo etneo per quattro anni. Iniziativa che farà saltare il suo concerto previsto per l’8 agosto prossimo alla Villa Bellini. Al centro dell’inchiesta della Procura di Catania la sua partecipazione, lo scorso 1 maggio, sul palco della Plaia, all’One day music festival, dove, prima di esibirsi con la canzone ‘Italiano’, scritta con Niko Pandetta, fa vedere un video sul suo smartphone in cui sembra assistere a una videochiamata con il nipote dello storico capomafia Turi Cappello. Il trapper però è in un carcere in Calabria, detenuto dal ottobre del 2024 per spaccio di sostanze stupefacenti.
“È mio fratello, un c… di casino per Niko Pandetta”, ha incitato il pubblico dal palco l’artista mostrando il telefonino in cui si è visto il volto di Pandetta. Il gesto è stato ripreso da molti dei presenti che hanno poi postato i video sui social, diventati virali. Non è ancora chiaro se la videochiamata fosse in diretta o registrata, o fosse un antico video memorizzato. Per chiarire cosa fosse realmente accaduto e verificare se Pandetta abbia avuto la possibilità, dal carcere, di mandare un video o, addirittura, di partecipare in diretta al concerto del 1 maggio sulla spiaggia della Plaia la Procura di Catania ha avviato degli accertamenti, delegando le indagini alla squadra mobile della Questura. E da una perquisizione nella cella del carcere di Rossano, dove Pandetta è detenuto, eseguita il 3 maggio scorso, la polizia penitenziaria ha trovato e sequestrato un telefonino. Per questo motivo è stato indagato per accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di detenuti.
Ventinove misure cautelari e 40 perquisizioni sono in corso di esecuzione in 10 citta tra Emilia Romagna , Campania e Lombardia nei confronti di presunti appartenenti a un’associazione per delinquere operante nel settore edilizio e dedita all’emissione di fatture false, riciclaggio e autoriciclaggio di denaro. Oltre 100 unità composte da operatori della polizia di Stato e da militari della guardia di finanza sono impegnate nell’operazione che si sta svolgendo Bologna, Ferrara, Modena, Ravenna, Reggio Emilia, Forlì, Rimini, Mantova, Napoli e Caserta. Si tratta del risultato di una complessa indagine – partita dalla segnalazione di movimentazioni di denaro sospette pervenuta alla polizia postale da parte di Poste Italiane – condotta dal Centro operativo per la sicurezza cibernetica dell’ Emilia-Romagna coordinato dal Servizio polizia postale e per la sicurezza cibernetica, e dal Nucleo operativo metropolitano della guardia di finanza di Bologna, sotto la direzione del pubblico ministero Flavio Lazzarini della procura di Bologna.