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Cronache

Fondi alla Lega, il reato di truffa per Bossi e Belsito è prescritto ma resta la confisca di 49 milioni truffati

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Reati prescritti per Umberto Bossi e Francesco Belsito nel procedimento sulla truffa per i rimborsi elettorali. Ma la confisca dei 49 milioni alla Lega e’ confermata e definitiva. Lo ha deciso la sentenza della Cassazione, che dopo 5 ore di camera di consiglio ha annullato senza rinvio le condanne e le confische personali per l’allora leader della Lega e l’ex tesoriere del partito. Ma non si ‘salva’ il Carroccio, su cui continua a pendere la maxi-confisca. Belsito resta responsabile di appropriazione indebita: per lui ci sara’ in questo caso la rideterminazione della pena in Appello. Confermate le condanne per i revisorissDiego Sanavio essAntonio Turci, accusati di indebita percezione di erogazionissa danno dello Stato. Assolto il terzo revisore Stefano Aldovisi. Il processo di secondo grado, per l’ipotizzata truffa aggravata ai danni dello Stato da parte dei due esponenti dell’allorassLega Nord, si era invece concluso con la sostanziale conferma del verdetto di primo grado: i giudici avevano inflitto 1 anno e 10 mesi a Bossi e 3 anni e 9 mesi a Belsito. Secondo l’accusa il partito aveva ottenutossi rimborsi elettoralissai danni del Parlamento, tra il 2008 e il 2010,ssfalsificandossrendiconti e il bilancio. Durante l’udienza in Cassazione, Belsito aveva chiesto la ricusazione dei giudici del collegio della sezione feriale chiamato a decidere sulle condanne dopo che il suo avvocato aveva avanzato istanza di “rinvio per integrazione documentale”, rilevando che in cancelleria mancava il fascicolo relativo al dibattimento di primo grado e la “documentazione sui conti correnti del partito Lega”. Una richiesta bocciata dai giudici del collegio deputato a decidere e che ha dato il via alla Camera di consiglio che ha poi emesso la sentenza. Nella sua requisitoria il Pg, Marco Dall’Olio, aveva invece chiesto la conferma delle condanne per Belsito e Bossi, parlando di “indubbie spese per la famiglia Bossi”. “Non e’ vero che i rendiconti erano solo generici. Erano anche falsi: si diceva ‘rimborso autisti’. Ma in realta’ si finanziava la famiglia Bossi. E non e’ un aspetto secondario – aveva sottolineato Dall’Olio – , e’ sotto questo profilo che si configura il reato di truffa”. Le condanne in Appello per truffa aggravata allo Stato e la confisca di oltre 49 milioni di euro erano arrivate dopo le inchieste della Procure di Milano e Genova da cui emersero una serie di spese del partitossper la famiglia Bossi. Queste ultime erano contenute in una cartella dalla scritta “The family”, che conterrebbe anche i pagamenti per i corsi della laurea di Renzo Bossi, figlio del senatur. Ad essere sotto accusa era dunque la violazione delle leggi per l’erogazione di quelli che vengono chiamati “rimborsi elettorali”. Resta aperta invece la questione della conferma della sentenza di secondo grado al processo gemello di Milano. Il prossimo 11 settembre la Cassazione e’ chiamata a decidere sul ricorso della procura generale di Milano, che chiede di estendere anche ai due Bossi la querela presenta dal leader della Lega Matteo Salvini nei confronti del solo Belsito. Anche in quel caso Belsito ha ricusato il collegio e se la richiesta dovesse essere accolta si dovrebbe costituire un nuovo collegio. Se invece fosse respinta, si avrebbe poi la sentenza.

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Il questore di Parma sull’aggressione ai tifosi del Napoli: “Risposta puntuale e decisa dello Stato”

Di Domenico ringrazia la Digos e respinge le critiche sulla gestione dell’ordine pubblico

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Volevo ringraziare la Digos per l’attività investigativa, ma anche gli operatori delle volanti e i vigili urbani che sono subito intervenuti sul posto”. Con queste parole il questore di Parma Maurizio Di Domenico ha commentato le indagini sull’aggressione avvenuta ai danni di un gruppo di tifosi del Napoli da parte di ultras parmigiani. Un episodio che ha suscitato clamore e critiche, soprattutto in relazione alla gestione della sicurezza durante i festeggiamenti per lo scudetto del club partenopeo.

L’agguato definito “sgradevole”

Il questore ha definito l’episodio uno “sgradevole agguato”, respingendo indirettamente le accuse di mala gestione dell’ordine pubblico e sottolineando la prontezza della risposta istituzionale. “La risposta della Procura è stata puntuale, decisa e soprattutto in tempi molto brevi”, ha dichiarato, richiamandosi alle parole del procuratore capo di Parma Alfonso D’Avino.

Difesa dei principi democratici

Di Domenico ha inoltre ribadito l’importanza del rispetto delle regole democratiche: “Siamo uno Stato democratico, principi fondamentali sono manifestare il pensiero e la libertà di unirsi pacificamente, senza armi soprattutto”. Un richiamo netto alla legalità e alla necessità che ogni manifestazione, anche sportiva, si svolga senza violenza e nel rispetto delle libertà costituzionali.

(Immagine realizzara con sistemi di Ia)

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Risucchiato dal motore di un aereo, vittima è 35enne bergamasco

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Aveva 35 anni, si chiamava Andrea Russo e abitava a Calcinate, in provincia di Bergamo, l’uomo che questa mattina attorno alle 10 è morto risucchiato dal motore di un aereo Volotea che stava rullando sulla pista di Orio al Serio. L’uomo, che in passato aveva avuto qualche problema di droga, ha raggiunto l’area antistante lo scalo bergamasco al volante della sua Fiat 500 rossa, l’ha lasciata in mezzo al parcheggio, si è diretto verso gli arrivi e, pare passando da una porta che dà direttamente sulla pista, sia corso verso il velivolo, buttandosi nel motore.

Invano i poliziotti in servizio allo scalo hanno cercato di bloccarlo. “Di fronte a questa tragedia che ci lascia attoniti e profondamente addolorati – scrive in un messaggio il sindaco di Calcinate, Lorena Boni -, desidero esprimere, a nome mio personale, dell’amministrazione comunale e dell’intera cittadinanza, la più sentita vicinanza e il cordoglio alla famiglia e a tutti coloro che hanno voluto bene a questo giovane ragazzo”.

“La notizia di quanto accaduto – ha aggiunto – ci colpisce nel profondo e ci ricorda quanto siamo fragili e quanto sia importante coltivare ogni giorno il senso della comunità, perché nessuno si senta mai solo di fronte alle proprie difficoltà. In questo momento di grande dolore, l’intera comunità si stringe in silenzio, con rispetto e commozione, attorno ai familiari e agli amici, augurando a ciascuno di loro di trovare conforto e sostegno nell’affetto delle persone care”.

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Spara e uccide l’uomo condannato per la morte del figlio

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Uccide l’uomo condannato per la morte del figlio, massacrato di botte cinque anni fa. Una vendetta privata, un rancore inestinguibile sarebbe l’ipotesi più credibile per l’omicidio a colpi d’arma da fuoco avvenuto questa mattina nel cuore di Rocca di Papa, cittadina dei Castelli Romani a pochi chilometri dalla Capitale. A premere il grilletto Guglielmo Palozzi, 62 anni, operatore ecologico. La vittima è Franco Lollobrigida, 35 anni. Ma in questa storia di sangue c’era già stata un’altra vittima, ed è Giuliano Palozzi, figlio di Guglielmo. Aveva 34 anni nel gennaio del 2020 quando Lollobrigida lo picchiò per un debito di soli 25 euro: Giuliano morì dopo qualche mese di agonia in un ospedale romano.

Ora dopo cinque anni è lui a essere morto, per mano del padre del ragazzo. E’ l’epilogo di una vicenda che ha scosso la comunità dei Castelli Romani, nata da una rissa per futili motivi. Imputato per la morte del giovane, nell’ottobre del 2023 Lollobrigida aveva ammesso con gli inquirenti di aver colpito il coetaneo con un pugno tra il naso e lo zigomo dopo aver visto il rivale estrarre qualcosa, forse un’arma, e dunque di avere agito per difesa. Sostenne però anche la tesi che altri, dopo di lui, sarebbero sopravvenuti dopo il pugno e avrebbero finito di massacrare Palozzi.

Nel febbraio del 2024 la corte d’Assise gli aveva dato ragione, assolvendolo. Lo scorso maggio però la Corte d’Appello aveva ribaltato la sentenza condannando il giovane di Rocca di Papa a dieci anni di reclusione per omicidio preterintenzionale. Il suo avvocato aveva presentato ricorso in Cassazione, ed ecco perché l’uomo era a piede libero. Lollobrigida dunque poteva circolare per il paesino. Siamo in via Roma, vicino a piazza della Repubblica, ci sono dei giardini pubblici e non lontano c’è il capolinea dei pullman. Caldo afoso. Palozzi è in giro con il suo carrettino degli attrezzi per la nettezza urbana. Se per caso o perché si erano dati un appuntamento lo chiariranno le indagini in corso, ma sta di fatto che in cima a una salita i due si incontrano. E la situazione precipita. Secondo la stampa locale Lollobrigida viene colpito da un solo proiettile, alla schiena, sfiorando l’aorta. L’uomo ferito riesce a percorrere qualche decina di metri, poi stramazza al suolo. Gli avventori di un bar lo vedono crollare a terra, si alzano, si avvicinano.

Qualcuno urla. Arrivano un’automedica e diverse ambulanze. Accorre anche il vicesindaco Ottavio Atripaldi. Nulla da fare. La salma viene coperta. Guglielmo Palozzi viene fermato dai carabinieri di Frascati e non oppone resistenza. Qualcuno lo vede dai finestrini della gazzella in cui è tenuto sott’occhio dai militari. I carabinieri intanto proseguono le indagini. Ciò che manca, al momento, è l’arma, forse detenuta illegalmente, forse un revolver perché sulla scena dell’aggressione non sarebbe stato trovato un bossolo. E poi mancano dettagli sulla dinamica dell’incontro, sui quali potrebbero dare informazioni decisive i filmati delle telecamere di sicurezza acquisiti dai carabinieri. Ciò che al momento, invece, sembra meno oscuro è il movente: nelle prossime ore Palozzi verrà sentito dal magistrato e potrà rendere la sua verità.

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